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fondata nel 1950 Organo Ufficiale della Società Italiana di Anestesia, Rianimazione, Emergenza e Dolore - SIARED e Giornale Scientifico dell’Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani – AAROI DIRETTORE SCIENTIFICO GIUSEPPE MARRARO COMITATO DI REDAZIONE G. VARRASSI - Abruzzo M. RICCIUTI - Basilicata F. AURICCHIO - Bolzano A. MUSITANO - Calabria M. INGROSSO - Campania C. SIBILLA - Emilia Romagna L. SILVESTRI - Friuli-Venezia Giulia N. PIROZZI - Lazio S. PALERMO - Liguria A. PESENTI - Lombardia R. PAGNI - Marche R. FLOCCO - Molise R. CAIONE - Puglia G. M. PISANU - Sardegna C. MARESCA - Sicilia A. PAOLICCHI - Toscana C. MERLI - Trento A. MORONI - Umbria G. GIRON - Veneto SEGRETARIO DI REDAZIONE MARCO LUCHETTI DIRETTORE RESPONSABILE GIAMPIERO GIRON Vol. 55, 2004 EDITRICE “LA GARANGOLA” PADOVA Fasc. 1 CONTENUTI / CONTENTS EDITORIALE / EDITORIAL G. Marraro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 L’ARGOMENTO DEL GIORNO / TOPIC OF THE DAY Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore / Unconventional techniques and therapies for pain treatment M. Luchetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 REVIEW SU INVITO / INVITED REVIEW Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo / A review of acute renal failure in intensive care unit the nephrologist’s viewpoint M. Beccari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 ARTICOLO ORIGINALE / ORIGINAL ARTICLE Midazolam vs Propofol nella sedazione controllata dal paziente per settoplastica ambulatoriale / Midazolam vs Propofol for patient-controlled sedation in ambulatory septoplasty Varol Çeliker, Elif Basgül, Sennur Uzun and Ülkü Aypar . . . . . . . . . . , , 79 CASI CLINICI / CASE REPORTS Movimenti di massa del tronco e degli arti inferiori in una malata con morte cerebrale: descrizione di un caso e revisione della letteratura / Massive jerkings of the trunk and of the lower limbs in a brain dead patient: a case report and review of the literature G. Berlot, F. Monti, A. Tomassini, U. Lucangelo . . . . . . . . . . . . . . 90 ARGOMENTI ATTUALI / CURRENT TOPICS Un addio alla Dopamina a dosaggio renale? / A farewell to renal-dose dopamine? M. Luchetti, M. Bertolini, G. Marraro . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 ANNUNCIO EVENTI / UPCOMING MEETINGS . . . . . . . . . . . . . . . 106 Associato all’USPI Unione Stampa Periodica Italiana 2004 ACTA ANAESTH. ITALICA EDITORIALE / EDITORIAL Il primo numero del 2004 della rivista riserva un ampio spazio alla review del dr. Marcello Beccari, della S.C. di Nefrologia e Dialisi dell’Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli ed Oftalmico di Milano, sull’insufficienza renale acuta e i suoi possibili trattamenti nel malato ricoverato in terapia intensiva. L’argomento sembra di grande interesse vista la frequenza dei malati che vanno incontro ad insufficienza renale acuta in terapia intensiva ma che solo in piccola parte richiede, fortunatamente, un trattamento correttivo dialitico intensivo e di lunga durata. La lettura del lavoro apre larghi spazi di future collaborazioni tra intensivisti e nefrologi non solo nel trattamento della ARF ma anche in situazioni cliniche in cui non è chiaramente compromessa la funzione renale quali, per esempio, il trattamento della ARDS, la stabilizzazione e il mantenimento di adeguati volumi circolanti e la rimozione dei modulatori dell’infiammazione nello stato settico. La rubrica Current Topics è chiaramente legata alla problematicità della funzione renale e all’impiego controverso della dopamina per migliorare il flusso renale. Dai dati a disposizione sembra oramai tramontata la sua era e nonostante alcuni accaniti sostenitori, che basano il suo impiego essenzialmente su osservazioni personali e spesso aneddotiche, le complicanze del suo impiego stanno venendo chiaramente alla luce. L’argomento del giorno è riservato ad altre possibiltà di trattamento del dolore senza l’impiego di farmaci o mediante l’uso di metodiche tradizionali. L’argomento assume un maggior valore quando si desidera trattare il malato affetto da sindrome dolorosa in tutta la sua complessità, proponendo un supporto quanto più ampio e coinvolgente possibile. Inizia con questo numero la presentazione dei lavori originali e dei casi clinici. Da questo numero in poi gli articoli orginali avranno una parte importante nella rivista e sin da ora si ringraziano i referees per la mole di lavoro a cui si dovranno sobbarcare. Con il prossimo numero si spera di rientrare nella corretta cadenza trimestrale di pubblicazione. Se i lavori verranno inviati alla nostra attenzione nella quantità con cui ci sono giunti sino ad ora, sembra possibile il rapido passaggio alla pubblicazione di 6 numeri per anno. Si resta in attesa di commenti, suggerimenti, osservazioni e quanto altro possa essere utile alla crescita e al miglioramento della qualità della Nostra Rivista. Il Direttore Scientifico DR. GIUSEPPE MARRARO 1 L’ARGOMENTO DEL GIORNO / TOPIC OF THE DAY Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore Unconventional techniques and therapies for pain treatment MARCO LUCHETTI S.C. di Anestesia e Rianimazione Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli e Oftalmico, Milano Introduzione Introduction a conoscenza su come e perché noi sentiamo dolore e sul complesso gioco di neuroni e molecole messaggere che porta alla sua percezione sta progredendo costantemente. Allo stesso tempo però stiamo relativamente da poco tempo cominciando a considerare il contributo delle emozioni, degli affetti e delle funzioni cognitive, e come la risposta umana ad emozioni quali rabbia, frustrazione, depressione, ansia, fatica e disperazione possa influenzare la percezione del dolore. Il dolore cronico è emerso come un fenomeno distinto dal dolore acuto. Anche se i due tipi di dolore condividono il fenomeno della nocicezione, nel caso del dolore cronico altri fattori sono cientists are beginning to understand how and why we feel acute pain, and the complex interplay of neurones and messenger molecules that leads to its perception. However, researchers are only just starting to explain the contribution of emotional affect, cognitive function, and how the human response to feelings such as anger, frustration, depression, anxiety, fatigue, and hopelessness can impact on the perception of pain. Chronic pain is emerging as a distinct phenomenon from acute pain. Although they may share the phenomenon of nociception, other factors may be associated with chronic pain, such as abnormal nerve activity and alteration within the central nervous system. Given the myriad of influences on pain perception, it becomes clear that applying a traditional biomedical model that just looks for an organic cause of pain may fail some sufferers as it does not routinely take into account the multidimensional nature of pain. L Indirizzo per la richiesta di estratti Address for reprints MARCO LUCHETTI S.C. Anestesia e Rianimazione A.O. Fatebenefratelli e Oftalmico Corso di Porta Nuova, 23 20121 Milano, Italia E-Mail: [email protected] 8 S ACTA ANAESTH. ITALICA 55, 8-32, 2004 Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore in gioco, ad esempio una anormale attività nervosa o alterazioni a livello del sistema nervoso centrale. Data la miriade di influenze sulla percezione del dolore, appare chiaro che l’applicazione di un modello biomedico tradizionale, che cerchi solo una causa organica del dolore, può fallire a volte poiché non tiene conto della natura multidimensionale del dolore. I punti chiave per migliorare il controllo del dolore sono gli stessi che valgono per ogni attività clinica: buona comunicazione, valutazione approfondita e spiegazione esatta e completa delle opzioni terapeutiche. Una comunicazione efficace tra dottore e paziente, unita al contributo fornito da infermieri, fisioterapisti ed altro personale sanitario, può fornire un quadro più completo dell’esperienza del paziente ed è in grado di ampliare le possibilità terapeutiche. Il medico deve conoscere tutti i dettagli sul dolore provato dal paziente, la sua natura, l’evoluzione, i fattori scatenanti e quelli che lo alleviano, poiché questi possono suggerirne la causa e anche il trattamento. Qualunque sia il trattamento prescritto, interrogando il paziente sull’effetto, il medico potrà decidere se esso è appropriato e adeguato o se va modificato. La scarsa comunicazione e la cattiva informazione possono sommarsi nel rinforzare idee sbagliate, quali ad es. quella che gli analgesici oppioidi provocano dipendenza e devono essere visti solo come ultima risorsa per i malati terminali. Non tutti i dolori cronici rispondono ai farmaci analgesici attualmente disponibili e in tali casi trattamenti non farmacologici possono rappresentare l’approccio The keys to improving pain control are the same as for any clinical activity: good communication, comprehensive assessment of the patient, and giving a proper and thorough explanation of treatment options. Effective communication between doctor and patient and recognition of the contribution made by other relevant members of the healthcare team, such as nurses, physiotherapists and carers, can provide a more complete picture of the patient’s experience and widen treatment options. Clinicians need to find out details of the pain, its nature, evolution, precipitating and relieving features, as these may provide clues to its cause and possible treatment. Whatever drug is prescribed, by asking the patient what the effect is, the clinician will be able to decide if the medication is appropriate, or if it should be modified. Poor communication and misinformation may combine to strengthen erroneous ideas, such as the concern that strong analgesics are addictive and should be viewed only as drugs of last resort for people who are terminally ill. Not all chronic pain will respond to currently available analgesia, and nonpharmacological treatments may well represent the most effective approach. Non-pharmacological treatments are routinely incorporated into the care offered by multidisciplinary pain management teams. They include a wide range of techniques, and some of them are part of conventional medicine, while some other are defined as unconventional or alternative or complementary therapies (acupuncture, hypnosis, herbal medicine, homoeopathy, reflexology, massage, osteopathy, chiropratic, shiatsu). 9 M. Luchetti più efficace. Questi trattamenti sono solitamente inseriti nelle cure offerte dai gruppi di trattamento multidisciplinare del dolore. Essi includono una vasta gamma di tecniche, alcune delle quali fanno parte del bagaglio della medicina convenzionale, altre ne stanno al di fuori almeno per ora e fanno parte delle cosiddette terapie non convenzionali o alternative o complementari (agopuntura, ipnosi, fitoterapia, omeopatia, riflessologia, massaggio, osteopatia, chiropratica, shiatsu). Le principali tecniche e terapie non convenzionali Agopuntura L’agopuntura è una forma di terapia medica basata sulla stimolazione di determinate aree della pelle, per mezzo dell’inserzione di sottili aghi metallici, allo scopo di ristabilire l’equilibrio energetico. Nella sua forma originale l’agopuntura era basata sui principi della medicina tradizionale cinese. In accordo con questi, i meccanismi del corpo umano sono controllati da una forza o energia vitale chiamata “Qi”, che circola tra gli organi lungo canali detti meridiani. Esistono 12 meridiani, e questi corrispondono alle 12 maggiori funzioni o “organi” del corpo. Sebbene essi abbiano gli stessi nomi (come fegato, rene, cuore, ecc), i concetti Cinese e Occidentale di organo sono solo molto debolmente correlati. L’energia del Qi deve fluire nella corretta misura e qualità attraverso ognuno di questi meridiani e organi affinché sia mantenuta la salute. I punti dell’agopuntura sono localizzati lungo i meridiani e forniscono un mezzo per modificare il flusso del Qi. 10 Main unconventional techniques and therapies Acupuncture Acupuncture is a form of medical therapy based on stimulation of given skin areas, by the insertion of fine metallic needles, aiming at restoring energetic balance. In its original form acupuncture was based on the principles of traditional Chinese medicine. According to these, the workings of the human body are controlled by a vital force or energy called “Qi”, which circulates between the organs along channels called meridians. There are 12 main meridians, and these correspond to 12 major functions or “organs” of the body. Although they have the same names (such as liver, kidney, heart, etc), Chinese and Western concepts of the organs correlate only very loosely. Qi energy must flow in the correct strength and quality through each of these meridians and organs for health to be maintained. The acupuncture points are located along the meridians and provide one means of altering the flow of Qi. Although the details of practice may differ between individual schools, all traditional acupuncture theory is based in the Daoist concept of yin and yang. Illness is seen in terms of excesses or deficiencies in various exogenous and endogenous pathogenic factors, and treatment is aimed at restoring balance. Many of the conventional health professionals who practise acupuncture have dispensed with such concepts. Acupuncture points are seen to correspond to physiological and anatomical features Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore Sebbene i dettagli della pratica possono differire tra le scuole individuali, tutta la teoria tradizionale dell’agopuntura è basata sul concetto Taoista di yin e yang. La malattia è vista in termini di eccesso o deficienza di vari fattori patogenici esogeni ed endogeni, e i trattamenti sono finalizzati al ripristino del bilancio. Molti dei professionisti che praticano l’agopuntura secondo la visione occidentale hanno lasciato da parte l’uso di tali concetti. I punti dell’agopuntura sono visti come corrispondenti a caratteristiche fisiologiche e anatomiche, come le giunzioni nervose periferiche, e la diagnosi è fatta in termini puramente convenzionali. Un’importante concetto usato da tali agopunturisti è quello di “punto trigger”. Questo è un’area di crescente sensibilità all’interno di un muscolo, che si dice causi un caratteristico pattern di dolore riflesso in un rispettivo segmento del corpo. Gli effetti dell’agopuntura, in particolare sul dolore, sono almeno parzialmente interpretabili secondo un modello fisiologico convenzionale. È noto che l’agopuntura stimola le fibre delta A che penetrano nel corno dorsale del midollo spinale. Queste mediano una inibizione segmentale degli impulsi nocicettivi portati nelle più lente fibre C amieliniche, e, attraverso connessioni nel mesencefalo, aumentano l’inibizione discendente degli impulsi dolorosi delle fibre C agli altri livelli del midollo spinale. Questo aiuta a spiegare perché gli aghi inseriti in una parte del corpo possono influire sulla sensazioni di dolore in altre regioni. Si sa anche che l’agopuntura stimola il rilascio di oppioidi e altri neurotrasmettitori come la serotonina. Questo such as peripheral nerve junctions, and diagnosis is made in purely conventional terms. An important concept used by such acupuncturists is that of the “trigger point.” This is an area of increased sensitivity within a muscle which is said to cause a characteristic pattern of referred pain in a related segment of the body. The effects of acupuncture, particularly on pain, are at least partially explicable within a conventional physiological model. Acupuncture is known to stimulate A delta fibres entering the dorsal horn of the spinal cord. These mediate segmental inhibition of pain impulses carried in the slower, unmyelinated C fibres and, through connections in the midbrain, enhance descending inhibition of C fibre pain impulses at other levels of the spinal cord. This helps explain why acupuncture needles in one part of the body can affect pain sensation in another region. Acupuncture is also known to stimulate release of endogenous opioids and other neurotransmitters such as serotonin. This is likely to be another mechanism for acupuncture’s effects, such as in acute pain and in substance misuse. Acupuncture was developed as a relatively global system of medicine. As practised in Europe and north America, acupuncture is primarily a treatment for benign, chronic disease and for musculoskeletal injury. The most common presenting complaints found in surveys of acupuncture practice include back pain, arthritis, headache, asthma, hay fever, anxiety, fatigue, menstrual disorders, and digestive disorders. Acupuncture is also used in drug and alcohol rehabilitation. There is good research evidence that acupuncture has effects greater than pla11 M. Luchetti probabilmente potrebbe essere un altro meccanismo per gli effetti dell’agopuntura, come nel dolore acuto e nell’abuso di sostanze. L’agopuntura si è sviluppata come un sistema pressoché globale di medicina. Così come è praticata in Europa e in nord America, l’agopuntura è prevalentemente un trattamento per malattie benigne croniche e per danni muscoloscheletrici. I più comuni disturbi presentati nei lavori sulla pratica dell’agopuntura includono mal di schiena, artrite, mal di testa, asma, febbre da fieno, ansietà, stanchezza, disturbi mestruali, e disturbi digestivi. L’agopuntura è anche usata nella riabilitazione da droga e alcool. C’è una buona evidenza sperimentale che l’agopuntura ha effetti maggiori del placebo. Studi randomizzati hanno dimostrato che l’agopuntura è più efficace nel sollievo dal dolore rispetto a una tecnica “fittizia”, come l’inserimento degli aghi al di fuori dei punti previsti. Studi che dimostrano che l’agopuntura può agire su animali anestetizzati forniscono una ulteriore prova che i suoi effetti non possono essere spiegati in termini puramente fisiologici. Soprattutto, la prova di diversi esperimenti randomizzati controllati supporta l’uso dell’agopuntura in condizioni di dolore, in particolare emicrania, mal di testa, e dolore postoperatorio. Come in tutte le medicine alternative, l’assenza di un sistema formale di rilevazione degli effetti nocivi comporta che la sicurezza dell’agopuntura è difficile da valutare. Comunque essa sembra essere una forma di trattamento relativamente sicura con bassa incidenza di gravi controindicazioni. 12 cebo. Randomised trials have found that true acupuncture is more effective in relieving pain than a “sham” technique, such as inserting needles away from true points. Studies showing that acupuncture can affect anaesthetised animals provides further evidence that its effects probably cannot be explained purely in psychological terms. Overall, evidence from several randomised controlled trials supports the use of acupuncture in pain conditions, particularly migraine, headache, and postoperative pain. As with all complementary medicine, the absence of a formal system for reporting adverse effects means that acupuncture’s safety is difficult to assess. However, it seems to be a relatively safe form of treatment with a low incidence of serious adverse events. Phytotherapy The use of plants for healing purposes predates human history and forms the origin of much modern medicine. Many conventional drugs originate from plant sources: a century ago, most of the few effective drugs were plant based. Examples include aspirin (from willow bark), digoxin (from foxglove), quinine (from cinchona bark), and morphine (from the opium poppy). Chinese herbalism is the most prevalent of the ancient herbal traditions. It is based on concepts of yin and yang and of Qi energy. Modern Western herbalism emphasises the effects of herbs on individual body systems. For example, herbs may be used for their supposed anti-inflammatory, haemostatic, expectorant, antispasmodic, or immunostimulatory properties. Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore Fitoterapia L’uso di piante per scopi terapeutici precede la storia umana e rappresenta l’origine di gran parte della medicina moderna. Molti farmaci convenzionali hanno origine da piante: un secolo fa, la maggior parte delle poche sostanze efficaci erano a base di piante. Tra gli esempi si includono l’aspirina (dalla corteccia di salice), digoxina (dalla digitale), quinina (dalla corteccia di china), e la morfina (dall’oppio del papavero). L’erboristeria cinese è la più diffusa fra le antiche tradizioni erboristiche. Essa si basa sul concetto di yin e yang e dell’energia Qi. La moderna erboristeria occidentale enfatizza gli effetti delle erbe sui singoli sistemi corporei. Per esempio, le erbe possono essere usate per le loro presunte proprietà anti-infiammatorie, emostatiche, espettoranti, antispasmodiche, o immunostimolanti. Sebbene superficialmente simili, la fitoterapia e la farmacoterapia convenzionale hanno tre importanti differenze: 1) i fitoterapisti usano estratti di piante non purificati contenenti diversi costituenti; 2) spesso, molte erbe diverse sono usate insieme; 3) coloro che praticano fitoterapia usano principi diagnostici differenti dagli operatori convenzionali. Una tipica casistica della fitoterapia potrebbe includere asma, eczema, sindrome premestruale, artrite reumatoide, emicrania, sintomi della menopausa, stanchezza cronica e sindrome dell’intestino irritabile. In laboratorio è stato mostrato che alcuni estratti vegetali hanno una varietà di effetti farmacologici, tra i quali effetto anti-infiammatorio, vasodilatatorio, antimicrobico, anticonvulsivo, sedativo e antipiretico. In un tipico studio, un infuso Although superficially similar, herbal medicine and conventional pharmacotherapy have three important differences: 1) herbalists generally use unpurified plant extracts containing several different constituents; 2) often, several different herbs are used together; 3) herbal practitioners use different diagnostic principles from conventional practitioners. A typical caseload of phytotherapists might include asthma, eczema, premenstrual syndrome, rheumatoid arthritis, migraine, menopausal symptoms, chronic fatigue, and irritable bowel syndrome. In laboratory settings plant extracts have been shown to have a variety of pharmacological effects, including anti-inflammatory, vasodilatory, antimicrobial, anticonvulsant, sedative, and antipyretic effects. In a typical study an infusion of lemon grass leaves produced a dose dependent reduction of experimentally induced hyperalgesia in rat. Human studies also confirm specific therapeutic effects of particular herbs. The best known evidence about a herbal product concerns St John’s wort (Hypericum perforatum) for treating mild to moderate depression. A systematic review of 23 randomised controlled trials found the herb to be significantly superior to placebo and therapeutically equivalent to, but with fewer side effects than, antidepressants such as amitriptyline. However, there is still very little evidence on the effectiveness of herbalism as practised, that is, using principles such as combining herbs and unconventional diagnosis. Many plants are highly toxic. Herbal medicine probably presents a greater risk of adverse effects and interactions than 13 M. Luchetti di foglie di lemon grass ha prodotto una riduzione dose-dipendente dell’iperalgesia indotta sperimentalmente nel ratto. Anche studi sull’uomo confermano gli effetti terapeutici specifici di particolari erbe. La prova più conosciuta sui prodotti fitoterapici riguarda l’iperico (Hypericum perforatum) per il trattamento della depressione lieve. Una revisione sistematica di 23 studi randomizzati controllati ha trovato che le erbe sono significativamente superiori al placebo e terapeuticamente equivalenti ad antidepressivi quali l’amitriptilina, ma con meno effetti collaterali. Comunque, sono ancora molto deboli le prove sull’efficacia della fitoterapia così come viene praticata, e cioè, usando principi come la combinazione di erbe e la diagnosi non convenzionale. Molte piante sono altamente tossiche. La fitoterapia probabilmente presenta un rischio di controindicazioni e di interazioni maggiore di ogni altra terapia alternativa. Sono riportati casi di gravi effetti nocivi dopo la somministrazione di prodotti erboristici. Come con molte terapie alternative, l’informazione sulla prevalenza di effetti nocivi è limitata. L’interazione dei prodotti fitoterapici con sostanze convenzionali è stata descritta. Esistono alcune interazioni ben specificate, e i fitoterapisti competenti hanno l’obbligo di tenere una storia dettagliata delle sostanze usate e di evitare tali interazioni. Omeopatia L’omeopatia tratta le malattie usando preparazioni in dosi molto basse somministrate secondo il principio che “il simile si cura con il simile”. Gli omeopati scelgono una sostanza che, se data 14 any other complementary therapy. There are case reports of serious adverse events after administration of herbal products. As with many complementary therapies, information on the prevalence of adverse effects is limited. Interactions of herbal products with conventional drugs have been described. Some well characterised interactions exist, and competent medical herbalists are trained to take a detailed drug history and avoid these. Homoeopathy Homoeopaths treat disease using very low dose preparations administered according to the principle that “like should be cured with like.” Practitioners select a drug that would, if given to a healthy volunteer, cause the presenting symptoms of the patient. Samuel Hahnemann (1755-1843), the German physician who first described homoeopathy, began his pioneering experiments in the 1790s. Common homoeopathic medicines include those made from plants such as belladonna, arnica, and chamomile; minerals such as mercury and sulphur; animal products such as squid ink and snake venom; and, more rarely, biochemical substances such as histamine or human growth factor. The remedies are prepared by a process of serial dilution and succussion (vigorous shaking). The more times this process of dilution and succussion is performed, the greater the “potency” of the remedy. It is well known that many homoeopathic medicines are ultramolecular, that is, they are diluted to such a degree that not even a single molecule of the original solute is likely to be present. As Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore ad un volontario sano, provocherebbe i sintomi presenti nel paziente. Samuel Hahnemann (1755-1843), è stato il medico tedesco che per primo ha descritto l’omeopatia, iniziando i suoi esperimenti pionieristici attorno alla fine del 18º secolo. Comunemente i farmaci omeopatici sono derivati da vegetali (belladonna, arnica, camomilla); da minerali (mercurio e zolfo); da animali (inchiostro di seppia, veleno di serpente). Più raramente derivano da sostanze biochimiche come l’istamina o fattori di crescita. I rimedi sono preparati mediante un processo di diluizioni in serie e succussioni (scuotimento vigoroso). Più volte si effettua il processo di diluizione e succussione, maggiore è la potenza del rimedio. È noto che molte medicine omeopatiche sono ultramolecolari, cioè sono diluite a tal punto che è probabile che nemmeno una singola molecola del soluto originale sia presente al termine del processo. Poiché l’azione dei farmaci viene convenzionalmente spiegata in termini biochimici, l’omeopatia presenta una enorme sfida intellettuale. Molti ritengono che gli effetti clinici delle medicine omeopatiche siano solamente dovuti ad effetto placebo. Una recente meta-analisi pubblicata su Lancet ha esaminato oltre 100 studi randomizzati, placebo-controllati, e ha concluso che, pur ammettendo la possibilità di errori metodologici negli studi esaminati, i risultati non sono compatibili con l’ipotesi che l’effetto clinico dell’omeopatia sia completamente dovuto al placebo. Una possibile spiegazione, attualmente in corso di studio, è che, durante la diluizione seriale, le com- drug actions are conventionally understood in biochemical terms, homoeopathy presents an enormous intellectual challenge. Many scientists have suggested that the clinical effects of homoeopathic medicines are solely due to the placebo effect. A recent meta-analysis, published in the Lancet, examined over 100 randomised, placebo controlled trials, and concluded that, even allowing for publication bias, the results are not compatible with the hypothesis that the clinical effects of homoeopathy are completely due to placebo. One possible explanation, currently being investigated, is that during serial dilution the complex interactions between the solvent (water) molecules are permanently altered to retain a “memory” of the original solute material. Most of a typical homoeopath’s case load consists of chronic or recurrent conditions such as eczema, rheumatoid arthritis, fatigue disorders, asthma, migraine, dysmenorrhoea, irritable bowel syndrome, recurrent upper respiratory or urinary tract infections, and mood disorders. Homoeopaths also treat a substantial number of patients with ill defined illness that has not been given a conventional diagnosis. Serious unexpected adverse effects of homoeopathic medicines are rare. A potentially more serious issue is the belief of some practitioners that conventional drugs reduce the efficacy of homoeopathy. Serious adverse events have resulted from patients failing to comply with essential conventional treatments while using homoeopathy. Osteopathy and chiropractic Osteopathy and chiropractic share a common origin. Their roots can be found 15 M. Luchetti plesse interazioni tra le molecole di solvente (acqua) vengano permanentemente alterate in modo da ritenere una “memoria” del soluto originale. La maggior parte dei casi trattati dall’omeopatia consiste in condizioni croniche o ricorrenti quali eczema, artrite reumatoide, stati di affaticamento, asma, emicrania, dismenorrea, colon irritabile, infezioni ricorrenti delle alte vie aeree, infezioni del tratto urinario, disturbi dell’umore. Gli omeopati trattano anche una notevole quantità di pazienti con malattie mal definite per le quali non è stata fatta una diagnosi convenzionale. Un problema potenzialmente serio dell’omeopatia è la convinzione di alcuni omeopati che le medicine convenzionali riducano l’efficacia dell’omeopatia stessa. Gravi eventi avversi sono derivati dal fatto che pazienti hanno smesso di assumere farmaci convenzionali essenziali durante un trattamento omeopatico. Osteopatia e chiropratica L’osteopatia e la chiropratica hanno origini comuni. Le loro radici possono essere riconosciute nella tradizione popolare degli “aggiustaossi”. Entrambe sono state sistematizzate alla fine del 19º secolo negli Stati Uniti. Pare che Daniel D. Palmer, il fondatore della chiropratica, prima di mettere su la propria scuola, abbia incontrato Andrew Taylor Still, il fondatore dell’osteopatia. Le terapie rimangono relativamente simili e spesso ci si riferisce ad entrambe con il termine di “terapie manipolative”. L’osteopatia e la chiropratica interverrebbero in modo più efficace dei farmaci perché non si limitano a sedare il sintomo, ma vanno alla ricerca della causa 16 in folk traditions of “bone setting,” and both were systematised in the late 19th century in the United States: Daniel D Palmer, the founder of chiropractic, is said to have met with Andrew Taylor Still, the founder of osteopathy, before setting up his own school. The therapies remain relatively similar, and many textbooks and journals are relevant to both. The term “manipulative therapy” refers to both osteopathy and chiropractic. They are supposed to intervene more effectively than drugs, since they do not treat only the symptom, but also search for the primary cause. Their approach is based on a global evaluation of the whole individual, so as to restore a correct pattern of body function. Manipulative therapists take a history, palpate for significant changes in muscle tension and skin circulation, and look for any restricted movements in order to diagnose musculoskeletal abnormalities and “neuromuscular dysfunction”. The best known technique is the “high velocity thrust,” a short, sharp motion usually applied to the spine. This manoeuvre is designed to release structures with a restricted range of movement. Chiropractors are more likely to push on vertebrae with their hands, whereas osteopaths tend to use the limbs to make levered thrusts. That said, osteopathic and chiropractic techniques are converging, and much of their therapeutic repertoire is shared. Low back pain is the most common presenting complaint and may origin from many different causes. Manipulative techniques, similarly to all olistic therapies, evaluate each aspect of the patient, from repeated positions, to stress, to visceral problems, to anxiety, just Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore primaria. L’approccio parte da una valutazione globale di tutto l’individuo in modo da ripristinare un corretto schema di funzionamento corporeo. I terapisti manipolativi raccolgono una storia clinica, palpano alla ricerca di cambiamenti significativi della tensione muscolare e della circolazione cutanea, e osservano ogni movimento alterato, allo scopo di diagnosticare anomalie muscoloscheletriche e disfunzioni neuromuscolari. La tecnica manipolativa più conosciuta è il “colpo ad alta velocità”, un movimento breve e rapido generalmente applicato alla colonna vertebrale, che ha lo scopo di rilasciare strutture con un raggio di movimento ristretto. I chiropratici preferiscono spingere con le mani sulle vertebre, mentre gli osteopati tendono ad usare gli arti per ottenere delle leve. Per il resto, le tecniche sono simili e condividono gran parte del repertorio terapeutico. La lombalgia è il problema più comune per cui ci si rivolge ad un chiropratico o un osteopata. Un mal di schiena può avere moltissime cause e le tecniche manipolative, come tutte le terapie olistiche, valutano tutti gli aspetti di una persona, dalle posizioni ripetute ogni giorno, allo stress, ai problemi viscerali, alle situazioni di ansia. Tutti questi fattori possono ripercuotersi sulla colonna vertebrale, portando ad un blocco del meccanismo craniosacrale e provocando, oltre al mal di schiena, malessere generale e stanchezza. Altre condizioni patologiche spesso trattate da chiropratici e osteopati includono dolore al collo e alle spalle, traumi sportivi, cefalea, artrite. Numerosi studi randomizzati controllati dimostrano l’efficacia delle mani- to mention a few. According to osteopaths and chiropractors, all these factors can impair the function of the vertebral spine, blocking the craniosacral mechanism and causing, aside from back pain, global suffering and chronic fatigue. Other conditions often seen include neck and shoulder pain, sports injuries, headache and arthritis. There is considerable evidence from randomised controlled trials of the effectiveness of spinal manipulation for back and neck pain. However, a recent systematic review highlights methodological weaknesses. For all the other pathologies sufficient evidence is still lacking. The most important potential adverse effects of osteopathy and chiropractic are stroke and spinal cord injury after cervical manipulation. Hypnosis and relaxation techniques Hypnosis is the induction of a deeply relaxed state, with increased suggestibility and suspension of critical faculties. Once in this state, sometimes called a hypnotic trance, patients are given therapeutic suggestions to encourage changes in behaviour or relief of symptoms. Many relaxation techniques aim to increase awareness of areas of chronic unconscious muscle tension. They often involve a conscious attempt to release and relax during exhalation. Most relaxation techniques need to be practised daily and are enjoyable. Relaxation classes can also play a social function. The primary uses of hypnosis and relaxation techniques are in anxiety, in disorders with a strong psychological component (such as asthma and irritable bowel syndrome), and in conditions that 17 M. Luchetti polazioni spinali per il trattamento del mal di schiena e di collo. Tuttavia, una recente revisione sistematica di questi studi ha messo in luce alcune debolezze metodologiche. Per le altre patologie non esiste ancora un’evidenza sufficiente. Gli effetti avversi più importanti, seppur rari, delle tecniche manipolative sono l’ictus e il danno midollare dopo manipolazione cervicale. Ipnosi e tecniche di rilassamento L’ipnosi è l’induzione di uno stato di profondo rilassamento, associato ad aumentata suggestionabilità e sospensione delle facoltà critiche. Una volta che i pazienti hanno raggiunto questo stato, talvolta chiamato trance ipnotica, vengono loro dati dei suggerimenti terapeutici per incoraggiare i cambiamenti del comportamento o favorire il sollievo dei sintomi. Molte tecniche di rilassamento mirano ad aumentare la consapevolezza di aree di tensione muscolare cronica inconscia. Spesso includono il tentativo cosciente di lasciarsi andare e rilassarsi durante l’espirazione. La maggior parte delle tecniche di rilassamento va praticata quotidianamente. Esse sono generalmente gradevoli e possono svolgere anche una funzione sociale se effettuate in gruppo. L’ipnosi e le tecniche di rilassamento sono utili principalmente nell’ansia, nei disturbi con forte componente psicologica (asma, colon irritabile), e nelle condizioni che possono essere modulate dal livello di attenzione (dolore). Sono usate anche comunemente nei programi per il controllo dello stress. Studi controllati randomizzati validano l’uso di diverse tecniche di rilassamento per il trattamento del dolore sia acuto 18 can be modulated by levels of arousal (such as pain). They are also commonly used in programmes for stress management. Randomised controlled trials support the use of various relaxation techniques for treating both acute and chronic pain, although two recent systematic reviews suggest that methodological flaws may compromise the reliability of these findings. Relaxation and hypnosis are often used in cancer patients. There is strong evidence from randomised trials of the effectiveness of hypnosis and relaxation for cancer related anxiety, pain, nausea, and vomiting, particularly in children. Relaxation techniques are often integrated into other healthcare practices. For example, they may be included in programmes of cognitive behavioural therapy in pain clinics or occupational therapy in psychiatric units. Many different complementary therapists, such as osteopaths and massage therapists, may include some relaxation techniques in their work. Some nurses use relaxation techniques in the acute setting, such as in preparation for surgery. Massage Therapeutic massage is the manipulation of the soft tissue of whole body areas to bring about generalised improvements in health, such as relaxation or improved sleep, or specific physical benefits, such as relief of muscular aches and pains. Almost all cultures have developed systems of therapeutic massage. Massage techniques play an important part in traditional Chinese and Indian medical care. European massage was systematised in the early 18th century by Per Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore che cronico, anche se due recenti revisioni sistematiche hanno suggerito che errori metodologici potrebbero inficiare l’attendibilità di questi risultati. Il rilassamento e l’ipnosi sono spesso usati in pazienti tumorali. Esiste una forte evidenza derivante da studi randomizzati sulla loro efficacia nel trattamento dell’ansia, del dolore, di nausea e vomito nei pazienti tumorali, in particolare nei bambini. Le tecniche di rilassamento sono spesso integrate con altre pratiche terapeutiche. Per esempio possono esere incluse in programmi di terapia cognitiva comportamentale nelle cliniche del dolore, oppure nella terapia occupazionale nelle unità psichiatriche. Diversi terapisti non convenzionali, quali l’osteopata o il terapista del massaggio, possono includere delle tecniche di rilassamento nel proprio lavoro. Anche alcuni infermieri usano tecniche di rilassamento, per esempio nella preparazione alla chirurgia. Massaggio Il massaggio terapeutico consiste nella manipolazione dei tessuti molli di tutto il corpo allo scopo di determinare miglioramenti generalizzati della salute, quali rilassamento o miglior sonno, oppure specifici benefici fisici, quali sollievo dal dolore. Quasi tutte le culture hanno sviluppato sistemi di massaggio terapeutico. Esso ha un ruolo molto rilevante nella medicina Cinese ed Indiana. Il massaggio europeo è stato sistematizzato agli inizi del 18° secolo da Per Hendrik Ling, il quale ha sviluppato quello che è noto come massaggio Svedese. Negli ultimi 30 anni i terapisti hanno riadattato il massaggio Svedese ponendo maggiore enfasi sugli aspetti psicologici Hendrik Ling, who developed what is now known as Swedish massage. In the past 20-30 years complementary therapists have adapted Swedish massage so as to place greater emphasis on the psychological and spiritual aspects of treatment. Benefits of massage are now described more in terms such as “calmness” or “wholeness” than in terms of loosening stiff joints or improving blood flow. In reflexology, areas of the foot are believed to correspond to the organs or structures of the body. Damage or disease in an organ is reflected in the corresponding region, or “reflex zone,” of the foot. When this is palpated the patient is said to experience pain or pricking, no matter how gently pressure is applied. Reflexology treatment consists of massage of the disordered reflex zones. In aromatherapy, oils derived from plants (“essential oils”) are added to a base massage oil, which acts as a lubricant during treatment. Although often used purely for their smell, the oils are claimed to have a wide range of medicinal properties, including effects on wound healing, infection, blood circulation, and digestion. They are said to act both pharmacologically, by absorption into the blood through the skin, and by olfactory stimulation. Massage is mainly used to promote relaxation, treat painful muscular conditions, reduce anxiety improve sleep and control pain. Massage is also claimed to have more global effects on health. Practitioners and patients report that massage improves self image in conditions such as physical disabilities and terminal illnesses. This may result in part from the feelings of general wellbeing that are 19 M. Luchetti e spirituali del trattamento. I benefici del massaggio ora sono descritti in termini più olistici di rilassamento globale, di calma, pittosto che di sblocco delle articolazioni o miglioramento del flusso sanguigno. Nella riflessologia le parti del piede corrispondono a organo o strutture del corpo. Il danno o la malattia in un organo si riflette nella regione corrispondente del piede, o “zona riflessa”. Quando questa viene palpata il paziente prova dolore o puntura, per quanto la pressione possa essere leggera. Un trattamento di riflessologia consiste nel massaggio delle zone riflesse disturbate. Nell’aromaterapia, olii derivati dalle piante (olii essenziali) vengono aggiunti ad un olio di base che fa da lubrificante durante il trattamento. Gli olii hanno un’ampia gamma di proprietà medicamentose, ad es. effetti sulla guarigione di ferite, sulle infezioni, sulla circolazione sanguigna, sulla digestione. Essi agiscono sia farmacologicamente per assorbimento nel sangue attraverso la pelle, sia mediante stimolazione olfattiva. Il massaggio è usato principalmente per favorire il rilassamento, trattare condizioni muscolari dolorose, ridurre l’ansia, favorire il sonno, controllare il dolore. Il massaggio avrebbe anche efetti più globali sulla salute. Migliorerebbe l’immagine di se stessi in condizioni quali disabilità fisica e malattia terminale. Questo può derivare in parte dal senso di benessere generale riportato comunemente dopo un massaggio. Il tocco stesso può essere considerato terapeutico, soprattutto in coloro che hanno scarse opportunità di contatto fisico, quali i pazienti senza amici intimi o 20 commonly reported after massage. Touch itself is likely to be therapeutic, particularly in those with limited opportunities for physical contact, such as patients without intimate friends or family or with painful physical conditions. Massage has also been said to help patients feel cared for. Patients may be more ready to discuss and deal with difficult psychological issues once they are less anxious, feel better about themselves, and have come to trust their care providers. To date, most of the clinical trials of massage have focused on psychological outcomes of treatment. Good evidence from randomised trials indicates that massage reduces anxiety scores in the short term in settings as varied as intensive care, psychiatric institutions, hospices, and occupational health. Some evidence supports the more “traditional” effects of massage such as improved circulation and decreased muscle tension. Most massage techniques have a low risk of adverse effects. Shiatsu Shiatsu was born in Japan: it was first systematized by Toshiru Namikoshi and then by Shizuto Masunaga. In the different countries in which it has spread, shiatsu has been elaborated into other styles that remain faithful to the fundamental technical carachteristics. Shiatsu is a technique based on bringing pressure with fingers, hands, elbows, knees, according to specific modalities. It fosters the important values of touch and relation, instinctual needs of all human and animal beings, that stimulate those physical, energetical and psychi- Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore senza famiglia, o quelli con condizioni fisiche dolorose. Il massaggio aiuta i pazienti a sentirsi curati, accuditi. Essi possono sentirsi più pronti a discutere ed affrontare difficoltà psicologiche una volta che sono meno ansiosi, si sentono meglio con loro stessi e sono arrivati a fidarsi del loro terapista. Ad oggi, la maggior parte degli studi clinici sul massaggio si sono focalizzati sugli effetti psicologici del trattamento. Questi studi indicano con buona evidenza che il massaggio riduce l’ansia a breve termine in ambienti diversi quali terapia intensiva, istituti psichiatrici, hospices e terapia occupazionale. Esistono anche evidenze a supporto degli effetti tradizionali del massaggio quali il miglioramento della circolazione e la riduzione della tensione muscolare. La maggior parte delle tecniche di massaggio presentano un basso rischio di effetti avversi. Shiatsu Lo shiatsu è una pratica nata in Giappone: è stato per la prima volta codificato da Toshiru Namikoshi e in seguito da Shizuto Masunaga. Nei diversi Paesi in cui si è diffuso, lo shiatsu è stato poi elaborato anche in altri stili che si mantengono fedeli alle caratteristiche tecniche fondamentali di questa pratica. Lo shiatsu si basa su tecniche di pressione portata con le dita, ma anche con i palmi, i gomiti, le ginocchia, secondo modalità codificate. Esso propone e recupera quei valori importanti del contatto e della relazione. Il contatto, come esigenza istintiva fondamentale connaturata all’uomo e a tutto il mondo animale in genere, stimola i processi fisici, ener- cal process at the basis of well-being and health. Contrarily to common massage, shiatsu is a treatment carachterized by an intense and deep effect, and it acts not only on the surface of physical body and muscular structure, but also on energy stratifications, thus treating the individual as a whole. Shiatsu stimulation determines a counterpression by the receiving body, like a response motion: thanks to this, the vital forces promoting the process of self-cure are waken up. Correct pressure, performed according to precise modality, exerts its effect directly on internal organs and on the energy nourishing them, restoring its proper and harmonious flow. To intervene with a really curative intent, a precise and detailed energetic diagnosis is mandatory. Shiatsu, in fact, is based on the theoretically refined ground of traditional chinese medicine, that includes always a therapeutic strategy aimed at restoring the function of organs and systems. With this ancient medicine, shiatsu shares, first of all, the concept of disease as a sign of energetic disequilibrium, meaning that the free flowing of energy is blocked. Shiatsu action field is very wide: from favouring a relaxed state, to improving functional physical disorders, not only osteo-articular and muscular ones. In particular, shiatsu allows the individual to get back in touch with his/her own potential for self-healing and health keeping. To believe or not to believe? That is the problem! Thomas Edison, genial inventor, at the beginning of the last century stated that 21 M. Luchetti getici e psichici che sono alla base del buon funzionamento di tutto l’organismo, del benessere e della salute stessa. A differenza del comune massaggio, lo shiatsu è un trattamento particolare contraddistinto da una capacità d’azione intensa e molto profonda e non si limita ad agire solo sulla superficie del corpo fisico e sulla struttura muscolare, ma va a coinvolgere le stratificazioni energetiche, con ripercussioni sulla globalità dell’individuo. La stimolazione operata dallo shiatsu determina una contropressione da parte dell’organismo del ricevente, un movimento di risposta: è proprio grazie a questo che si risvegliano le forze vitali dalle quali dipende il processo di autoguarigione. La corretta pressione, esercitata secondo modalità precise, va ad agire direttamente sugli organi interni e sull’energia che li alimenta, ripristinandone un flusso corretto ed armonioso. Per intervenire in modo veramente curativo, è indispensabile una diagnosi energetica precisa e dettagliata. Lo shiatsu, infatti, s’inserisce nell’ambito del raffinatissimo pensiero teorico della medicina tradizionale cinese, il quale prevede sempre una strategia terapeutica mirata al recupero della funzionalità di organi e apparati. Con questa antica medicina, lo shiatsu condivide innanzitutto il concetto di malattia, intesa come segnale di uno squilibrio energetico, vale a dire di blocco dell’energia nel suo libero fluire. La sfera d’azione dello shiatsu è molto vasta: dal predisporre e favorire lo stato di rilassamento, al miglioramento di disturbi fisici di tipo funzionale, non solo locomotorio e articolare. Lo shiatsu per22 the physycian of the future would not administer drugs, but would involve the patient in the cure of human body structure and functions, in alimentation, in disease causes and prevention. This is just what is practised by the so-called olistic medicine, the medicine of the wholeness, considering human beings as an undivided whole of body-mind-spirit. On this concept of unity all unconventional medicines are based. Frustration due to poor experience of pain management may lead patients to consult alternative practitioners as a last resort. Alternative therapies can offer patients an individual approach tailored to their specific needs. Even when the treatment fails to add substantially to pain relief, patients may still perceive benefit from the personal interaction of a holistic, empathetic approach and the feeling that their pain is taken seriously. Paradigmatic is, regarding to this, the story of Lord Edward Baldwin, recently published on the British Medical Journal, whose main passages are reported below. “My first experience of the unusual was 35 years ago. Having damaged my knees with too vigorous an outing in the British hills, I was sent to see , culminating in two eminent gentlemen in Harley Street. They prescribed varying forms of treatment and did me no good at all. Nor did a sports expert in the United States, who suggested the problem was in my mind. Three years later, hobbling with knee bandages and a mindset of incurability, I was directed by a colleague to a spiritual healer in a back street in Cambridge. He spent half an hour waving his hands over my knees while discoursing on his life as a school-master and Harold Wilson’s politics. I felt nothing, though I had been warned to expect heat or cold. I shall never forget my astonishment at levering Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore mette all’individuo, soprattutto, di tornare a mettersi in contatto con le proprie potenzialità di autoguarigione e mantenimento della salute. Credere o non credere? Questo è il problema! Thomas Edison, geniale inventore e non solo, all’inizio del secolo scorso affermava che “Il medico del futuro non somministrerà medicine, ma coinvolgerà il paziente nella cura della struttura e delle funzioni dell’organismo umano, nell’alimentazione, nelle cause e nella prevenzione delle malattie”. Questo è proprio ciò che mette in pratica la cosiddetta medicina olistica, ovvero la medicina del tutto, che considera l’essere umano come un insieme non separato di corpo-psiche-spirito. Su questo concetto di unità si basano tutte le medicine non convenzionali. La frustrazione che segue ad un cattivo controllo del dolore può spesso indurre i pazienti a rivolgersi alle terapie alternative come ultima spiaggia. Queste, a differenza delle terapie convenzionali, sembrano in grado di offrire ai pazienti un approccio individuale indirizzato ai loro bisogni specifici. Anche se il trattamento non offre un sostanziale miglioramento del controllo del dolore, i pazienti possono ugualmente percepire un effetto benefico derivante da un approccio olistico, empatico e dalla sensazione che il loro dolore viene preso sul serio. È emblematico, a tal proposito, il racconto di Lord Edward Baldwin, pubblicato recentemente sul British Medical Journal, di cui riportiamo i passi salienti. myself out of bed the next morning to find the pain had vanished, never properly to return. What is the orthodox explanation for this cure? The placebo effect. But no one has asked me what I in fact expected. Since the placebo effect may depend on the patient’s conscious or subconscious attitudes to treatment, this might be thought relevant. How likely is it that a patient who has consulted a succession of the best white coats, and has had three years of failure and pain, will expect to be cured by a blind old man without qualifications in an upstairs bedroom who is not even concentrating on the job? Not very. (I actually felt rather foolish visiting him.) And if the placebo effect is so powerful, why did it not manifest itself for any of the previous orthodox interventions where I did expect results? I conclude that, although the placebo effect remains a possible explanation, it is an unlikely one.” Actually, the principle critique against alternative therapies deals with their lack of scientific rigour. Evidence is crucial, but it needs to be based on solid scientific foundations. In lack of well conducted trials, placebo effect is often alleged by conventional medicine as an explanation of unconventional therapies results. Yet, one could suspect that placebo effect is a cover for the discomfort the medical mind experiences when faced with the unusual. This suspicion is reinforced by the tendency of doctors to give explanations before they have ascertained the facts. When, for example, a researcher writes in Science that “not 1000 experiments with 10 million trials and by 100 separate investigators giving total odds against chance of 10 to the one-thousandth to 1” will persuade him about something he considers impossible, one fears for scientific objectivity. Then, disciplines such as acupuncture and shiatsu, dating from 3,000 years, 23 M. Luchetti “La mia prima esperienza del non convenzionale è stata 35 anni fa. Mi ero lesionato le ginocchia in seguito ad una camminata in collina troppo vigorosa. Sono stato inviato da diversi specialisti, i quali hanno prescritto varie forme di trattamento, nessuna delle quali mi ha dato beneficio. Sono stato anche da un esperto di medicina sportiva, il quale ha persino suggerito che il problema fosse nella mia testa. Tre anni e innumerevoli eminenti specialisti dopo, quando zoppicavo, ero costretto a tenere fasciate le ginocchia e ero rassegnato mentalmente a convivere per sempre col dolore, un mio collega mi ha indirizzato da un guaritore spirituale nei sobborghi della mia città. Costui ha trascorso mezz’ora muovendo le mani sopra le mie ginocchia mentre chiacchierava della sua vita e di politica. Io non ho sentito alcunché, sebbene fossi stato avvertito che avrei potuto provare caldo o freddo. Non dimenticherò mai il mio stupore nell’alzarmi il giorno dopo dal letto e scoprire che il dolore era sparito, per non tornare mai più. Qual’è la spiegazione della medicina ortodossa di questa guarigione? L’effetto placebo. Ma nessuno mi ha chiesto che cosa io mi aspettassi effettivamente. E questo è importante, poiché l’effetto placebo può dipendere dall’atteggiamento conscio o inconscio con cui il paziente si rivolge al trattamento. Quanto è probabile che un paziente, che ha consultato una serie di eminenti camici bianchi ed ha sopportato tre anni di insuccessi terapeutici e di dolore, si aspetti di essere curato da un vecchio uomo cieco senza qualifica professionale che non si concentra nemmeno su ciò che sta facendo? Non molto. In effetti io mi sentivo piuttosto stupido ad andare da lui. E se l’effetto placebo è così potente perché non si è manifestato in nessuno dei precedenti interventi ortodossi dai quali sì che mi aspettavo risultati? Quindi, anche se l’effetto placebo rimane una possibile spiegazione, esso non è certo e nemmeno probabile.” 24 should wait for their scientificity to be proved before being applied? Billions of oriental people should have waited millennia for this “scientific” evidence, before having their doctors treat them with needles and hands? If complementary medicine’s successes are dismissed because they are deemed impossible, the evidence will never be gathered, and medical knowledge may lose valuable opportunities to move into new areas. After all, many medical advances begin with anecdote. With respect to this, it is interesting to remember the episode of that Austrian physician dealing with puerperal fever in Vienna at the end of the 19th century. He found out that the problem was due to a hygienic negligence: operators used to make autopsies and then take deliveries without washing their hands. Therefore, he suggested to his colleagues that they washed the hands with soap after each intervention. An apparently banal, simple, practically costless action, that modern doctors look at as absolutely mandatory. Well, doctors of that times raised such a war against their colleague that finally brought him to madhouse, and 50 years had to pass before recognizing he was right! How many people have died in those 50 years? How many sepsis could have been avoided? It is clear how times for recognition and acceptance of a a given reality or innovations by the conventional medicine are not as fast as one would expect. The situation at present Complementary medicine is marginalized in the healthcare systems of many Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore In effetti, la principale critica che viene fatta nei confronti delle terapie alternative è relativa alla loro mancanza di rigore scientifico. L’evidenza dei fatti è fondamentale ma ha bisogno di essere basata su solide basi scientifiche. In mancanza di ricerche ben condotte, l’effetto placebo viene spesso addotto dalla medicina convenzionale come spiegazione dei risultati delle terapie non convenzionali. Tuttavia, si potrebbe sospettare che l’effetto placebo sia una toppa per coprire il disagio in cui si viene a trovare la medicina ufficiale quando si confronta con eventi insoliti e non previsti. Questo sospetto è rinforzato dalla tendenza dei medici a dare spiegazioni ed emettere sentenze prima di avere accertato i fatti. Quando un ricercatore scrive su Science che “nemmeno 1000 esperimenti con 10 milioni di trials effettuati da 100 ricercatori separati che diano un risultato positivo attribuibile al caso con probabilità infinitesima” lo persuaderebbero di qualcosa che egli ritiene impossibile, beh! qualche dubbio sorge sull’obiettività scientifica! Ma allora le discipline come l’agopuntura o lo shiatsu, esistenti da 3.000 anni, devono aspettare che si attesti la comprovata scientificità prima di poter essere applicate? Miliardi di orientali avrebbero dovuto attendere per millenni queste prove “scientifiche” prima di farsi mettere gli aghi e le mani addosso? Se i successi delle terapie complementari vengono rifiutati a priori perché ritenuti impossibili, l’evidenza scientifica non potrà mai essere raccolta, e la conoscenza medica potrebbe perdere un’opportunità per esplorare queste nuove aree. Dopo tutto, molti progressi in medicina sono cominciati con episodi aneddotici. countries, but calls for a more integrated approach are growing louder and seem to be having an effect. Hostility to complementary medicine among doctors is starting to erode. Basic courses in various complementary therapies are now available in many medical schools in Britain and the United States. Complementary and alternative therapies are usually used alongside conventional treatments, rather than as a substitute. The typical European user of complementary medicine is a young or middle aged woman who is well educated and health conscious. Pain syndromes (low back pain, joint pain, headache) are among the major presenting complaints of unconventional therapies. Unconventional medicine is conquering more and more Italians, which often are converted to the several practices available to date: from chinese medicine to acupuncture, from homoeopathy to phytotherapy, from ayurveda to manipulative techniques and shiatsu. A wave that cannot be stopped, if the World Health Organization, the European Parliament and many countries have adopted or are in the process of adopting their own guidelines and coordination projects for the so-called “non conventional medicines”. Global wellbeing, obtained non invasively, is a topic that is winning more and more public favour and is including a growing number of interested people and adepts. ISTAT (Italian Institute for Statistics) has recently published a survey on unconventional therapies in the framework of a cooperation with the Superior Institute of Health. The study has been conducted on a sample of about 30 thou25 M. Luchetti A questo proposito, vale la pena ricordare la storia di quel medico austriaco che a Vienna alla fine dell’800 si occupava della febbre puerperale. Egli scoprì che il problema era dovuto ad una negligenza igienica. Gli operatori facevano le autopsie e poi facevano nascere i bambini, senza lavarsi le mani. Propose quindi che dopo ogni intervento i colleghi si lavassero le mani con del sapone. Una cosa apparentemente banale, semplice da effettuare, praticamente di nessun costo, che a noi medici moderni sembra assolutamente imprescindibile oggi. Eppure, a quel medico i colleghi del tempo fecero una guerra tale da arrivare a rinchiuderlo in manicomio e sono dovuti passare circa 50 anni prima che gli dessero finalmente ragione! In quei 50 anni quanta gente è morta? Quante sepsi si sarebbero potute evitare? È evidente come spesso i tempi di riconoscimento e accettazione di una certa realtà o di innovazioni da parte della medicina convenzionale non sono così veloci come ci si aspetterebbe. La situazione attuale Le terapie non convenzionali sono ancora marginalizzate nei sistemi sanitari di molti paesi, ma la richiesta di un approccio integrato sta crescendo e sembra avere effetto. L’ostilità dei medici verso le terapie complementari sta incominciando a sgretolarsi. Corsi introduttivi per diverse terapie complementari sono stati attivati già in molte scuole mediche in gran Bretagna e Stati Uniti. Attualmente, le terapie complementari o alternative vengono usate assieme ai trattamenti convenzionali, piuttosto che in sostituzione di essi. Il tipico fruitore europeo delle terapie non 26 sands italian families, that is over 70,000 individuals. Istat appraisal on “Health conditions and resort to sanitary services 1999-2000” shows that from 1991 to 1999 the amount of people utilizing main unconventional treatments is almost doubled. Yet, Italy remains at the lowest levels among other European countries, even though the use of unconventional therapies is starting to grow and is spreading to relevant amounts of people. Between 1991 and 1999, the increase in the use of these therapies has been sensible: comparing the data available on the three main remedies (acupuncture, homoeopathy and phytotherapy), the amount of people that, in the last 3 years, has used at least one of them grows from about 7% in 1991 to 8.3% in 1994 and 12% in 1999. Such increase is mainly due to the larger diffusion of homoeopathy: the number of people resorting to it is more than threefold, from 2.5% to 8.2% during the same period. Increasing, though less remarkably, is also phytotherapy, whilst remains unchanged the number of people using acupuncture. In 2001, Italians stating they have used – quite methodically – unconventional techniques in the three years before the survey, are about 9 millions, that is 15.6% of the population. Prevailing among all other therapies is undoubtedly homoeopathy: the most used and integrated with other conventional therapies. Four millions of people (8.2%), according to Istat, utilize homoeopathy. Then, follow manual treatments (7%), phytotherapy (4.8%), acupuncture (2.9%) and, finally, other unconventional techniques (1.3%). Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore convenzionali è una donna giovane o di mezza età, ben educata e che tiene alla propria salute. Le sindromi dolorose (lombalgia, artralgia, cefalea) sono fra le maggiori cause di ricorso alle terapie non convenzionali. Le medicine non convenzionali conquistano sempre più italiani, che spesso si “convertono” alle numerose pratiche oggi disponibili: dalla medicina cinese all’agopuntura, dall’omeopatia alla fitoterapia, dall’ayurveda ai trattamenti manuali della chiropratica e dell’osteopatia, allo shiatsu. Un’ondata inarrestabile, se è vero che la stessa Organizzazione mondiale della Sanità, il Parlamento europeo e moltissimi Paesi hanno o stanno adottando proprie linee guida e di coordinamento per le Medicine cosiddette “non convenzionali”. Il benessere globale, raggiunto in modo non invasivo e incruento, è una tematica che sta sempre più ottenendo il favore della pubblico e che presenta un numero crescente di interessati e adepti. L’ISTAT ha recentemente realizzato un’indagine sulle terapie non convenzionali nel quadro di una convenzione con l’Istituto Superiore di Sanità. Lo studio è stato condotto su un campione di circa 30 mila famiglie, pari ad oltre 70 mila individui. Le stime Istat sulle “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari 1999-2000”, mostrano che dal 1991 al 1999 è quasi raddoppiata la quota di persone che utilizza i principali trattamenti non convenzionali. Tuttavia, l’Italia resta ai livelli più bassi della media europea, sebbene l’uso di terapie non convenzionali cominci a crescere e a diffondersi tra quote importanti di popolazione. Children up to 14 years of age using unconventional treatments are about 9.2%. The type of treatment more used is homoeopathy, adopted by 7.7% of children. Furthermore, 4.8% of Italians take phytotherapeutic remedies, twofold compared to just ten years ago. Women using unconventional therapies are more (about 5 millions and a half, 18.2%) than men (3 millions and a half, 12.9%). The typical consumer is 35 to 44 years of age (25.4%). The user is carachterized by a middlehigh school education. The tendency to use unconventional therapies increases with increasing qualification: 24.1% of those who have a degree or diploma have used at least one type of unconventional method, versus 18.8% of those who finished secondary school and 11.2% of those who finished primary school or had no education at all. Higher is qualification, greater is people self-determination: 33.3% of graduated people say they have decided autonomously to make resort to unconventional therapies, while the percentage decrease to 18.5% among those who possess lower qualification. The territorial distribution of the phenomenon shows some significant results: in North-eastern Italy almost one italian out of four uses at least one unconventional therapy, in Middle Italy one out of six in South Italy one out of fifteen. The resort to these therapies is reported to family doctors in 59.6% of the cases. Interestingly, 30.9% of the sample population has turned to the world of alternative medicine upon suggestion from friends and not from a doctor. Noteworthy is also the incidence of those who “do by themselves”: 27.2%. More often 27 M. Luchetti Tra il 1991 e il 1999, l’aumento dell’uso di queste terapie è stato sensibile: confrontando i dati disponibili sui tre principali rimedi (agopuntura, omeopatia e fitoterapia), la quota di persone che, negli ultimi 3 anni, ne ha utilizzato almeno uno passa da circa il 7% del 1991 all’8,3% del 1994 fino a raggiungere il 12% nel 1999. Tale incremento è soprattutto dovuto alla maggior diffusione dell’omeopatia: il numero di persone che vi hanno fatto ricorso è più che triplicato, passando dal 2,5% all’8,2% nello stesso arco di tempo. In aumento, sia pur contenuto, è anche la fitoterapia, mentre rimane invariata la quota di coloro che si sono curati con l’agopuntura. Nel 2001, gli Italiani che hanno dichiarato di aver utilizzato – con una certa sistematicità – metodi di cura non convenzionali, nei tre anni precedenti l’intervista, sono circa 9 milioni, pari al 15,6% della popolazione. A primeggiare su tutte è sicuramente l’omeopatia: la terapia più utilizzata e integrata con altre prassi convenzionali. Quattro milioni (8,2%), secondo l’Istat, ricorrono all’omeopatia. Seguono i trattamenti manuali, scelti dal 7% delle persone, la fitoterapia e l’agopuntura utilizzati rispettivamente dal 4,8% e dal 2,9% della popolazione e, infine, gli altri tipi di terapie non convenzionali (1,3%). I bambini fino a 14 anni sottoposti a trattamenti non convenzionali sono circa il 9,2%. Il tipo di trattamento più usato è l’omeopatia, che riguarda il 7,7% dei bambini. Ma non solo: il 4,8% degli italiani assume rimedi fitoterapeutici, il doppio dei pazienti rispetto a soli dieci anni fa. Sono più le donne (circa 5 milioni e 28 is a doctor (38%) that suggests this type of treatments, particularly in case of elderly people (57.5%). All of the person interviwed have been asked if they considered unconventional methods useful, even though they had not tried personally. 39.8% of the sample expresses a positive judgement on the usefulness of at least one type of unconventional therapy, while 23.1% state they are useless and 34.1% cannot give any opinion. Among those who believe that unconventional therapies are useful, there is a common tendency to ascribe to them a lower toxicity than conventional therapies (71%); 22.6% think that they are the only possible treatment for some kind of diseases; 20.5% ascribe to them a greater efficacy compared to conventional treatments; 13.2% state that these therapies allow for a better doctor-patient relationship. Treatment of pain syndrome is the main reason given by those who have used acupuncture and manipolative techniques, respectively 59.3% and 63.8%, while among those who use phytotherapy a relevant percentage (44.1%) choose it to improve the quality of life. The resort to homoeopathy does not appear to be associated with any specific pathologic condition. Those using homoeopathy remedies think it can treat pain syndromes (30%), acute diseases (24%), chronic diseases (11.8%), and is useful to improve the quality of life (28.6%). The level of satisfaction of those who have tried unconventional therapies is high: almost 70% of those who used them state they had beneficial effects. The most satisfied are the users of manipulative treatments (77.6%), while in this group 17.7% state they had only partial Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore mezzo, pari al 18,2%) che gli uomini (3 milioni e mezzo, pari al 12,9%) a usare i rimedi non convenzionali. La consumatrice tipo é tra i 35 e i 44 anni (25,4%). Il fruitore è caratterizzato da una scolarità medio-alta. La propensione a far uso dei metodi di cura non convenzionali aumenta all’elevarsi del titolo di studio: il 24,1% di chi è in possesso di una laurea o di un diploma ha fatto ricorso ad almeno un tipo di terapia non convenzionale, contro il 18,8% di coloro che hanno la licenza media e l’11,2% di chi ha conseguito la sola licenza elementare o nessun titolo. Più alto è il titolo di studio, maggiore è l’autodeterminazione delle persone: nel 33,3% dei casi i laureati dichiarano di aver deciso autonomamente il ricorso alle terapie non convenzionali, percentuale che scende al 18,5% tra coloro che hanno un titolo di studio basso. La distribuzione territoriale del fenomeno rileva alcuni dati significativi: nel Nord-Est, quasi un italiano su quattro utilizza almeno una delle terapie non convenzionali, al Centro uno su sei, al Sud uno su quindici. Il ricorso a queste terapie è comunicato al proprio medico curante nel 59,6% dei casi. Ed è interessante notare come il 30,9% del campione si sia rivolto al mondo dell’alternativo su indicazioni di persone amiche e non di un medico. Notevole è anche l’incidenza sul campione di coloro i quali “fanno da sé”: il 27,2%. Più spesso è invece un medico (38%) a consigliare questi tipi di trattamento, soprattutto nel caso di persone molto anziane (57,5%). A tutti gli intervistati è stato chiesto se ritenevano utili i metodi di cura non convenzionali, anche se non li avevano benefits and only 3.3% think they got no benefit at all. High is also the percentage of satisfaction among the users of phytotherapy (74.6% of satisfied people versus 18.8% claiming only partial benefits). Similar are the percentages with respect to homoeopathy (72.9% of satisfied patient versus 18.5% claiming partial benefits). Conclusions Given that many complementary medicine techniques are defined in terms of a static historical tradition, discussing recent advances in complementary medicine is almost a contradiction in terms. None the less, few acquainted with complementary medicine would deny that substantive shifts in its scientific base and organisational structure have occurred recently. These shifts might indicate that complementary medicine is becoming more integrated. Integration means that similar clinical, scientific, and regulatory standards are being applied across all forms of health care. Integration has obvious implications for: 1) access to and availability of care; 2) practitioners agreement on their respective roles; 3) patients feeling they are receiving care as part of a coordinated service. As discussed above, unconventional therapies represent valuable strategies, particularly for the treatment of acute and chronic pain. These can rarely be exploited in a busy surgery or on a hardpressed understaffed ward, but could, and should, form the basis of care within multidisciplinary pain management clinics. If the principles of alternative therapists could be combined with the effi29 M. Luchetti sperimentati direttamente. Il 39,8% delle persone ha espresso un giudizio positivo sull’utilità di almeno un tipo di terapie non convenzionali, il 23,1% le definisce non utili e ben il 34,1% non sa esprimere alcun giudizio. Per chi ritiene utili le terapie non convenzionali è generale la tendenza ad attribuire a queste una minore tossicità rispetto alle terapie tradizionali (71%); ben il 22,6% delle persone ritiene inoltre che siano l’unica possibilità di trattamento per alcuni tipi di patologie; il 20,5% attribuisce una maggiore efficacia rispetto alle terapie convenzionali; il 13,2% afferma che queste terapie consentono un miglior rapporto tra medico e paziente. La cura di sindromi dolorose è il principale motivo addotto da quanti hanno fatto ricorso ad agopuntura e trattamenti manuali, rispettivamente il 59,3% e 63,8%, mentre tra coloro che utilizzano la fitoterapia una quota rilevante (44,1%) vi ricorre per migliorare la qualità della vita. Il ricorso all’omeopatia non appare associato ad alcuna specifica condizione patologica. Chi usa rimedi omeopatici ritiene di poter curare in questo modo tanto le sindromi dolorose (30%) che le patologie acute (24%) o croniche (11,8%) e ben il 28,6% degli utilizzatori usa trattamenti omeopatici per migliorare la qualità della vita. È elevato il livello di soddisfazione di chi ha sperimentato le terapie non convenzionali: quasi il 70% di coloro i quali hanno fatto uso dei diversi approcci terapeutici dichiara di averne avuto dei benefici. I più soddisfatti sono gli utenti dei trattamenti manuali (ben il 77,6%), il 17,7% dichiara di aver avuto benefici solo parziali e soltanto il 3,3 % ritiene di non avere avuto alcun beneficio. Ele30 cacy of a carefully assessed, evaluated, and flexible pharmacological regimen, as well as with other conventional techniques, much of the misery of pain could be reduced. Perhaps now is the time to accept the limitations of conventional medicine and a “one size fits all policy” and to embrace a comprehensive multidimensional approach to pain management. Each of us is free to believe or not to unconventional medicine, according to his/her own knowledge, experience, sensations. But what none of us should ever forget is to always keep an open mind!!! Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore vata anche la percentuale di soddisfatti tra coloro che hanno fatto uso di fitoterapia (74,6% di soddisfatti contro 18,8% di chi dichiara benefici solo parziali). Poco più basse le percentuali per ciò che riguarda l’omeopatia (72,9% di soddisfatti contro 18,5% di persone che dichiarano benefici solo parziali). Conclusioni Dato che molte tecniche terapeutiche non convenzionali sono definite in termini di tradizione storica, necessariamente statica, discutere dei progressi di queste terapie risulta quasi una contraddizione. Tuttavia, non si può negare che dei passi sostanziali sono stati fatti recentemente per quel che riguarda la loro struttura organizzativa e le loro basi scientifiche. Ciò sembrerebbe indicare che le terapie non convenzionali stanno diventando più integrate. Integrazione vuol dire che simili standards clinici, scientifici e regolatori vengono applicati in tutte le forme di scienze della salute. Da tale integrazione deriverebbero: 1) un miglioramento delle possibilità di accesso alle cure e disponibilità delle stesse per tutti; 2) un accordo tra le varie figure professionali sui rispettivi ruoli; 3) la sensazione da parte del paziente di ricevere le cure da un servizio coordinato. Come abbiamo visto, le terapie non convenzionali rappresentano strategie importanti, in particolare per il trattamento del dolore acuto e cronico. Queste raramente possono essere intraprese in un reparto di chirurgia o medicina dove il personale è quasi sempre scarso e sotto pressione, ma potrebbero e dovrebbero costituire le basi della cura in una clinica per il trattamento multidisciplinare del dolore. Se i principi delle terapie non convenzionali potessero essere combinati con l’efficacia di un regime farmacologico attentamente valutato e flessibile, nonché con l’uso di altre tecniche di tipo convenzionale, gran parte della sofferenza del dolore potrebbe essere evitata. Forse è tempo di riconoscere i limiti della medicina convenzionale, in particolare della politica secondo la quale “una misura va bene per tutti”, e abbracciare un approccio olistico multidimensionale al trattamento del dolore. Ognuno di noi è libero di credere o non credere alla medicina non convenzionale, in base alle proprie conoscenze, esperienze e sensazioni. Ma quello che nessuno di noi dovrebbe mai dimenticare è di mantenere sempre una mente aperta!!! Bibliografia essenziale / Essential references Medicina complementare - Complementary medicine Baldwin E. Time for a fresh look at complementary medicine. BMJ 2003;326:1322. Ernst E. Prevalence of use of complementary/ alternative medicine: a systematic review. Bull World Health Organ 2000; 78: 252-7. Vickers A. Complementary medicine. BMJ 2000; 321: 683-6. Paterson C, Britten N. ‘Doctors can’t help much’: the search for an alternative. Br J Gen Pract 1999; 49: 626-9. Haetzman M, Elliott A, Smith B, Hannaford P, Chambers W. 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The effects of shiatsu on lower back pain. J Holist Nurs. 2001; 19: 57-70. REVIEW SU INVITO / INVITED REVIEW Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo A review of acute renal failure in intensive care unit: the nephrologist’s viewpoint MARCELLO BECCARI Struttura Complessa Nefrologia e Dialisi - Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli ed Oftalmico, Milano Introduzione Introduction ’insufficienza renale acuta (ARF) complica di circa il 5% i ricoveri ospedalieri e del 30% i ricoveri in terapia intensiva (ICUs). La ARF è classificata in: 1. azotemia prerenale (70% circa dei casi), quale risposta fisiologica all’ipoperfusione renale, con conservazione dell’integrità del tessuto renale; 2. azotemia intrinseca renale (25% circa), provocata dall’ischemia e/o da tossine; 3. azotemia postrenale (5%) (1, 2). L’azotemia intrinseca si sviluppa in caso di “vera” e protratta ipovolemia (a seguito di emorragia, vomito, diarrea, poliuria grave, ustioni, febbre elevata) e/o quando oil reale volume circolatorio è diminuito per lungo tempo (a seguito cute renal failure (ARF) complicates about 5% of admissions to hospital and 30% of admissions to intensive care units (ICUs). ARF is conveniently classified as: 1. prerenal azotemia (about 70%), a physiological response to renal hypoperfusion in which the integrity of renal tissue is preserved; 2. intrinsic renal azotemia (about 25%), induced by ischemia and/or nephrotoxins; 3. postrenal azotemia (5%) (1, 2). Intrinsic azotemia develops in cases of protracted “true” hypovolemia (hemorrhage, vomiting, diarrhoea, diuresis, burns, hyperpyrexia) and/or protracted decreased “effective” circulatory volume (cardiac or liver failure, nephrotic syndrome, sepsis) and can be drug-induced by NSAIDs, ACEIs and several other medications. Intrinsic causes are categorized according to the primary site of injury (tubules, interstitium, vessels or glomerulus). However, most cases (around 90%) are classically associated L Address for reprints Indirizzo per la richiesta di estratti MARCELLO BECCARI S.C. Nefrologia e Dialisi A.O. Fatebenefratelli e Oftalmico Corso di Porta Nuova, 23 20121 Milano, Italia ACTA ANAESTH. ITALICA 55, 33-78, 2004 A 33 M. Beccari di scompenso cardiaco o epatico, sindrome nefrosica, sepsi), e può essere provocata da molti farmaci tra i quali i NSAIDs e ACELs. Le cause intrinseche sono definite in primo danno creato al rene (tubulo, interstizio, vasi o glomeruli) e in molti casi (circa 90%) sono associate con una necrosi acuta del tubulo (ATN). Nell’azotemia prerenale, la quantità di urine emesse è scarsa mentre nella ATN è variabile (sindrome oliguria o non oliguria). Oliguria è arbitrariamente definita la produzione di una quantità inferiore a 400ml di urine nelle 24 ore mentre si parla di anuria se la diuresi si riduce a meno di 100 ml al giorno. Tra l’azotemia prerenale e l’azotemia intrinseca, è riconosciuta sempre più frequentemente una “sindrome intermedia” frequente nel malato con ARF non di orgine ischemico o nefrotossica, che risponde in parte all’infusione di liquidi e che probabilmente rappresenta una forma lieve di ATN. I principali meccanismi patogenetici chiamati in casusa nella ARF di orgine ischemica sono: 1. ipoperfusione corticale azotemia prerenale; 2. ipoperfuisione midollare sindrome intermedia; 3. ischemia midollare ATN; 4. ischemia corticale necrosi corticale. Gli indici urinari che permettono di distinguere la forma prerenale dalla ATN sono descritti nella tabella. L’interpretazione degli indici renali richiede grande cautela. Il materiale urinario dovrebbe essere raccolto prima del riempimento volemico e dovrebbe essere usato soltanto se i campioni di urine e 34 with acute tubular necrosis (ATN) and, as a result, the term ATN is commonly employed to denote intrinsic azotemia. Urine output is low in prerenal azotemia and variable in ATN (oliguric and nonoliguric pattern). “Oliguria” is arbitrarily defined as the production of less than 400 ml of urine in 24h. The production of less than 100 ml of urine is termed “anuria”. Between prerenal azotemia and intrinsic azotemia, an “intermediate syndrome” is being increasingly recognized: patients with non-oliguric ischemic or nephrotoxic ARF, partial response to fluids challenge, and probably represents a milder form of ATN. Postulated major pathogenetic mechanisms of ischemic ARF are the following: 1. cortical hypoperfusion prerenal azotemia; 2. medullary hypoperfusion intermediate syndrome; 3. medullary ischemia ATN; 4. cortical ischemia cortical necrosis. Urinary indexes and findings can help distinguish prerenal failure from ATN (see table). Interpretation of urinary indexes requires caution. Urine specimens should be collected before the use of fluid replacement, and can be used only if urine and serum samples are obtained before administation of loop diuretics or mannitol and dopamine, and if underlying chronic renal failure CRF) and urinary tract obstruction have been excluded. Moreover, the urine must not contain glucose or radiographic contrast material. About 5 to 20% of oliguric patients have urinary indices that fall into the Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo U Na (mmol/L) FE Na * Prerenal ARF Intermediate syndrome ATN (oliguric) < 20 20-40 > 40 <1 1-2 >2 Urinary specific gravity > 1020 1010-1020 < 1010 U osm (mosmol/kg H O) > 500 350-500 < 350 U/P osm > 1.5 1.1-1.5 < 1.1 U/P creat > 40 20-40 < 20 U/P urea >8 3-8 <3 P urea/P creat > 10 < 10 Urine sediment Proteinuria normal or occasional granular casts hyaline and granular casts cellular debris 0+ to 1+ 1+ to 2+ * FE Na (% fractional excretion of Na) = the ratio U/P Na to U/P creatinine x 100 In our opinion, calculating FE Na adds little to the urinary concentration of sodium (U Na) di siero sono stati prelevati prima della somministrazione di diuretici, mannitolo e dopamina, e quando una preesistente insufficienza renale cronica (CRF) o un’ostruzione delle vie escretorie urinarie è stata esclusa. Inoltre, le urine non devono contenere glucosio o materiale di contrasto radiologico. Il 5-10% dei malati oligurici presentano indici urinari non chiaramente patologici e quindi caratterizzano la sindrome intermedia. Prima dello sviluppo delle terapie dialitiche, le più frequenti cause che portavano a morte il malato con ARF erano l’uremia, l’iperpotassiemia e il sovraccarico di circolo. Con l’avvento della dialisi, le più frequenti cause di morte sono dovute alla sepsi e all’insufficienza cardiorespiratoria: La mortalità per ATN permane oltre il 50% e negli ultimi 40-50 anni si è poco ridotta nonostante il supporto terapeutico avanzato. La persistenza dell’elevata mortalità è legata probabilmente all’evoluzione della patologia di base che overlap zone, called intermediate syndrome. Before the development of dialytic therapies, the most common causes of death were uremia, hyperkalemia and complications of volume overload. With the advent of dialysis, the most common causes of death are sepsis and cardiovascular and pulmonary dysfunction. The mortality rate from ATN continues to be around or greater than 50% and has changed little over the past 40-50 years, despite significant advances in supportive care. The persistence of such high mortality is probably the evolution of the disease spectrum underlying the development of ATN (older or more complex patients, frequently in association with multiorgan system failure - MOF). Mortality rates differ, however, depending on tha cause, being approximately 7% among patients admitted to hospital with prerenal azotemia, about 15% in obstetrics patients, about 30% in toxin-related cases, and around 60% after trauma or major surgery. 35 M. Beccari hanno portato alla ATN (malati anziani o con patologie molto complesse, spesso associate ad insufficienza multiorgano – MOF). La mortalità differisce in rapporto alla causa, essendo approssimativamente del 7% nei malati ricoverati con azotemia prerenale, del 15% nelle patologie ostetriche, del 30% nelle tossicosi e del 60% circa dopo trauma o chirurgia maggiore. La ARF per se stessa rappresenta un fattore di rischio specifico e indipendente per la prognosi negativa (3, 4), ma quando la ARF si sviluppa in presenza di una MOF e in special modo in malati affetti da grave ipotensione e ARDS, la mortalità aumenta sino al 50-80%. Nei malati settici la mortalità è del 74.5% mentre nei non settici è del 45.2% (5). Dei malati che sopravvivono ad un episodio di ARF in terapia intensiva, tra il 5% e il 30% restano per lungo tempo in dialisi senza una guarigione completa (6). In una indagine condotta in 16 terapie intensive in Scozia, in un lasso di tempo di due anni, la mortalità rilevata è stata del 64% nei malati che hanno ricevuto sia la terapia di rimpiazzo renale (RRT) sia la ventilazione artificiale: La mortalità è stata del 64.2% e l’insufficienza renale finale è stata riscontrata nell’1.6% dei sopravvissuti alla ARF e nel 33% dei sopravvissuti per precedente CRF (7). Indagini diagnostiche nella ARF Sonografia (US) Viene principalmente impiegata per escludere le ostruzioni renali e per evidenziare l’idronefrosi. La certezza diagnostica non è sempre assicurata. È stata descritta la ARF da ostruzione 36 ARF per se represents a specific and independent risk factor for poor prognosis (3, 4), but when ARF occurs in the setting of MOF, especially in patients with severe hypotension or ARDS, the mortality rate ranges from 50 to 80%. Moreover, mortality was reported higher in patients with septic ARF (74.5%) than in those whose ARF did not result from sepsis (45.2%) (5). Of patients who survive an episode of ARF in the ICU, 5% to 30% will remain on long-term dialysis therapy without renal recovery (6). In patients receiving both renal replacement therapy (RRT) and mechanical ventilation in 16 Scottish ICUs over a 2-year period, the mortality rate was 64.2%, end-stage renal failure (ESRF) developed in 1.6% of the survivors of ARF and in 33% of the survivors with preexisting CRF (7). Imaging techniques in ARF Sonography US The generally accepted value of US is largely to exclude renal obstruction. US is accurate in detecting hydronephrosis. However, false-negative results may occur. ARF due to bilateral obstruction with nondilated urinary tract has been reported. The renal size may increase in ATN, interstitial nephritis and acute glomerular nephritis. Most patients with nonobstructive ARF have normal renal echogenicity but sometimes hyperechogenicity, increased parenchymal thickness and increased corticomedullary differentiation are seen. Duplex Doppler US Most patients with ATN reveal mark- Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo bilaterale dei tratti urinari non dilatati. La dimensione del rene può aumentare nella ATN, nella nefrite interstiziale e nella glomerulonefrite acuta. Molti malati con ARF di origine non ostruttiva hanno una normale ecogenicità ma qualche volta possono presentare iperecogenicità, aumento dello spessore parenchimale e della differenziazione corticomidollare. Duplex Doppler ultrasonografia Molti malati con ATN presentano un anormale profilo del flusso al Doppler, un aumento della pulsatilità o una perdita del flusso diastolico, e un elevato indice resistivo renale (RI). Nell’anziano disidratato con nefrosclerosi ipertensiva, di freqeunte riscontro clinico, è presente un’elevato RI per una preesistente patologia renale. Variazioni nelle curve di onda del Doppler simili a questa condizione clinica si possono vedere nella ARDS legata a varie cause che includono la sepsi, l’ipovolemia, la rabdomiolisi, l’assunzione di farmaci tossici e nella MOF. Questo tipo di indagine diagnostica è stato impiegato quale metodica non invasiva nella diagnosi di ostruzione renale ed un’ importante caduta della RI è stata segnalata dopo nefrectomia. Color e Power Doppler US Entrambe le metodiche permettono un’ottima valutazione del sistema vascolare renale e facilitano il riconoscimento di una significativa ma non specifica riduzione della perfusione renale. TAC con e senza mezzo di contrasto L’esame TAC può aggiungere importanti informazioni nella maggior parte di malati nei quali la sonografia si era dimostrata non risolutiva. edly abnormal Doppler flow profiles, increased pulsatility or loss of the diastolic flow, and an elevated renal resistive index (RI). However, in elderly dehydrated patients with hypertensive nephrosclerosis, a common situation in clinical practice, an elevated RI value is usually present, due to preexisting renal parenchymal disease. Moreover, similar changes in Doppler waveforms may be seen from a variety of causes of ARF, including sepsis, hypovolemia, rhabdomyolysis, nephrotoxic drug intake and MOF. Duplex Doppler sonography has been reported to be a useful noninvasive technique for the diagnosis of renal obstruction, and a significant fall in RI is reported after nephrostomy. Color-Power Doppler US Color Doppler and power Doppler US equipment allow excellent evaluation of renal vasculature. A significant, but nonspecific, reduction of renal perfusion is usually appreciable. Unenhanced CT and Contrast-enhanced CT Unenhanced CT adds important information in the majority of patients with indeterminate sonograms. Iodinated contrast agents are in general contraindicated in patients with ARF because of the high risk of exacerbation of renal disease. Contrast-enhanced CT should be performed only when US, unenhanced CT and MRI are not available, or their results are questionable. When contrast imaging is needed, adequate hydratation is mandatory, and nonionic low-osmolarity contrast media must be used. Risk factors for contrast-induced ARF include preexsisting renal impairment, diabetes 37 M. Beccari I mezzi di contrasto iodati sono generalmente controindicati nei malati con ARF per l’alto rishio di peggioramento della patologia renale. La TAC con mezzo di contrasto dovrebbero essere effettuate soltanto quando la US, la TAC senza mezzo di contrasto e la Risonanza Magnetica non sono disponibili o quando i loro risultati sono dubbi. Quando è necessario l’uso del mezzo di contrasto, è indispensabile effettuare un’adeguata idratazione e usare possibilmente un contrasto non ionico a bassa osmolarità. Fattori di rischio che possono provocare una ARF sono un preesistente danno renale, il diabete mellito, le malattie cardiovascolari, l’uso di diuretici, il mieloma multiplo, l’ipertensione, l’ipeuricemia, la riduzione della massa circolante e l’età avanzata. Il meccanismo che crea la tossicità del mezzo di contrasto non è completamente conosciuto ma trae origine da differenti fattori che includono le variazioni emodinamiche renali, la tossicità tubulare e l’ostruzione intratubulare. In ogni caso, il meccanismo vascolare sembra che giochi un ruolo predominante. L’ischemia renale, specialmente se è interessata la parte midollare, resta quale maggiore origine della ARF se questa compare a seguito di somministrazione di mezzo di contrasto. Risonanza magnetica La MRI, nei malati affetti da ARF, dovrebbe essere preferita alla TAC e a tutte le altre metodiche che usano mezzi di contrasto in quanto con l’impiego del gadolinio non sono stati segnalati danni da nefrotossicità. 38 mellitus, cardiovascular diseases, use of diuretics, multiple myeloma, hypertension, hyperuricemia, volume depletion and advanced age. The mechanism of contrast nephrotoxicity is incompletely known, and involves multiple factors including renal hemodynamic changes, tubular toxicity and intratubular obstruction. However, the vascular mechanism seems to play a leading role. Renal ischemia, especially in the medulla, remains the main explanation of contrast medium-induced ARF. Magnetic Resonance Imaging (MRI) MRI should be preferred to contrastenhanced CT and other contrastographic techniques in patients with ARF, because no significant nephrotoxicity is reported with the use of gadolinium. Role of renal biopsy in ARF In general, renal biopsy is not necessary in the evaluation and therapy of patients with ARF. However, when the history, clinical features, and laboratory and radiologic investigations have excluded prerenal and postrenal causes and suggest a diagnosis of primary renal disease other than ischemic or toxinrelated ARF, a kidney biopsy may establish the diagnosis and guide therapy. Dialisis treatment: open issues Several key questions have yet to be answered: 1. when should HD be started? 2. how intensively should patients be treated? that is, what is the optimal dose of dialysis? (extrapolation of required dialysis dose from recommendations in chronic dialysis is unlikely to be appro- Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo Dialysis technique nomenclature Abbreviation Definition Description IHD Intermittent hemodialysis 4 h in alternate-day schedule; blood flow rate at 250-350 ml/m’; dialysate flow rate at 500 ml/m’; solute removal (transport mechanism) is mainly by diffusion DD Daily dialysis intermittent, 2-3 h, but more frequent than IHD, by increasing treatment frequency CAVH Continuous arteriovenous hemofiltration driving force is patient’s blood pressure or external pump; ultrafiltrate produced is CVVH Continuous venovenous hemofiltration replaced with a replacement solution; ultrafiltration in excess of replacement results in patient volume loss; solute removal is through convection HVHF High-volume hemofiltration adaptation of CVVH, using ultrafiltration rates of 2.0 to 4.0 L/h CAVHD Continuous arteriovenous hemodialysis driving force is patient’s blood pressure or external pump; dialysate solution is delivered CVVHD Continuous venovenous hemodialysis across membrane countercurrent to blood flow at a rate slower (1 to 2 L/h) than blood flow rate; fluid replacement isnot routinely administered; solute removal is by diffusion and convection SLEDD Slow extended daily dialysis intermittent, 6-12 h hemodialysis, with aslow blood and dialysate flow rate EDD Extended daily dialysis intermittent, 6-8 hemodialysis, with a low dialysate and blood flow rate CAVHDF Continuous arteriovenous hemodiafiltration driving force is patient’s blood pressure or external pump; dialysate solution is CVVHDF Continuous venovenous delivered across membrane countercurrent to blood hemodiafiltration flow at a rate slower (1 to 2 L/h) than blood flow rate; ultrafiltration volumes are optimized to exceed desired weight loss and enhance solute clearances from convection; fluid losses are replaced in part or completely with replacement solution; solute removal is both diffusive and convective CPD Continuous peritoneal dialysis fluids from sterile bags are infused into the peritoneal cavity, at variable volumes; solute removal by diffusion and convection 39 M. Beccari Characteristics of various types of renal replacement therapy for ARF Type Complexity Efficiency Volume control Use in ICUs IHD + + + +++ DD + ++ ++ ++ CAVH ++ +(+) ++ –/+ CAVHD ++ ++(+) +++ –/+ CVVH +(+) ++ ++ ++ HVHF ++ ++(+) ++ + CVVHD ++ ++(+) +++ + SLEDD +(+) ++ ++ + EDD +(+) ++ ++ + CAVHDF +++ +++ +++ –/+ CVVHDF +++ +++ +++ ++ + –/+ –/+ –/+ CPD Ruolo della biopsia renale nella ARF La biopsia renale non è necessaria nella valutazione e nel trattamento del malato affetto da ARF ed essa può essere utile per migliorare la diagnosi e a indirizzare la terapia quando l’anamsesi, il quadro clinico, gli esami di laboratorio e radiologici hanno escluso una causa prerenale e postrenale. Trattamento Parecchie questioni chiave non hanno ricevuto ancora oggi una risposta ed in modo particolare: 1. Quando dovrebbe essere iniziata l’emodialisi? 2. Come dovrebbe essere trattato intensivamente il malato? 3. Quale è la dialisi ottimale? 4. È meglio effettuare un maggior numero di dialisi? 5. Quale è la migliore membrana dialitica? (cellulosa vs. la sintetica: PAN/ AN-69, PMMA, polysulfone). 40 priate because of the lack of a steady state) 3. which type of dialysis is best? (conventional intermittent hemodialysis - IHD vs continuous renal replacement therapies - CRRTs) 4. is more HD better? 5. which type of dialysis membrane is best ? (cellulose vs synthetic noncellulose: PAN/AN-69, PMMA, polysulfone). Although CRRTs have a theoretical advantage compared with IHD in critically ill and hemodynamically unstable patients with sepsis and/or MOF (better hemodynamic tolerance due to a more gradual fluid and solute removal), there are no studies to support a beneficial effect on mortality compared with IHD. Peritoneal dialysis techniques continue to occupy a small niche for RRT in this setting, particularly in pediatric patients. J.J. Haitsma, R.A. Lachmann, B. Lachmann Nonostante le CRRTs abbiano nel malato critico ed emodinamicamente instabile per sepsi e/o per MOF (migliore tolleranza emodinamica per la graduale rimozione dei liquidi e dei soluti) un vantaggio teorico verso le IHD, non ci sono studi che supportano gli effetti benefici sulla mortalità con IHD. La dialisi peritoneale continua ad occupare una piccola nicchia terapeutica per la RRT, specialmente nei bambini. Impiego degli anticoagulanti nella CRRT La scelta dell’anticoagulante dovrebbe avvenire in rapporto alle caratteristiche del malato, all’esperienza degli operatori, alla facilità della monitorizzazione e alla tipologia dei farmaci. La scoagulazione sistemica dovrebbe essere effettuata con eparina (dosaggio standard non frazionato) LMWH, eparinoidi sintetici, prostacicline ed analogi o inibitori diretti della trombina (irudina, argatrobano, nefamostato mesilato). Non esiste unanime consenso su quale anticoagulante dovrebbe essere impigato come prima scelta. L’eparina non frazionata è ancora il maggior agente anticoagulante impiegato nei malati dializzati sia cronici sia acuti, che presentano una emostasi e un numero di piastrine normali. Nei malati che presentano un’auto-scoagulazione o che sono a rischio di sanguinamento, si ritiene che il trattamento possa essere fatto con successo con qualsiasi anticoagulante (8). Non è stato ancora completamente chiarito quando le tecniche di rimpiazzo renale senza anticoagulanti provochino il consumo dei fattori della coagulazione o l’alterazione delle piastrine. Anticoagulation in CRRTs The choice of anticoagulant should be determined by patient characteristics, local expertise, ease of monitoring (bed-side vs. specialized laboratory tests), and pharmacy issues. Systemic anticoagulation can be performed with heparin (standard unfractioned), LMWH, synthetic heparinoids, prostacyclin and analogues, or direct thrombin inhibitors (hirudin, argatroban, nafamostat mesylate). There is no consensus currently on which anticoagulant should be the first choice. Standard unfractioned heparin is still the main antithrombotic agent for chronic and acute HD patients with normal hemostasis and normal platelet count. In patients who are autoanticoagulated or are at high risk of bleeding, consensus exists that treatment can be carried out successfully without any anticoagulation (heparinfree HD, often combined with saline flushes, used for short-lasting procedures, although circuit life may be less) (8). Whether renal replacement therapies (RRTs) without anticoagulation results in consumption of clotting factors or in platelet dysfunction has not been investigated. Regional heparinization combined to neutralization with protamine and regional citrate anticoagulation are optional complicated procedures, with rebound bleeding some hours after HD is completed (9). Heparin-coated membranes (nonthrombogenic surfaces) have been shown to prevent thrombus formation and prolong filter life, with preservation of platelet numbers (10, 11). 41 M. Beccari L’eparinizzazione regionale, unita alla neutralizzazione con la protamina, e l’anticoagulazione regionale con citrato rappresentano delle complicate procedure che possono portare al rischio del sanguinamento da rebound dopo qualche ora dal termine della dialisi (9). Le mebrane rivestite d’eparina (superfici non trombogeniche) si dimostrato utili nella prevenzione della formazione del trombo e nel prolungare la durata del filtro, con riduzione del danneggiamento delle piastrine (10, 11). Ruolo dei farmaci vasoattivi: dopamina a basso dosaggio Per prevenire e per trattare l’ARF nei malati critici, è stata in passato largamente usata la dopamina a “dosaggio renale” compreso tra 0.5 e 5 microgr/kg/ min (in genere 1-3 micrgr) associata o meno alla dobutamina. Questo dosaggio è stato a lungo ritenuto utile per provocare la vasodilatazione renale ed aumentare il flusso ematico renale. Studi clinici controllati non ne hanno confermata la sua validità e già dal 1994 il suo uso routinario è stato sconsigliato. Nonostante queste osservazioni (2, 12-16), la dopamina continua ad essere impiegata in terapia intensiva per i malati affetti da ARF. Il ritenerla utile (senza alcuna giustificazione) vale di più, in questo caso del suo reale valore terapeutico. Esistono sicure certezze sui suoi effetti indesiderati quali la tachiaritmia (flutterfibrillazione atriale) ad un aumento dello shunt polmonare, l’infarto miocardico, l’ischemia locale e alla necrosi (specialmente se ‘infusione è fatta attraverso 42 Role of vasoactive agents Low-dose Dopamine For both prevention and treatment of ARF in critically ill patients (CIPs), dopamine at a “renal dose” from 0.5 to 5 (usually, 1-3) mcg/Kg/min, associated or not with dobutamine, has been widely used for inducing renal vasodilatation and increasing renal blood flow. Clinical studies have not, however, demonstrated its efficacy, and only since 1994 has its routine use been not recommended. Regardless of these repetitive reservations expressed by various authors from time to time but especially during the last 10 years (2, 12-16), dopamine continues to be administered quite often in the ICU to CIPs with ARF. The credence of evidence presently on hand goes eloquently against the existence of renaldose dopamine and its role as a renal protective agent. Moreover, legitimate concerns exist in relation to potential adverse effects, ranging from tachyarrhythmias (atrial fibrillation-flutter) to pulmonary shunting, myocardial infarction, local ischemia and necrosis (especially during infusion through peripheral veins), gut ischemia and necrosis (considered a key determinant of prognosis of MOF), peripheral vascular ischemia and digital necrosis, suppression of anterior pituitary-dependent hormones, decreased T-cell proliferation, CNS effects, pulmonary hypertension, impaired hypoxic ventilatory responses, decreased gastric motility, increased metabolic rate, and increased weight loss. Additionally, dopamine accumulates, leading to an inaptly higher plasma level that could have both alpha- and beta-agonist effects, thus losing its so-called renal protective Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo una vena periferica), l’ischemia e alla necrosi GUT (considerata determinante nella prognosi della MOF), l’ ischemia vascolare periferica e la necrosi delle dita, l’inibizione degli ormoni dell’ipofisi anteriore, la riduzione delle T-cell, gli effetti negativi sul sistema nervoso centrale, l’ipertensione polmonare, lo sviluppo di ipossia, la riduzione della motilità gastrica, l’aumento del metablismo e la perdita di peso. Inoltre, quando la dopamina si accumula può raggiungere livelli plasmatici elevati mostrando effetti alpha e beta agonisti e perdendo in questo modo il cosidetto effetto protettivo renale. Dopo 2-3 giorni dall’inizio dell’infusione è stata dimostrata una tolleranza agli effetti vasodilatatori che aggiunge altre imprevedibili azioni farmacologiche. In conclusione, nell’era della medicina basata sull’evidenza, il fatto che la dopamina a basso dosaggio possa provocare una vasodilatazione renale deve essere rivisto stante le gravi complicanze che possono far seguito al suo impiego. Vasopressori Esistono vari dubbi sul loro impiego nella prima fase della ARF per la paura che la vasocostrizione renale possa vanificare i benefici derivanti dall’aumento della pressione del sangue. Noradrenalina e dopamina ad alti dosaggi Nei malati con shock settico, caratterizzati da una vasodilatazione sistemica e dall’alterata autoregolazione renale, la noradrenalina può migliorare il flusso ematico renale. Parecchi studi non controllati hanno messo in evidenza un aumento della diuresi e della filtrazione effect. A tolerance to vasodilatatory effects has been demonstrated within 2-3 days of initiating infusion, adding further unpredictability to its pharmacological action. In conclusion, in the era of evidence-based medicine, the speculative viewpoint that low-dose dopamine could have renal-sparing potential in high-risk clinical situations does not prove pragmatic and ought to be reconsidered. Vasopressors Physicians have always be concerned about their use for fear that intrarenal vasoconstriction would abrogate the benefits of increased blood pressure. Noradrenaline and High-dose dopamine In patients with septic shock, characterized by systemic vasodilatation and impaired renal autoregulation, noradrenaline (NOR) may be expected to improve renal blood flow. Several non-controlled studies have shown an augmented urine output and glomerular filtration rate (GFR) (17). The only randomized trial available reported that NOR administration resulted in higher blood pressure, systemic vascular resistance, and diuresis than high-dose dopamine (18). A prospective observational study found lower mortality in patients treated with NOR than in those treated with other vasopressors, mainly high-dose dopamine (19). Vasopressin Arginine vasopressin, administered in two studies, increased blood pressure, systemic vascular resistance, and cardiac and urine output (20, 21). However, vasopressor-induced vasoconstriction in many vascular beds with decreased vis43 M. Beccari glomerulare a seguito della sua somministrazione (17). L’unico trial randomizzato disponibile riporta che la somministrazione di noradrenalina procova un elevato aumento della pressione, delle resistenze vascolari sistemiche e un aumento della diuresi migliore rispetto ad un’alto dosaggio di dopamina (18). Uno studio prospettico ha dimostrao una minore mortalità nel malati trattati con noradrenalina rispetto a quelli trattati con altri vasopressori, inclusa la dopamina ad alte dosi (19). Vasopressina In due studi, la vasopressina, derivato dell’arginina, si è dimostrata utile nell’aumento della pressione ematica, delle resistenze vascolari, della gittata cardiaca e della diuresi (20, 21). Nonostante questi due studi, restano sostanziali perplessità sul rischio della riduzione del flusso renale e viscerale a seguito della vasocostrizione indotta da questo farmaco sul letto vascolare. Fenoldopam L’uso di questo farmaco, selettivo dopaminergico dei recettori 1 agonisti, evita la comparsa degli effetti indesiderati della dopamina e degli altri vasopressori. In un pccolo studio su 33 malati in ventilazione artificiale e PEEP, il fenodolpam ha mostrato un aumento del flusso glomerulare e della diuresi (22). In un recente studio randomizzato, il farmaco si è dimostrato utile per aumentare il flusso ematico renale senza provocare ipotensione (23). Comunque, non resta chiaro se l’aumento del flusso ematico renale da solo sia sufficiente per migliorare la funzione renale. 44 ceral and renal blood flow remains a current concern. Fenoldopam The use of this selective dopaminergic receptor-1 agonist may avoid some of the negative side effects of dopamine and other vasopressors. In one small uncontrolled study of 33 patients receiving mechanical ventilation and positive endexpiratory pressure (PEEP), fenoldopam was shown to increase both the GFR and the urine flow (22). In a more recent randomized study, fenoldopam was shown to increase renal blood flow without causing hypotension (23). However, it is unclear whether increases in renal blood flow alone are adequate to salvage renal function. Loop diuretics in CIPs with ARF High-dose loop diuretics (furosemide, bumetanide, torasemide) are commonly used in CIPs with early or established ARF. The rationale for their use rests on the assumption that they may (24): – decreased oxygen consumption in the tubular cells by inhibiting transcellular sodium transport and thus prevent or limit ischemic cell injury; – vasodilate cortical blood vessels and improve oxygenation; – increase tubular flow and reduce intratubular obstruction and backleak of glomerular filtrate into the renal interstitium by washing out cellular debris and casts, thereby accelerating resolution of ARF. Several studies have pointed out the limitations of diuretics for prevention and treatment of patients with ARF. The loop diuretics may be more effec- Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo Diuretici nelle CIPs con ARF Alte dosi di diuretici (furosemide, bumetanide, torasemide) sono comunemente impiegate sia in fase precoce sia a ARF conclamata. Il razionale per il loro impiego è legato al fatto che questi farmaci possono ridurre il consumo di ossigeno nelle cellule del tubulo mediante l’inibizione del trasporto transcellulare del sodio e quindi possono prevenire o limitare il danno ischemico cellulare (24). Inoltre possono dilatare i vasi della corticale e migliorare l’ossigenazione che provoca un aumento del flusso tubulare, ridurre l’ostruzione intratubulare e il filtraggio del filtrato glomerulare nell’interstizio per mezzo del lavaggio dei detriti cellulari, favorendo la risoluzione della ARF. Parecchi studi hanno messo in evidenza il limite dei diuretici nella prevenzione e nel trattamento del malato con ARF. I diuretici possono essere più efficaci e meno tossici se somministrati in infusione continua piuttosto che in bolo (25, 26). Recentemente Lassnigg e coll. Hanno dimostrato che l’infusione continua di furosemide può avere effetti negativi sulla protezione della disfunzione renale dopo chirurgia cardiaca (16). Nei malati settici, nonostante non siano disponibili informazioni precise, i medici dovrebbero essere scoraggiati nell’usare i diuretici per prevenire la ARF. Nei malati con ARF conclamata, i diuretici, se somministrati precocemente, possono trasformare uno stato oligurico in uno non oligurico. Anche se l’ARF senza oliguria sia associata con una bassa mortalità, si sa poco circa il miglioramento della sopravvivenza quando uno stato oligurico è trasformato in non oligurico. tive and less toxic when given as a continuous infusion rather than as a bolus (25, 26). Recently, however, Lassnigg et al have shown that continuous infusion of furosemide was detrimental in the protection of renal dysfunction after cardiac surgery (16). In septic patients, although no specific information is available, physicians should be discouraged from using diuretics in an effort to prevent ARF. In patients with established ARF, if administered early, diuretics can convert an oliguric to a nonoliguric state. Although nonoliguric ARF is generally associated with a lower mortality rate, there is little evidence that conversion from an oliguric to a nonoliguric state leads to a decrease in mortality. Although high doses of loop diuretics do not affect the prognosis, conversion of oliguric ARF to nonoliguric ARF simplifies patient management (more liberal fluid intake, easier administration of parenteral nutrition). However, the conversion does not alter the natural history of the disease, but instead provides prognostic information that patients have less severe renal damage. Hence the use of diuretics can only be justified to increase urine output for fluid management, with no expectation that these agents will improve outcome (2). No study to date has shown that diuretic-induced forced diuresis is associated with a higher risk of death or nonrecovery of renal function in CIPs with ARF, as the findings reported by Metha et al (27). These authors concluded that it is highly unlikely that diuretics afford ARF patients any material benefits. However, the failure of response to diuretics and necessity of nephrology 45 M. Beccari Sebbene le alte dosi di diuretici non influenzano la prognosi, la conversione della ARF da oligurica a non oligurica semplifica il trattamento del malato (somministrazione di liquidi senza limitazioni, più facile alimentazione parenterale). Comunque, la conversione non fa variare la storia naturale della malattia, ma al contrario fornisce informazioni prognostiche circa la gravità del danno renale, per cui, l’uso dei diuretici può essere soltanto giustificato per aumentare la diuresi senza però attendersi che questi farmaci possano migliorare la sopravvivenza (2). Non esitono attualmente studi che dimostrano la diuresi forzata mediante diuretici è associata ad alta mortalità o a non guarigione, come riportato da Metha e coll. (27). Questi autori concludono che esistono parecchie possibilità per cui i diuretici non apportino alcun beneficio per il malato.. In ogni caso, la non risposta ai diuretici e la necessità della consulenza nefrologica dovrebbero rappresentare un segnale della gravità del danno renale. Fintanto che un ampio studio clinico controllato non potrà adeguatamente rispondere al quesito se i CIPs sono trattabili con i diuretici, la somministrazione routinaria di questi farmaci, e in special modo in questo tipo di malati, deve essere scoraggiata e il medico dovrebbe riflettere prima di prescrivere i diuretici nel trattamento delle CIPs con ARF. Un tentativo terapeutico che preveda alte dosi di diuretici in un malato oligurico dovrebbe essere effettuato dopo una attenta correzione dell’ipovolemia, dovrebbe essere limitato nel tempo e in particolare non dovrebbe ritardare un consulto con un nefrologo esperto in 46 consultation would be markers of severity of renal failure, not lack of utility of diuretics in all patients. As a possible explanation of their findings, the authors suggested that use of diuretics to convert an oliguric form to a nonoliguric form of ARF may have delayed the recognition of ARF or underestimated its severity, thus delaying the time required for obtaining consultation with the nephrologist or initiation of RRT. However, it is possible that the higher mortality was not associated with diuretics use but may have been related to, for example, dialysis therapy. Furthermore, many patients were not adequately hydrated, despite receiving diuretics. Finally, since the mean age and the prevalence of congestive heart failure and respiratory failure were higher among patients who received diuretics, some of these patients must have been more ill than those constituting the comparison group, even though both groups had similar APACHE II and III scores. Despite these limitations, the study by Mehta et al is timely and clinically important because administration of diuretics to oliguric patients in the ICU is still a relatively common practice. Until data from a sufficiently powered clinical trial can properly answer the question of whether CIPs are harmed by loop diuretics, the practice of routine administration of these agents to such patients should be discouraged, and physicians should think twice before prescribing loop diuretics for CIPs with ARF. A trial of high-dose loop diuretics in an oliguric patient should only be attempted after careful correction of the volume status, should be limited in time and, more importantly, should not Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo ARF e posporre la dialisi quando essa è necessaria (28). Cause di insufficienza renale acuta in terapia intensiva Il quadro clinico della ARF in terapia intensiva, paragonato ad altri contesti clinici, è molto differente da quanto comunemente si ovversa. La CIP sviluppa la ARF principalmente come parte di una sindrome di disfunzione multiorgano (MODS), mentre la sola ARF si presenta generalmente nel malati fuori delle terapie intensive. ARF nella sepsi La sepsi è caratterizzata da una risposta infiammatoria generalizzata (SIRS) e dall’attivazione dei fattori della coagulazione e della fibrinolisi che provoca un danno endoteliale. Un ampio numero di mediatori sono liberati nella circolazione sistemica (citokine, fattori di attivazione delle piastrine, metabolici dell’acido arachidonico, endotelina 1, componenti del complemento). L’ipotensione sistemica che provoca l’ischemia renale è un fattore, ma non il solo, che contribuisce alla ARF nel malato settico. La vasocostrizione intrarenale, che porta ad uno squilibrio tra sostanze vasocostrittrici e vasodilatatrici, provoca una riduzione del flusso renale e anomalie nella distribuzione del flusso che in modo preminente interessa la midollare più esterna. Le cellule infiammatorie infiltrano il rene producendo un danno locale da liberazione di radicali dell’ossigeno e proteasi, e dalla produzione più tradiva delle citokine. Le turbe della coagulazione e della cascata del fibrinogeno contribu- postpone obtaining consultation with a nephrologist experienced in ARF. Nephrologists and intensivists should also realize that even successful conversion of oliguria to diuresis only reflects the existence of a milder form of ARF, has no prognostic effect, and does not justify postponing dialysis when needed (28). Cause of ARF in the ICUs The spectrum of ARF in the ICU, compared with other settings, is indeed different. CIPs develop ARF predominantly as part of a multiple organ dysfunction syndrome (MODS), whereas isolated ARF is the usual presentation for patients outside the ICU. In India, recently, a one year prospective study was carried out in medical and surgical ICUs. It showed an incidence of 8.6% of ARF. This incidence was highest in medical ICU (17.2%), followed by burns ICU (5.3%), pulmonary ICU (5.2%), stroke ICU (4.4%), surgical ICU (3.1%) and least in coronary ICU (1.3%). The ARF was attributable to medical causes in 68%, followed by surgery and trauma in 21.2%, burns in 5.6% and pregnancy related in 5.1%. Septicemia was the commonest cause in both medical (50%) and surgical (86%) ICUs. MOF was present in 77.3% of patients with ARF. Approximately 40% required dialysis (29). In Belgium, the incidence of ARF was investigated in185 sepsis patients admitted in a surgical ICU during a 16-month period. ARF developed in 16.2% of the patients, and 70% of these needed RRT. Age, need for vasoactive therapy, mechanical ventilation, and RRT, but not ARF itself, were associated with mor47 M. Beccari iscono alla trombosi intraglomerulare. Il danno tubulare porta alla distruzione delle cellule che occludono il tubulo e favoriscono le perdite tubulari (ATN). La guarigione dalla ARF richiede l’eliminazione delle cellule necrotiche tubulari e dei detriti, così come la rigenerazione e la riparazione delle cellule che non sono state lese definitivamente. I trattamenti non dialitici disponibili per il trattamento di questo tipo di malati sono: 1. Liquidi (espansione polemica), vasopressori e diuretici 2. Trattamenti farmacologici specifici con anti TNF- alpha, inibitori dei fattori attivanti le piastrine, inibizione della NO sintasi, antagonisti endoteliali, inibitori del metabolismo dell’acido arachidonico, ANP, inibizione dell’adesione dei leucociti, fattori di crescita e inibitori della coagulazione quali laproteina C attivata (33, 34). Un primo problema è rappresentato dell’impossibilità di utilizzare modelli animali per poi poterli confrontare poi con l’uomo. In secondo luogo, la ARF nelle CIPs ha carattere eterogeneo legato a sepsi, ischemia, farmaci nefrotossici e mezzi di contrasto radiologici. Un terzo ovvio problema è il momento in cui s’interviene: la sepsi e la ARF sono dei processi dinamici e conseguentemente le strategie terapeutiche che possono essere appropriate all’inizio dell’affezione, non lo sono più in uno stadio più tardivo. Infine, la complessità e la multifattorialità della ARF da sepsi può richiedere lo sviluppo d’interventi multigraduati. Il successo della proteina C attivata, in virtù della sua azione combinata sull’infiammazione, la coagulazione e la cascata 48 tality (30). In Greece, a retrospective 9 year period (1994-2003) study was performed, regarding elective open infrarenal abdominal aortic aneurysm repair. Patients with preexisting severe cardiac dysfunction and a list of intraoperative factors (operative time, aortic clamping time, suprarenal clamping, blood transfusion, hypotension, emerging oliguria) were considered criteria for transfer from the operating room to the ICU. Of 602 patients, 58 (9.6%) were recovered in the ICU, either immediately or later on. In this group of subjects, the mean ICU length of stay was 4.2 days, and the 30 days’ mortality rate was 0.7% (4 patients) (31). In South Africa, 72 cases of severe preeclampsia (43% primiparous and 57% multiparous) admitted to an obstetric ICU were available for analysis. Only 10% of women required transient dialysis, and there were no cases of chronic renal failure (CRF) that required chronic dialysis (32). ARF in sepsis Sepsis is characterized by a generalized inflammatory response (SIRS), and activation of the coagulation and fibrinolytic cascades, resulting in endothelial injury. A broad array of humoral mediators are released in the systemic circulation (cytokines, platelet activating factor, arachidonic acid metabolites, endothelin-1, complement components). Systemic hypotension, resulting in renal ischemia, is a contributing – but certainly not the sole – factor in septic ARF. Intrarenal vasoconstriction, owing to an imbalance between vasodilatatory and vasoconstrictory substances, results in a Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo fibrinolitica, illustra chiaramente questo punto (24). L’uso dei corticosteroidi nello shock settico L’impiego della terapia corticosteroidea nel malato con sepsi e con shock settico ha una lunga e controversa storia. Iniziali risultati hanno suggerito un miglioramento della sopravvivenza ma studi successivi e metanalisi sono falliti nel dimostrare un reale beneficio sulla riduzione della mortalità ed hanno suggerito la possibilità che i corticosteroidi potessero essere dannosi. In ogni caso, parecchi piccoli studi hanno dimostrato recentemente che il glucocorticoide può arrecare un beneficio clinico in specifici gruppi di malati con infezioni complicate da ipotensione che non risponde all’infusione di liquidi e da disfunzione multiorgano. In particolare, l’elevata incidenza dell’insufficienza adrenalina o la perdita delle riserve adrenaliche nella CIPs, hanno suggerito un’alterazione dell’asse ipotalamo, ipofisi, surrene, hanno prodotto un effettivo razionale per la somministrazione di basse dosi di corticosteroidi in queste circostanze cliniche. In uno studio multicentrico francese condotto da Annane e coll. (35), a 7 giorni dall’inizio del trattamento con basso dosaggio con idrocortisone (50 mg iv in bolo ogni 6 ore) e fludrocortisone (50 mcg il giorno in compressa) ha ridotto significativamente la mortalità nei malati con shock settico e relativa insufficienza surrenalica senza far aumentare gli effetti secondari. La possibilità che la terapia cortisonica possa essere dannosa nel malato con shock settico che mantiene un’adeguata decline in renal blood flow and abnormalities in blood flow distribution that predominantly affect the outer medulla. Inflammatory cells infiltrate the kidney, causing local damage by release of oxygen radicals, proteases, and further production of inflammatory cytokines. Dysfunction of the coagulation and fibrinolytic cascades contributes to intraglomerular thrombosis. Tubular injury leads to cell detachment with intratubular obstruction and tubular backleak (ATN). Recovery from ARF requires clearance of necrotic tubular cells and debris, as well as regeneration and repair of the nonfatally injured cells. Non-dialytic treatment options are: – fluids (volume expansion), vasopressors, diuretics – specific pharmacologic treatment with anti-TNF-alfa, inhibition of platelet-activating factor, inhibition of NO synthase, endothelin antagonism, inhibitors of arachidonic acid metabolism, ANP, inhibition of leukocyte adhesion, growth factors, and inhibitors of coagulation as activated protein C (33, 34). A first problem is the failure of animal models to reproduce human disease. Secondly, ARF in CIPs is notoriously heterogeneous, resulting from a combination of sepsis, ischemia, nephrotoxic drugs, and radiocontrast agents. A third obvious problem is the timing of intervention: sepsis and ARF are dynamic processes and, consequently, therapeutic strategies that are appropriate early in the disease process may lose their efficacy later on. Finally, the complex and multifactorial nature of septic ARF may require the development of “multitargeted” interventions, The success of activated protein C, by virtue of its combined actions 49 M. Beccari funzione surrenalica dovrebbe essere presa in considerazione. In questi malati, un test di stimolazione alla corticotropina e non soltanto la valutazione del livello del cortisolo serico, dovrebbe essere praticato prima di iniziare una terapia combinata con gluco e corticosteroidi. Se il livello del cortisolo aumenta oltre a 9 mcg/dl come risposta alla corticotropina, i corticosteroidi non dovrebbero essere iniziati e dovrebbero essere sospesi per la possibilità d’effetti negativi collaterali (36, 37). In ogni caso, brevi trattamenti a livelli fisiologici di corticosteroidi sembra arrechino limitati rischi e dovrebbero essere iniziati mentre il malato attende i risultati degli esami intrapresi (37). L’alto livello di glucosio controllato con la terapia insulinica è stato recentemente associato ad un miglioramento della sopravvivenza nelle CIPs (38) e l’uso terapeutico del corticosteroide può rendere il controllo della glicemia più difficile. In ogni modo, data la possibilità della riduzione delle resistenze alle infezioni, questo trattamento non deve essere applicato per lungo tempo. L’uso del cortisone richiede maggiori chiarimenti sia per le possibilità d’impiego sia per le dosi ottimali da impiegare. Trattamento delle CIPs con ARF: tecniche intermittenti e continue L’ARF rimane un grave problema per i nefrologi e gli intensivisti anche se l’osservazione che la mortalità si è ridotta nell’ultimo decennio può creare qualche illusione. Negli anni le caratteristiche della ARF sono cambiate, la gravità della patologia di base e l’età del paziente 50 on the inflammatory, coagulation, and fibrinolytic cascades, clearly illustrates this point (24). Corticosteroids in septic shock The use of corticosteroid therapy in patients with sepsis and septic shock has a long and controversial history. Early reports suggested that survival was improved, but subsequent studies and meta-analyses failed to show a mortality benefit and have even indicated that steroid therapy may be harmful. However, several small studies have suggested recently that glucocorticoids might afford clinical benefit to rigorously characterized groups of patients with infection complicated by hypotension unresponsive to fluids and by organ dysfunction. In particular, the high incidence of acquired adrenal insufficiency or lack of adrenal reserve in CIPs, suggesting an altered hypothalamic-pituitary-adrenal axis, has provided a strong rationale for the administration of lowdose corticosteroids in this setting. In a multicentre trial from France by Annane and colleagues (35), a 7-day treatment with low doses of hydrocortisone (50 mg iv bolus every 6h) and fludrocortisone (50 mcg tablet one daily) significantly reduced the risk of death in patients with septic shock and relative adrenal insufficiency without increasing adverse events. However, the possibility that steroid therapy may be detrimental in patients with septic shock who maintain adequate adrenal reserve should be considered. A corticotropin stimulation test, and not simply a random serum cortisol level, should be obtained in such patients before beginning combined glu- Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo sono aumentate mentre terapie e diagnostiche più sensibili hanno permesso una sopravvivenza più prolungata dei malati affetti dalla patologia. Nella pratica clinica si è rilevato una variazione del “case mix” e quindi è diventato più difficile trattare ARF “pure” mentre i clinici si sono dovuti confrontare con gravi MOF che includono insufficienza cardiaca, respiratoria, epatica e gastrointestinale associate all’insufficienza renale. Infatti, è mutata nel tempo la causa di morte per questo questi malati non muoiono più per iperpotassiemia, edema polmonare e crisi ipertensive ma di sepsi, scompenso cardiorespiratorio e altre complicanze. Malati con patologie multirogano sono trattati sempre più spesso in terapia intensiva con tecniche dialitiche continue o intermittenti. La mortalità in ogni caso resta alta ma la situazione sta cambiando da quando le tecniche dialitiche sono state introdotte più largamente nella pratica clinica. Sono possibili tre principali trattamenti: 1. La dialisi intermittente (IHD) 2. Le tecniche di CRRT 3. Le emodialisi ibride intermedie (EDD, SLEDD). cocorticoid and mineralocorticoid therapy. If serun cortisol levels increase by more than 9 mcg/dl in response to corticotropin, corticosteroids should not be initiated or must be discontinued, given the possibility of an adverse effect (36, 37). However, short-term treatment with physiologic levels of corticosteroids appears to carry few risks and should be initiated while the patient awaits the results of diagnostic tests (37). Tight glucose control with intensive insulin therapy has been shown recently to be associated with improved survival in CIPs (38), and the therapeutic use of corticosteroids may make attaining this level of glucose control more difficult. Moreover, given the possibility of decreased resistance to infection, this treatment should not be used for prolonged periods. Additional investigations characterizing more precisely the patient subgroups or specific clinical situations likely to benefit from steroid therapy, the optimal dose of corticosteroids, and the precise composition (glucocorticoid to mineralocorticoid ratio) require clarification. 1. La dialisi intermittente (IHD) giornaliera o a giorni alterni. È un trattamento intensivo, applicato per 2-5 ore ad intervalli variabili (3-7 volte la settimana, giornalmente o a giorni prestabiliti). La più parte delle metodiche sono basate sull’impiego di membrane a bassi flussi, con alto flusso ematico (Qb 250-350 ml/min) ed alto dializzato (Qd 500 ml/min) che necessita ARF remains, and will continue to remain, a significant problem for many nephrologists and intensivists. However, the observation that mortality rates have improved little over the past decades may be somewhat misleading, because over the years the spectrum of causes of ARF has changed, the severity of underlying illness and patient ages have increased, and aggressive diagnostic and Dialytic management of CIPs with severe ARF Intermittent vs Continuous techniques 51 M. Beccari direttamente di un prodotto dializzante, un modulo di trattamento dell’acqua e un monitoraggio della dialisi. La dialisi a giorni alterni rimane la più praticata ed è quella maggiormente applicata negli USA (39-40) cui spesso si fa riferimento. I malati anurici normovolemici, stabili emodinamicamente, sono stati trattati con successo mediante dialisi giornaliera con bicarbonato standard (DD) (41, 42 ). La IHD può potenzialmente provocare un’intolleranza emodinamica, uno scarso controllo dei liquidi e metabolico, ma riduce l’impegno dei medici e degli infermieri permettendo il trattamento contemporaneo di altri malati e riducendo i bisogni del singolo. Comunque, è stato notato che la tolleranza alla dialisi nella CIP è sostanzialmente migliorata dopo la realizzazione di linee guida che derivavano dal trattamento del dializzato cronico (43). 2. CRRT È una metodica molto costosa, applicata in modo continuo (da 24 a 72 ore, per un lungo periodo) a basso flusso ematico (Qb 200 ml/min), in larga parte come terapia che si realizza attraverso una membrana ad alto flusso, che necessita della sostituzione dei liquidi per mezzo di contenitori speciali, richiede l’immobilità del malato e la scoagulazione continua. Sono necessari alti volumi di ultrafiltrato per garantire un adeguato controllo metabolico, facendo aumentare il rischio nel calcolo del bilancio idrico. I rischi maggiori sono dovuti alla necessità di dosare perfettamente i farmaci e alla possibilità di effetti indesiderati da lattato contenuto nei liquidi di rimpiazzo. 52 therapeutic procedures have resulted in a prolongation of previous fatal disease states. Nowadays many patients are older, have multiple co-morbid conditions, and frequently have more than one organ failure. Therefore, there has been a change in the patient case mix in clinical practice. Thus it is becoming less common to manage “clean” ARF and more commonly the clinician is faced with MOF – any combination of respiratory, cardiac, neurological, hepatic, or gastrointestinal failure with renal failure. In fact, changes have been observed in cause of death over time; that is, patients are no longer dying of hyperkalemia, pulmonary edema, and hypertensive crises, but are dying of sepsis, cardiorespiratory failure, and other complications. These patients are not dying of renal failure or its complications, but “with renal failure”, although replacement therapies do not reverse all the effects of renal failure and patients may still be dying partially of renal failure, which itself seems to increase the risk of death. These patients are more frequently managed in the ICU with either intermittent or continuous dialytic techniques. The overall mortality rate in CIPs with ARF requiring RRT has barely improved and remains distressingly high after the early dramatic gains when acute HD was introduced into clinical practice. Three treatment options are available: 1. classic Intermittent Hemodialysis (IHD); 2. CRRT techniques; 3. Intermediate hybrid modalities (EDD, SLEDD). Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo Il trattamento continuo appesantisce notevolmente il carico di lavoro degli operatori sanitari e può interferire negativamente con l’organizzazione della terapia intensiva. Ciò spiega il perchè dell’attuale sviluppo di tecniche di CVVHD ad alti volumi che risultano molto efficienti ma molto complesse e costose. Il mutare gli accessi da artero-venoso a veno-venosi, entrambi usati per la CRRT, hanno imposto lo sviluppo di apparecchiature molto sofisticate (pompe per il sangue e i dialisati, rilevatori di perdite di aria e di liquidi, monitor di pressione per questo molti dei vantaggi della CRRT (impiego di personale non specializzato e semplicità d’uso) sono stati perduti (44). Le CIPs con ARF in terapia intensiva possono essere trattate sia con la IHD sia con la CRRT. Le terapie intermittenti sono maggiormente impiegate negli Stati Uniti, mentre le modalità CRRT sono più impiegate in Australia e alcuni paesi dell’Unione Europea. In Inghilterra, le tecniche continue sono maggiormente impiegate nelle terapie intensive, più comunemente quelle che prevedono la CVVH con una ultrafiltrazione di 2.0 L/h, ed il 28% delle terapie intensive usano un HF come trattamento complementare nello shock settico (45). 3. Modalità “ibride “ intermedie (dialisi a bassa efficienza). Recentemente, a seguito di quanto detto in precedenza, sono state sviluppate “tecniche ibride” che combinano i vantaggi della CRRT e la classica IHD. Le CRRTs forniscono la clearance dei soluti e le basse frequenze di ultrafiltrazione sono mantenute per lunghi periodi, risultando in un miglioramento della sta- 1. Intermittent classic IHD (alternateday or daily dialysis-DD) It is an intensive treatment, performed for 2-5 h at variable intervals (3-7 times per week), daily or in conventional alternate-day schedule, mostly as a mainly “diffusive” therapy across a lowflux membrane, with a high blood (Qb 250-350 ml/min) and high dialysate flow (Qd 500 ml/min), which necessitates online dialysate production, a water-treatment module and a dialysis monitor. Alternate day HD remains world-wide the standard therapy in both ICU and non-ICU settings and the most commonly used modality of RRT in North America (39, 40). Normovolemic hemodynamically stable anuric patients were also treated successfully with short (3 hours) standard bicarbonate daily dialysis (DD) (41, 42). IHD nature can potentially lead to hemodynamic intolerance, poor fluid control and low metabolic control, but reduces the burden for the nursing/ medical staff, and creates time for other diagnostic/therapeutic out-of-unit procedures, often needed in this type of patient. Moreover, it should be noted that the hemodynamic tolerance of IHD in CIPs was substantially improved after implementation of guidelines derived from chronic hemodialysis (dialysate sodium modeling, ultrafiltration profiling, cooling of dialysate at 34.5°-36°C, and higher ionized calcium concentration in the dialysate) (43). 2. CRRT This is a more expensive technique, performed continuously (from 24 to 72 hours, over a long time) at lower blood flow rates Qb 200 ml/min), mostly as 53 M. Beccari bilità emodinamica e in un maggior controllo dei soluti specialmente nei malati iperazotemici. Di contro, la elevata clearance dei soluti durante IHD permettere di interrompere la terapia rapidamente senza compromettere l’efficacia dialitica e limita i periodi di restrizione all’accesso del malato. Le singole metodiche sono state combinate al fine di realizzare modelli nei quali la IHD è effettuata mediante le comuni apparecchiature dialitiche a flusso ematico e tempi di dialisi ridotti per trattamenti intermittenti ma prolungati. Due tecniche sono state descritte: 1. Dialisi giornaliera a lento flusso intermittente (SLEDD) (46-49); 2. Tecniche dialitiche estese (EDD) (50-52). Queste due tecniche possono essere considerate un compromesso accettabile nel malato anurico, ipovolemico e relativamente stabile emodinamicamente. Nelle tecniche SLEDD e EDD, il classico approccio dialitico è applicato a basso flusso ematico e dializzante per un lungo periodo (6-12 ore per giorno). Queste modalità offrono maggiore stabilità emodinamica, migliore correzione dell’ipervolemia e una migliore clearance rispetto alla classica e breve IHD. Il costo è minore rispetto la CRRT in quanto si usa la stessa apparecchiatura che si impiega per la IHD. Sfortunatamente non sono disponibili studi comparativi tra le due metodiche rispetto agli altri approcci per questo la SLEDD e la EDD devono attendere ancora per essere considerate delle vere nuove strategie. 54 “convective” therapy across a high-flux membrane, which necessitates substitution fluids in bags, immobilization of the patient and continuous anticoagulation. For adequate metabolic control, high ultrafiltrate volumes are needed, increasing the risk of errors in fluidbalance calculations. Difficulty in drug dosing and possible side effects from lactate-containing replacement fluids are potential risk factors. Moreover, its continuous nature has a heavy impact on the workload of the staff, and may disturb the already complex ICU organization. These drawbacks explain the evolution over recent years from very low efficiency, but easy-to-perform and cheap CAVH to highly efficient, but technically more complex and expensive high volume CVVHD treatment. Changes from arteriovenous to venovenous access, together with the array of CRRT modalities, have necessitated the introduction of more sophisticated equipment (blood and dialysate pumps, air-leak detectors, pressure monitors, blood leak detectors, and some of the main advantages of CRRT (the use of non-dialysis personnel and its simplicity) have been lost with these innovations (44). CIPs with ARF in ICU may be treated both with IHD and CRRT techniques. Intermittent therapies are more frequently used in United States, while CRRT modalities are more wide-spread in Australia and in some European countries. In the United Kingdom, continuous techniques are used by the majority of ICUs, most commonly by CVVH with an ultrafiltration rate of 2.0 L/h, with 28% of units using HF as adjuvant treatment in septic shock (45). Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo Tecniche CRRT Sono state introdotte da Kramer nel 1997 per rimuovere il liquido extracellulare nei malati con edema refrattario ai diuretici (53). Kramer descrisse un metodo chiamato CAVH che derivava dalla possibilità di impiegare l’arteria al posto della vena femorale. Le tecniche continue sono a bassa efficienza per questo il trattamento deve essere continuo per essere adeguato. Le CRRTs hanno parecchi vantaggi sulla IHD nelle CIPs con ARF: migliore controllo metabolico, miglioramento dialitico che permette di rimuovere l’edema in qualsiasi momento (miglior controllo dei volumi), supporto nutrizionale più aggressivo, migliorata stabilità emodinamica, graduale e continua rimozione dei liquidi e dei soluti, rimozione delle citokine e altri mediatori nella sepsi e nella MOF (54-57). Le complicanze da CRRT, spesso anche gravi, sono segnalate della tabella 1 e 2. Le CRRTs hanno allargato le possibilità di trattamento del singolo rene a quello di protezione di tutti gli organi (58) ma resta ancora non chiaro il perchè del miglioramento della sopravvivenza. Esistono differenti opinioni su quale forma di dialisi è da preferire in questa categoria di malati. In ogni caso è da confermare il benficio derivante dalla CRRT nel miglioramento della sopravvivenza dei malati affetti da ARF in terapia intensiva. Uno dei maggiori vantaggi della CRRT è la presunta capacità dei filtri di rimuovere ed assorbire le citokine e gli altri agenti mediatori dell’infiammazione nel malato settico. Un recente studio ha dimostrato che non esiste correlazione 3. Intermediate “hybrid” modalities (sustained low efficiency dialysis) Owing to the above-mentioned issues, it is not surprising that “hybrid techniques” have recently emerged that combine the advantages of CRRT and classic IHD. CRRTs provide low solute clearances and rates of ultrafiltration which are maintained for long periods, resulting in improved hemodynamic stability and superior solute control in even severely azotemic patients. Conversely, the high solute clearances during IHD allow interruptions to therapy to be easily offset without compromise to the dialysis dose, and convenient periods of unrestricted access to the patient. Therapeutic components of both modalities have been combined in the development of new hybrid therapies, in which HD is delivered by conventional dialysis machines with reduced blood and dialysis flow rates, for intermittent but prolonged treatments. Two techniques have been described: 1. intermittent sustained slow-extended daily dialysis (SLEDD) (46-49); 2. extended daily dialysis (EDD) tecniques (50-52). These two techniques may be considered an acceptable compromise in anuric, hypervolemic and hemodynamically relatively stable patients. In one report on EDD using low dialysate and blood flow rates, median treatment time per day was 7.5 hours (range, 6 to 8 hours), and authors found that EDD was well tolerated, eliminated the need for constant supervision, offered many of the same benefits provided by CVVH, and was technically easier to perform (50). 55 M. Beccari tra i mediatori rimossi e quelli presenti nel sangue. Inoltre, la rimozione delle citokine e degli altri fattori (e.g. interleukina 10, interleukina-1, recettori delle necrosi tumorali) era uguale (59). È da tenere presente che, la possibilità di rimuovere i mediatori non specifici espone al rischio che anche altre sostanze nutritive, quali albumina, ormoni, vitamine, tracce d’elementi e antibiotici, possono essere dializzate con effetti negativi sul malato (24). La CVVH non migliora la perfusione splancnica nei malati settici ed instabili emodinamicamente (60). Probabilmente la migliore dialisi per i malati con ARF in terapia intensiva deriva non tanto dalla metodologia applicata ma dall’esperienza di chi la applica (44). Le più gravi forme di ARF si riscontrano nelle terapie intensive dove oltre il 25% dei malati sviluppa una ARF. La mortalità raggiunge il 75-90% nei malati con sepsi e del 35-45% dei malati che non la sviluppano. La maggioranza di questi malati non muore direttamente per insufficienza renale ma per co-morbidità associate (44). Riguardo al miglioramento della sopravvivenza, due metanalisi hanno concluso che ci sono dati insufficienti per stabilire la superiorità della CRRT verso la IHD in pazienti affetti da CIPs non selezionate (67, 68), eccetto alla ripresa della funzione renale (68). Perché la mortalità per CIPs rimane elevata anche dopo la dimissione dalla terapia intensiva, la sopravvivenza dovrebbe essere valutata alla dimissione dall’ospedale o forse anche più tardi. Dall’altro lato la guarigione renale è importante perché permette al paziente di sospen56 In SLEDD and EDD techniques, a classical dialysis hardware is applied at a low blood and dialysate flow over a prolonged period of time (6-12 h per day). These modalities offer greater hemodynamic stability, better correction of hypervolemia and better clearances than classical shorter IHD. The cost is lower than for CRRT because the same machine is applied as for IHD. Unfortunately, no controlled studies that compare these modalities with the other approaches are available and, hence, more extended and controlled studies should be undertaken to validate SLEDD and EDD as new strategies. CRRT techniques CRRTs were introduced by Peter Kramer (Gottingen, Germany) in 1997 as a means of removing extracellular fluid in patients with edema refractory to diuretic agents (53). Kramer described a new technique called CAVH. The system originated from an accidental puncture of the femoral artery instead of the femoral vein. Continuous techniques are mostly rather low-efficiency techniques, and therapy needs to be continuous in order to be adequate. CRRTs have several theoretical advantages over IHD in CIPs with ARF: superior metabolic control, increased delivered dose of dialysis, ability to remove fluids at any time (better control of volumes), aggressive nutritional support, improved hemodynamic stability, gradual and continuous removal of fluid and solutes, removal of cytokines and other inflammatory mediators in sepsis and MOF (54-57). On the other hand, CRRT complications are not negligible (Table 1 and 2). Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo dere la terapia dialitica che riduce la qualità della vita. Gli ulteriori e recenti sviluppi della CRRT meritano una particolare attenzione specialmente nelle sepsi e nello shock settico: emofiltrazione ad alto volume (HVHF) (70,71). Questa metodica è un adattamento della CVVH ma impiega una ultrafiltrazione di 2-4L/h, sembra necessitare minor impiego di vasopressori (72) e appare legata ad una migliore sopravvivenza (73). Due meetings internazionali sono stati tenuti negli USA e in Europa sul trattamento renale e la terapia intensiva nefrologica dove sono stati presentati i dati di un’indagine condotta tra nefrologi e intensivisti (75). – La terapia anticoagulante e gli accessi arteriosi sono tra i più problematici nonostante nuove apparecchiature e membrane sono state poste sul mercato. – La CRRT è usata spesso anche in assenza di ARF per il controllo dei liquidi, per lo scompenso cardiaco, per l’ARDS e la sepsi. Le cause dell’ARF sono state divise in quattro ampi gruppi: 1. Mediche (ischemica, tossica, da mezzo di contrasto, da farmaci, GN); 2. Chirugiche, 3. Ustioni, 4. Altre (trauma, shock, sepsi e MOF). La CRRT è raramente impiegata per il trattamento dell’ARF isolata mentre spesso è impiegata in caso di complicanze associate. L’applicazione della CRRT avviene tramite un accesso vascolare veno-venoso e mediante l’uso di membrane sintetiche ad alto flusso (polisulfonati, AN 69). Soltanto pochi istituti impiegano macchine complete per CRRT e la terapia varia da istituto ad istituto. Per le specifiche delle Consensus Conferences vedi il relativo testo in inglese. TABLE 1. – Potential “technical” complications from CRRT. – vascular access malfunction – circuit clotting – catheter and circuit kinking – line-catheter disconnection – insufficient blood flow – air embolism – fluid balance errors – loss of efficacy TABLE 2. – Potential “clinical” complications from CRRT. – bleeding – hematomas – thrombosis – infection and sepsis – allergic reactions – hypothermia – nutrient losses – insufficient blood purification CRRTs have opened the door to the concept that targeting renal support as the only goal of extracorporeal blood purification may be a simplicistic view of our therapeutic aims. It has been argued that it is now time to move from the simple goal of achieving adequate renal support to a multi-organ support therapy (58). In spite of this, it is not clear whether these improvements result in a decreased mortality rate. A considerable controversy exists as to which specific form of dialytic support should be preferred in this group of subjects. However, to date a final proof that CRRTs improve outcome in ARF on the ICU has still to be provided. It may be that “renal fail57 M. Beccari Non c’è certezza sul momento di applicazione della RRT (sia intermittente sia continua) e quando sospenderla. Probabilmente un inizio precoce migliora l’esito finale (76-80). La più importante questione che resta aperta con questa metodica è quella della caratterizzazione dei malati da trattare e le specifiche tecniche più sensibili. Nonostante molti medici preferiscano la CRRT alla IHD nella CIP con ARF, non ci sono al momento dati sicuri per motivare questa scelta (81). Entrambi i metodi hanno vantaggi e svantaggi e molte questioni resteranno insolute per ancora altri anni. Il confronto tra la IHD e la CRRT deve considerare: 1. l’efficacia nell’ottenere un bilancio dei soluti e dei liquidi in modo da mantenere la stabilità emodinamica; 2. gli effetti sullo stato nutrizionale, 3. L’impatto sulla mortalità, 4.la guarigione renale, 5. l’impatto sull’outcome finale, 6. le complicanze legate alle procedure, 7. i costi. Attualmente la scelta della IHD e della CRRT sono largamente basate sulla disponibilità della CRRT e non su evidenze cliniche specifiche. La terapia è molto legata alle preferenze dell’operatore. Probabilmente la IHD e la CRRT dovrebbero esser viste quali “tecniche complementari” da usare in modo intercambiabile in rapporto alle varie circostanze. La quantità di trattamenti dialitici dovrebbe essere impostata in rapporto alle esigenze facendo riferimento specifico ai vantaggi e svantaggi legati alla singola metodica (84, 85). Accessi vascolari Dal bisogno urgente di eseguire la dialisi in caso di ARF consegue la neces58 ure as such” does not contribute sufficiently importantly to death in this type of patient and that the patients are too severely ill to benefit. One of the most frequently mentioned advantages of CRRT is the presumed capacity of filters to remove and adsorb cytokines and other agents that play a role in the inflammatory status of the septic ARF patient. However, a recent study demonstrated that removal of substantial amounts of inflammatory mediators (e.g. tumour necrosis factor alpha, interleukin 1 beta, interleukin 6) does not have an impact on their serum concentration. In addition, removal of proinflammatory and natural anti-inflammatory cytokines or factors (e.g. interleukin 10, interleukin-1 receptor antagonist, soluble tumour necrosis factor receptor) was equivalent (59). Moreover, any attempt to substantially increase nonspecific mediator removal will almost certainly deplete valuable nutrients, albumin, hormones, vitamins, trace elements, and antibiotics, with potential detrimental effects for the patient (24). CVVH did not improve parameters of splanchnic regional perfusion in hemodynamically unstable septic shock patients (60). It is probable that, in ensuring optimal dialysis treatment for the ARF patient in the ICU, the skills and the experience of the staff who perform dialysis are more important than the applied dialysis modalities (44). The most serious forms of ARF are found in the ICUs, where up to 25% of patients develop ARF. Mortality rates rise up to 75-90% in patients with sepsis and 35-45% in those without. The major- Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo sità di posizionare un catetere venoso centrale (CVC). I CVC sono in genere costruiti con polimeri (es. polivinilcloruro-PVC, politene tetrafluoroetilenePTFE, polietilene-PE, poliuretano-PU, silicone elastomero) ed hanno proprietà specifiche (resistenza, morbidità, emocompatibilità). I più utilizzati sono costituiti da poliuretano o da silicone. I CVC rigidi o semi rigidi si possono facilmente introdurre tramite incannulazione percutanea di vena con una guida di metallo morbido (metodo Seldinger). I CVC semirigidi in poliuretano si rammorbidiscono a temperatura corporea, perdono alcune proprietà meccaniche aggressive, e sono una scelta abbastanza ragionevole per un uso a breve termine sino a 2 settimane. I CVC di silicone morbido sembrano essere la migliore indicazione per la RRT prolungata di 2-4 settimane o più. I CVC di silicone morbido sono probabilmente più difficili da inserire ma offrono un maggior vantaggio grazie alle possibilità di tunnellizzazione. La maggior parte dei cateteri di silicone sono prodotti con un sistema di ancoraggio sottocutaneo (cuffia di Ducron). Questo sistema riveste diversi obiettivi che comprendono la stabilizzazione del catetere nel tunnel sottocutaneo, l’aumento della distanza tra la pelle a contatto con il catetere e il punto di inserzione della vena, il miglioramento della posizione de tessuto intorno al catetere, ed infine la possibilità di creare una barriera contro le infezioni da catetere. Tradizionalmente i cateteri possono essere inseriti attraverso la vena: 1. Femorale; 2. Succlavia; 3. Giugulare interna. ity of these subjects do not die directly from renal failure, but from their comorbid conditions (44). The outcome of patients who are admitted to the ICU because of ARF is also better than that in patients who develop ARF as a complication of a nonrenal comorbid condition during their stay on the ICU. Thus, attention should be paid to the prevention of ARF in patients already in the ICU. In most studies, more unstable patients tend to be treated with CRRT rather than IHD, making true comparisons of outcomes difficult (40, 61). Mehta et al. (62) found increased ICU and in-hospital mortality in patients treated with CVVH, but despite randomization, patients treated with CRRT had significantly greater severity of illness scores, concluding that the differences in mortality were related to nonrenal disease. Of note is the important crossover: 18% crossed from IHD to CRRT and 20% crossed from CRRT to IHD. Two large observational studies including 349 (63) and 587 (61) patients reported higher crude mortality rates with CRRT than with IHD, as patients with an adverse prognosis were more likely to receive CRRT. In Japan, on the contrary, the survival rate was significantly higher in the CVVHDF group of patients, compared to IHD treated individuals (64). In Croatia, no difference was found in survival, comparing patients treated with IHD and CRRT, even in a subgroup of patients with sepsis and septic shock (65). In the Netherlands, a prospective, randomized trial was performed comparing 59 M. Beccari Vena femorale L’incannulamento è stato descritto per la prima volta da Shaldon nei primi anni ’60. Il punto di inserzione è localizzato approssimativamente a 1-2 cm sotto l’arcata crurale, 1 cm medializzato dall’arteria femorale. La loro punta deve essere posizionata nel lume centrale della vena cava inferiore e una lunghezza di 25-35 cm fornisce ottime prestazioni di flusso. Il CVC femorale costringe a letto il malato, e sono frequenti le complicanze da trombosi e infezioni. Il loro uso deve essere limitato a non oltre 2 settimane. Per alcuni autori, la vena femorale dovrebbe essere la prima scelta naturale in presenza di problemi respiratori (edema polmonare, insufficienza respiratoria), quando l’accesso toracico appare rischioso e quando le condizioni del malato richiedono una prolungata permanenza a letto (coma, assistenza ventilatoria, ferite multiple). Vena succlavia In generale, l’incannulamento tramite vena succlavia dovrebbe essere evitato per l’elevato rischio di stenosi e/o trombosi della vena succlavia stessa o dei rami affluenti (vena cava superiore, vena anonima, tronco brachio- encefalico), che potrebbe eventualmente determinare problemi di accesso in caso di HD cronica che potrebbe essere necessaria in seguito. L’incannulamento della vena succlavia dovrebbe essere considerato come seconda scelta di accesso angiologico, in assenza di altre alternative. L’approccio alla vena succlavia destra è preferibile per ridurre la distanza tra il punto di inserzione e l’atrio destro. La vena succlavia sinistra è più difficile da incannulare ed è esposta ad un rischio 60 the effects on survival and recovery of renal function of 3 different doses of CRRT therapy performed at different times in 106 ventilated CIPs with oliguric ARF. Three group pf patients were treated respectively with early (7 h on average) high-volume CVVH (72-96 L per 24 h), early low-volume CVVH (24-36 L per 24 h), and late (42 h) lowvolume CVVH (24-36 L per 24 h). Survival at 28 days and recovery of renal function were not improved using high ultrafiltrate volumes or early initiation of CVVH (66). Regarding improvement in the survival rate, two meta-analyses concluded that there is insufficient evidence to establish superiority of CRRT over IHD in relatively unselected CIPs (67, 68), except in terms of restitution of renal function (68). In Kellum’s metaanalysis of 13 studies published between 1977 and 1998 (67), the author stratified patients according to disease severity and concluded that, when patients with similar baseline severity of illness are compared, mortality was lower in patients treated with CRRT. Moreover, because the mortality rate of CIPs remains elevated long after leaving the ICU, outcomes should be assessed at hospital discharge, or perhaps even later. On the other hand, renal recovery is important clinically because it enables patients to discontinue dialysis therapy, a treatment associated with significant impairment in health-related quality of life. In addition, even mild chronic renal insufficiency is associated with adverse patient outcomes and high health care costs, suggesting that the relative incidence of any sustained renal impairment is potentially relevant. So, even a slight difference in renal recovery between Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo maggiore di trombosi branchioencefalica. Inoltre, le vene succlavia sinistra e giugulare sono le più inappropriate posizioni per creare un flusso di sangue adeguato. Infine, l’incannulazione della vena succlavia sinistra è più prona a complicanze quali lo pneumotorace. Vena giugulare interna Negli ultimi 20 anni questa via di accesso vascolare è divenuta più popolare in condizioni acute. La scelta della cateterizzazione del lato destro è legata alle caratteristiche anatomiche. La giugulare interna sinistra è più difficile da incannulare e comporta maggiori rischi di trombosi. A causa delle differenze anatomiche tra le vene giugulari destra e sinistra, in circa il 15% dei malati, possono essere impiegati con sicurezza metodi ad ultrasuoni per localizzare le vene prima di ogni tentativo di puntura. Nell’adulto si preferisce un catetere di 15-20 cm inserito nella vena giugulare interna destra. Il corretto punto di posizionamento è essenziale per prevenire complicanze meccaniche e malfunzionamenti del catetere. La posizione più sicura per il punto distale sembra sia localizzata idealmente nella vena cava superiore, 1-2 cm sopra l’atrio destro. L’accesso vascolare per ARF può essere ottenuto tramite: – un (o due) catetere a lume singolo (SLC); – un (o due) catetere a lume doppio (DLC); – a volte da un catetere a lume triplo. Il SLC si può applicare solo se l’apparecchiatura per la dialisi consente di operare in modalità “ago singolo”. Altrimenti un DLC è sempre necessario per therapies might significantly influence the overall cost-effectiveness of each dialytic modality. Because available data are insufficient to draw firm conclusions, it is important for future studies to explore the impact of dialytic modality on renal recovery from ARF in both the short and long term. Moreover, a daily, 3 h HD session significantly reduced the mortality rate compared with every other day HD in ARF patient in the ICU (41). It is not entirely clear whether one modality of CRRT is superior to another. A study comparing the efficacy of CVVH with CVVHDF found that metabolic parameters were better controlled in the CVVH group (69). A recently developed modification of CRRT techniques deserves further attention, especially in severe sepsis or septic shock: high-volume hemofiltration (HVHF) (70,71). HVHF is an adaptation of CVVH, using ultrafiltration rates of 2 to 4 L/h. HVHF has been shown to decrease vasopressor requirements (72). A prospective cohort analysis of 306 patients treated with HVHF found a lower observed mortality rate than that predicted by illness severity scores (73). A randomized trial in 425 CIPs with ARF compared three different ultrafiltration rates, 20-35-45 ml/h per Kg of body weight, and survival was respectively 41%-57%-58% (74). In contrast, a randomized trial in 106 severely ill ventilated and oliguric patients found no difference in time to renal recovery or 28-day mortality between early-started HVHF (48.2 ml/h per Kg), early-started low-volume hemofiltration (20.1 ml/h per Kg), and late-started low-volume 61 M. Beccari la CRRT. Il SLC ha un diametro minore rispetto al DLC ed è meno traumatico per la parete venosa. Il SLC determina una recircolazione di circa il 15-20%. Oltre alle complicanze correlate all’inserzione (puntura arteriosa, pneumotorace, emotorace, etc.), un “precoce” malfunzionamento del CVC è generalmente causato da problemi meccanici conseguenti a malposizionamento della punta (risucchio della parete venosa), restringimenti. ecc. Di contro, un non funzionamento “ritardato” (dopo oltre 2 settimane) è spesso causato da problemi trombotici (trombosi del lume del catetere, trombosi della vena incannulata, deposito esterno di fibrina sulla punta del catetere). Il CVC interno può essere riaperto con metodi meccanici (brusch) e chimici (fibrinolisi con urochinasi o streptochinasi e rt-PA). Benefici derivanti dallaCRRT nel trattamento renale Si può pensare che il beneficio che deriva dalla dialisi non sia solamente legato al supporto renale. In specifiche circostanze la terapia è applicata non specificamente per migliorare l’urea clearance (90) ma per rimuovere i mediatori dell’infiammazione, ridurre la temperatura corporea, migliorare l’acidosi lattica e favorire il riempimento intravascolare. CRRT può essere utile nei malati con ARDS perchè fornisce una sufficiente ultrafiltrazione, nei pazienti traumatizzati per rimuovere la mioglobina, nei malati con edema cerebrale per stabilizzare la pressione intracranica evitandone le fluttuazioni e nei malati ipercatabolici per facilitare la nutrizione (91). 62 hemofiltration (19.0 ml/h per Kg) (66). Two international meetings were carried out in the US and Europe on renal replacement therapy and critical care nephrology, and responses from 345 mostly nephrologist (57%) or intensivist (34%) physicians from different centers in a wide variety of countries were reported (75). Most institutions rely on a cooperation between nephrology wards and ICUs. Anticoagulation and arterial vascular access still represent a major concern of CRRT techniques, while new machines and membranes are considered major advances in the field. CRRT are frequently used even in the absence of ARF (52% of the responders), the prevalent use being for fluid control, congestive heart failure, ARDS and sepsis. The causes of ARF were divided into four large groups: 1. medical (ischemic, toxic, contrast, drugs, GN); 2. surgical; 3. burns; 4. others (trauma, shock, sepsis, MOF). CRRT is rarely used for the treatment of isolated ARF (7%), while 41% use it for all cases and 36% only for ARF with complicating features. When CRRT is applied, vascular access is mostly single veno-venous, and synthetic highflux membranes (polysulfone; AN 69) are most frequently used. Only 46% of institutions use complete machines for CRRT. The intensity of therapy (weekly urea Kt/V) varies significantly from institution to institution. Complications were reported to be mostly “technical”: filter clotting (31%), vascular access dysfunction (18%), low ultrafiltration rates (12%), nursing care-related problems (11%), fluid balance errors (8%) and machine malfunction (7%). The most frequent clinical complications were hypotension (22%), bleeding (21%), low Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo Plasmafiltrazione e sepsi La classica plasmafiltrazione è effettuata mediante filtri a membrana a larghi pori e il filtrato plasmatico è rimpiazzato da plasma fresco e/o soluzioni di elettroliti e proteine. La plasmafiltrazione può eliminare le grandi molecole circolanti ed è stata e può essere proposta nel trattamento di supporto dei malati con gravi infezioni al fine di ridurre le endotossine (92). Il metodo e l’indicazione meritano ulteriori conferme cliniche su numeri maggiori di malati. Plasmaferesi e scambiatori di plasma nella sepsi Il decorso clinico e il risultato finale, nella sepsi, dipendono dall’interazione tra I mediatori e proprietà infiammatorie e antiinfiammatorie. Negli ultimi 15 anni sono state intraprese due strategie per neutralizzare gli effetti nocivi dei mediatori dell’infiammazione. La prima è rivolta alla somministrazione di sostanze che blocchino la liberazione dei mediatori stessi ma gli studi clinici non ne hanno ancora confermato l’efficacia. La seconda mira alla rimozione di essi mediante le tecniche utilizzate per il trattamento della ARF. Le metodiche depurative possono essere utili: 1. I mediatori sono presenti nel sangue in alta concentrazione; 2. il peso molecolare dei mediatori e il loro passaggio attraverso le membrane filtranti; 3. le caratteristiche dei mediatori che ne permettono l’assorbimento sulle membrane filtranti. In ogni caso anche questa ipotesi di trattamento deve essere controllata a distanza e sufficientemente validata. efficiency (16%), need to change treatment (7%), hematoma or thrombosis at access site (6% each), or catheter-related infections (5.5%). Parenteral nutritional support was used in 69% of patients, despite its costs and growing evidence of the superiority of enteral nutrition. Finally, hypotension most commonly occurs on “going on the pump” when 100-150 ml of blood is quickly removed from the systemic circulation and replaced with saline in a patient with a vasopressor-dependent circulation. There are simple steps to prevent such hypotension. The blood path should be started at low flow rates (50 ml/min for the first 5 min). A bolus of colloid fluid (200 ml) should be infused beginning 1-2 min before initiating blood flow. The vasopressor dose should be temporarily increased by 10%-15%, also 1-2 min before the start of blood flow through the filter. Uncertainty also exists as to when to begin RRT (either intermittent or continuous), and when to stop. Probably, erlier initiation of RRT may improve the outcomes (76-80). Perhaps the most pressing clinical question regarding the use of CRRTs is that of determining what patient and/or environmental characteristics make these techniques desiderable. Thus, a large prospective randomized controlled trial of CRRT versus IHD in ICU patients with ARF is urgently needed. This study should feature careful “phenotyping” of patients, stratified randomization of subgroups (e.g., severity of illness), standardization of dialytic treatment (including drug use, nutrition, and non-renal organ support). Of note, the consistent difference in baseline sever63 M. Beccari Ruolo dei nefrologi in terapia intensiva Differenti modelli operativi e cooperativi sono stati proposti e tutti mirano ad una stretta collaborazione col nefrologo non solo nelle situazione in cui la sua competenza è assoluta ma anche in tutti I casi in cui è possibile prevenire o sospettare lo sviluppo di una insufficienza renale conclamata. Il ritardo nel loro coinvolgimento è stato associato ad un chiaro aumento non solo della morbilità ma anche della mortalità. Il tutto è legato al fatto che gli intesivisti molto spesso hanno una grande esperienza nel trattamento dell’insufficienza respiratoria e cardiocircolatoria ma che non hanno ricevuto un adeguato insegnamento in campo nefrologico. Indici di gravità e risultati finali È indispensabile lo sviluppo di adeguati indici di valutazione al fine di poter fornire un giudizio predittivo quanto mai accurate e si possano sviluppare le collaborazioni necessarie in tempi utili. I vari fattori che possono influenzare il decorso clinico e l’esito finale di un malato di terapia intensive devono essere analizzati e I punti oscuri devono essere adeguatamente chiariti. La possibilità di disporre di indici di valutazione validati può permettere di uniformare I trattamenti evitando situazioni a “macchia di leopardo” che poco giovano al trattamento dei malati veramente acuti. L’APACHE score è il più usato attualmente nelle sue varie versioni e le indicazioni fornite dalla sua corretta applicazione possono fornire indicazioni utili sia alla prognosi sia ai trattamenti. 64 ity of illness, where CRRT patients are sicker, raises concern that physicians involved in the study may be reluctant to ramdomize sicker patients to IHD (9). One of the main pitfalls of a prospective evaluation of this problem might be appropriate randomization in CIPs. For example, treating physicians might be reluctant to start CRRT in patients with bleeding tendency, or IHD in a hemodynamically unstable population. As a consequence, a selection bias can inevitably be expected at enrolment. For comparative outcome studies, the optimal concept would probably be an intentionto-treat approach, with patients who are not able to start the strategy to which they were randomized being counted as failures of the strategy. However, a large number of withdrawals would be expected. Although physicians intuitively prefer CRRT to IHD in CIP with ARF, current evidence is insufficient to draw strong conclusions regarding the choice of mode of RRT (81). Each of these methods have their specific advantages and carry their own morbidity. Several issues are still open and will be matters of controversy in the coming years. Comparisons of IHD with CRRT must consider results in the following categories: 1. efficiency to achieve solute and fluid balance and to maintain hemodynamic stability, 2. the effect on nutritional status, 3. the impact on mortality rate (primary endpoint), 4. the impact on renal recovery, 5. the impact on overall patient outcome, 6. procedure-related complications (secondary end-points), and 7. the costs. A wider application of CRRT in the fields of sepsis and MOF requires further experience and evidence for clinical benefit. Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo N.B. Il lavoro è stato formulato dall’Autore in inglese e a questo testo è necessario fare riferimento per una sua completa lettura. La traduzione italiana è stata fatta a grandi linee e ha escluso le parti più sperimentali e a carattere maggiormente specialistico per poter migliorare la leggibilità e l’interesse del lettore. It is disappointing that CRRT has been a therapeutic option in critical care medicine for 25 years without comprehensive evaluation of its definitive benefits. A definitive comparison of CRRT and IHD would require at least 660 patients in each arm, thus it is questionable whether such sufficiently large randomized trials will be conducted at al. (67). Currently the choice of IHD or CRRT is largely based on the availability of CRRT and not on evidence-based indications. Therapy selection seems to be also dependent upon the preference of the care provider, ie, nephrologist or intensivist/anesthesiologist. Given the lack of superiority of one mode of RRT over the other, one could conclude that most patients should be treated with the less expensive form, and most reports suggest that CRRT is at least twice as expensive as IHD. Even in patients with nonoliguric ARF, once the diagnosis is established, it is probably better to start dialysis too early rather than too late (82), also because there can be little doubt that acutelly ill patients require more treatment than stable chronic patients. Kresse et al. reported that mortality in patients treated with CRRT was higher than mortality in patients treated with IHD, but these results were biased by a preferred use of CRRT in severely ill patients with an unstable circulatory system. Moreover, early onset of RRT (both IHD and CRRT) reduced the mortality of ICU patients with ARF, independently of underlying diseases (83). Both IHD and CRRT should probably be regarded as “complementary techniques”, to be used interchangeably, according to circumstances. While await65 M. Beccari ing scientific criteria for the initiation of RRT in ARF patients, it seems reasonable to prefer prevention of physiological derangements to their post-hoc correction. This would mean early initiation of RRT as renal support rather than its initiation as RRT for uremic complications. The amount of dialysis (adequate dialysis dose) should preferably be prescribed on an individualized basis, especially when considering that the delivered dialysis dose may make a difference (prescribed dose is usually less than the delivered dose) (84, 85). Vascular access Because of the urgent need for dialysis in ARF, the central venous catheter (CVC) is an indispensable way of creating vascular access. CVCs are usually made of polymers (e.g., polyvinylchloride-PVC, polytetrafluoroethylene-PTFE, polyethylene-PE, polyurethane - PU, silicone elastomer) with specific properties (resistance, softness, hemocompatibility). The most frequently utilized CVCs are made of PU or silicone. Rigid and semirigid CVCs are easily introduced by percutaneous vein cannulation over a soft metallic guide wire (Seldinger method). Semirigid PU CVCs soften up at body temperature, losing some mechanical aggressiveness, and are a fairly reasonable choice for short-term use, up to 2 weeks. Soft silicon CVCs appear the best indication for prolonged RRT of 2-4 weeks or more. They are possibly more difficult to insert, but offer a major advantage through their tunnelization possibility. Most of these silicone rubber cathethers are manufactured with a subcutaneous anchoring system (Ducron 66 cuff). It serves different objectives, including stabilization of the catheter in the subcutaneous tunnel, enlarging the distance of the catheter skin emergence and the vein insertion site, the promotion of tissue scarring around the catheter, and finally providing a barrier against catheter infection. Traditionally, indwelling catheters can be inserted in the: 1. femoral vein 2. subclavian vein 3. internal jugular vein Femoral vein The cannulation was first described by Shaldon in the early 1960s. The insertion site is located approximately 1-2 cm below the crural arcade, 1 cm medially apart from the femoral artery. Their tip must be positioned in the central lumen of the inferior vena cava and a length of 25-35 cm provides optimal flow performance. Femoral CVCs make the patient bedridden, and are frequently complicated by thrombosis and infection. Their usage must be restricted to 2 weeks. For some authors, the femoral vein should be the first natural choice in presence of respiratory conditions (pulmonary edema, respiratory failure), when thoracic access appears risky or when the patient’s condition requires a prolonged stay in bed (coma, ventilatory assistance, multiple injuries). Subclavian vein In general, subclavian insertion sites should be avoided. Because of the increased risk for stenosis and/or thrombosis of the subclavian vein or effluent branches (superior vena cava, innominate vein, brachiocephalic truncus), which Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo eventually may lead to access problems should chronic HD become necessary later. Subclavian vein cannulation should be considered a second choice angioaccess, in the absence of other alternatives. The right subclavian approach is preferable to reduce the distance from the insertion site to right atrium. The left subclavian vein is more difficult to cannulate and is exposed to a higher risk of left brachiocephalic thrombosis. Moreover, the left subclavian and jugular veins are the most inappropriate positions for the creation of an adequate blood flow. Furthermore, the cannulation of the left subclavian vein is more prone to complications such as pneumothorax. Internal jugular vein Over the last 20 years, it has become more popular in acute conditions. Catheterizing the right side is an anatomical preference. The left side is more difficult to cannulate and bears a higher risk of thrombosis. Because of the anatomical variations of the right and left jugular veins in about 15% of patients, ultrasound methods may be used safely to locate the vein prior to any attempt at venipuncture. When all these arguments are taken together, the preferable device in an adult patient is a 15-20 cm catheter inserted in the right internal jugular vein. Moreover, a correct positioning tip is essential to prevent mechanical complications and catheter dysfunction. The safest spot for the distal tip seems to be located ideally in the superior vena cava, 1-2 cm above the right atrium. Vascular access for ARF can be obtained with: – one (or two) single lumen catheter (SLC); – one double lumen catheter (DLC); – sometimes, one triple-lumen catheter. An SLC is applicable only if the dialysis machine allows one to proceed in a “single needle” dialysis mode. In contrast, a DLC is always necessary for CRRT. SLCs have smaller diameters than DLCs, and are less traumatic for the venous wall. SLCs result in a recirculation of approximately 15-20%. The impact of recirculation on adequacy, however, is only partial and has less relative impact than blood flow rate. In addition, recirculation also occurs, albeit to a lower extent, in DLCs. Tunnelled silastic/silicone catheters with felt cuff can also be used, and achieve higher blood flows. The placement is more troublesome however, especially in patients with throbocytopenia and coagulation disorders. In addition, it is less easy to exchange these catheters in case of infection. Besides the insertion-related CVC complications (arterial puncture, pneumothorax, hemothorax, etc), “early” CVC dysfunction is usually related to mechanical problems due to malpositioning of the tip (sucking the vein wall), kinking, stricture, etc. Converserly, “late” dysfunction (after more than 2 weeks) is often caused by thrombotic problems (thrombosis of the catheter lumen, thrombosis of the cannulated vein, external fibrin sheath on the CVC distal end, endoluminal fibrin sheath). The CVC interior may be reopened by mechanical (brush) or by chemical methods (fibrinolysis by urokinase or streptokinase or rt-PA). 67 M. Beccari Biocompatible vs Bioincopatible dialyser membranes In recent years, nephrologists have witnessed intense controversy as to whether or not so-called biocompatible dialyser membranes are superior to bioincompatible ones. In general, the complement-activating capacity of a dialysis membrane can be taken as an index of bioincompatibility. Complement activation leads to neutrophil activation and infiltration into the kidney. By releasing vasoconstrictors and damaging oxygen radicals, activated leucocytes may prolong renal damage, hence the view that the use of bioincompatible membranes might delay recovery from ARF. There are data in favour (86) and against this view (87). A study larger than any of those conducted previously demonstrated that recovery of renal function and survival were not different between the groups of patients dialysed using biocompatible and bioincompatible membranes (88), while a recent meta-analysis revealed better survival of patients who were dialysed with synthetic membranes (89). Benefits of CRRT beyond renal replacement Speculative is the possibility that the benefits of dialysis may not be limited to providing renal replacement. There may be a difference between a “renal” dose of dialysis and a “septic” dose of dialysis, the latter of which may have added benefits in addition to urea clearance (90). Such beneficial effects of CRRT include removal of inflammatory mediators, reduction of core body temperature, improvement of lactic acidosis, and continuous intravascular refilling. 68 In addition, CRRT may improve benefits in patients with adult respiratory distress syndrome (ARDS) by allowing efficient ultrafiltration, in patients with crush injuries by removing myoglobin, in patients with cerebral edema by reducing fluctuations in intracranial pressure, and in hypercatabolic patients by allowing increased nutrition. Dunham (91) found that in patients with MOF and ARF, use of CRRT resulted in better outcomes than IHD, but in patients with MOF without ARF there was little evidence that CRRT influenced survival. Plasmafiltration in sepsis Classical plasmafiltration (PF) is carried out with filters containing large-pore membranes, whereby the plasmafiltrate is replaced by fresh-frozen plasma and/or protein-electrolyte solutions. PF has the potential to eliminate molecules with a much larger molecular weight than hemofiltration, and has been applied for the supportive treatment of patients with severe infections, with the rationale of removing endotoxins (92). Hence, such an approach might improve the outcome of ARF patients as far as their renal problem is sepsis-related. However, most studies were small and uncontrolled. Recently, a randomized study of continuous PF in sepsis showed that short-term mortality was not affected, but a trend towards fewer failing organs was observed (93). In conclusion, the impact of PF on incidence, severity and duration of ARF needs further evaluation. Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo Plasmapheresis and plasma exchange in sepsis In sepsis, both clinical course and outcome depend on the interaction between mediators with inflammatory and antiinflammatory properties. In the past 15 years, 2 strategies have been developed to neutralize the actions of the inflammatory mediators in this setting. The first one involves the administration of substances able to prevent the release of the mediators, but clinical trials repeatedly failed to demonstrate any substantial positive effect on the survival. The second approach is based on the removal of the sepsis mediators from the bloodstream of CIPs with ARF by means of CRRT techniques. These extracorporeal depurative modalities are valuable, provided that: 1. the mediators are present in the bloodstream in relevant concentration, 2. the size and molecular weight (MW) of mediators lies within the cut-off value of the membrane used, 3. their chemicophysical properties allow their adsorption on the surface of the filter. However, this treatment may be ineffective. In early cases, failure may occur because the burst of the mediators has not yet occurred, in late cases because irreversible end-organ damage could have already occurred. Both conditions are hard to assess in the clinical setting since the blood concentration of mediators can be considered the tip of an iceberg, poorly reflecting what is going on at tissue level. Again, clinical investigations are somewhat puzzling. The blood concentration of sepsis mediators decreased in some studies but remained stable or even increased in others, owing to several factors (heterogeneity of the treated patients, timeframe and duration of the treatment, different membranes, or volume of fluid exchanged). Two strategies appear feasible to increase the elimination of sepsis mediators: – use of CRRTs – use of plasmapheresis (PP) (94-96) or plasma exchange (PE) (97, 98), which allows the removal of substances whose MW exceeds the cut-off of the membranes commonly used in CRRT. PE is basically a one-step procedure, consisting of the separation of the blood in cells and plasma. The former are returned to the patient, and the latter is discarded and substituted with plasmaexpanders, albumin or fresh-frozen plasma, in order to supply the lost substances (hormones, immunoglobulins, coagulative factors, etc). PP, on the contrary, is a double-step procedure, allowing the selective removal of determined components. Plasma perfuses columns containing different types of beads, able to absorb more or less selectively the target substance(s). The processed plasma is successively reinfused, thus reducing or totally abolishing the need for replacement fluids. Hence, although in the scientific literature the terms PE and PP have been (and currently are) often used as synonyms, profound differences exist between the two techniques. Clinical results have often been inconclusive for both the techniques, due to different reasons, and mortality did not differ between treatment and control groups. More evidence from large randomized trials would be desiderable before these techniques could be recommended as a treatment modality in sepsis, and new absorptive devices might show a more efficient or more specific removal pattern. 69 M. Beccari Coupled plasmafiltration-absorption Coupled plasmafiltration-adsorption , a feasible and safe extracorporeal treatment with substantial removal of both inflammatory and anti-inflammatory mediators, exerted a remarkable improvement in hemodynamics, pulmonary function, and outcome in septic shock patients with or without concomitant ARF (99-101). Absorption in endotoxic shock Endotoxin removal by hemoperfusion To improve the efficiency of absorption and avoid the rapid saturation of the classical hemofiltration membrane, several adsorptive devices binding endotoxins have been developed: activated charcoal, polyethylenimine, and polymyxin B. In Japan, Toraymyxin, an extracorporeal column device for direct hemoperfusion, was approved as an absorbent device for the treatment of sepsis in 1994. Toraymyxin removes endotoxin from the blood of patients who have developed severe sepsis and/or septic shock, caused by gram-negative bacteria. It consists of polystyrene-based fiber to which polymyxin B, an antibiotic, is covalently bound. Through its clinical application over 10 years, Toraymyxin has been demonstrated to be an effective treatment for sepsis and septic shock, improving hemodynamic parameters (102-105). Role of nephrologist in ICU Since up to two-thirds of CIPs with ARF requiring dialysis die in hospital, it is appropriate to question whether they receive the most appropriate care in the most appropriate unit. 70 Most institutions have developed critical care units with either an “open” or a “closed” organizational model. In the closed system, widespread in Australia, a critical care specialist (intensivist) may treat patients with ARF without the attendance of a nephrologist, while in the open system, more common in the USA and Europe, critical care specialists are available to provide expertise via consultation (nephrologist and others) (106-108). Delayed nephrology consultation was associated with increased morbidity and mortality, whether or not RRT was ultimately required (109). Using observational data, however, one cannot determine whether these findings reflect residual confounding selection bias, adverse effects of delayed recognition of ARF, or the benefits of nephrology consultation. Only the unique but integrated contributions of the intensivist and nephrologist should enhance ICU patient outcomes. The intensivist possesses the skills and expertise especially regarding cardiovascular and respiratory functions, but in the United States only 2.7% of all intensivists have received sustained, substantial nephrology training. On the other hand, in the ICU setting, CIP often develop complications requiring the nephrologist’s unique expertise, and the nephrologist is the most experienced to determine when a patient has uremic symptoms or other indications for dialysis. In conclusion, in the ICU a close collaboration between the intensivist and nephrologist is mandatory. Morever, patients with multiple comorbid conditionds need the supervision of a “principal coordinating” physician. Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo Severity scores and outcome Another field where improvement is desiderable is the development of predictive scores of outcome. If one has the expectation that any severity score will govern the application or not of therapy, one has a completely erroneous concept of scoring. Scoring systems were developed and meant to be used as a tool in understanding outcomes of patients, or in evaluating outcomes among various therapies. A number of factors affect the final outcome of ARF patients in ICU and, obviously, it is often not the ARF per se that leads to death, but a host of associated factors. There has always been a trend for patients with ARF to perform worse than predicted on general scores. Another problem with the scores is their use of a single day’s data for the prediction of an entire ICU course of activity, not showing a trend of patient status through time. Moreover, scores which are not updated and reviewed periodically may also create false outcome expectations. Several predictive scoring systems (APACHE, ATN-FSI, SAPS II-Simplified Acute Physiology Score, SOFASepsis-related sequential Organ Failure Assessement, OSF-Organ System Failure, ARF-OSF easy score, SHARF-Stuivenberg Hospital ARF scores, etc) are available but they have often been developed in a retrospective manner and most, if not all, have been evaluated in a prospective way. They measure the severity of impairment in ICU patients, but underestimate the risk of mortality of patients with ARF because the proportion of the score allocated to renal failure is minimal, which de-emphasizes the independent mortality risk of ARF (110). The APACHE (Applied Physiology and Chronic Health Evaluation) scales are the most widely known and used general scoring system. This system has gone through several generations, with a variety of indicators having been used as the basis for the score. In APACHE I, there were 34 physiological variables scored on a 0-4 basis constituting the acute physiology score. In addition to these, a measure of the chronic health status is added to complete the score. Renal parameters consisted of BUN, serum creatinine and total urine output per day. APACHE II used logistic regression analysis to reduce the original panel down to 12 variables, and the only renal indicator was serum creatinine. Even with the reformulation of the original renal factors for the APACHE III rendition, renal failure is still considered a relatively low impact mortality factor. Although APACHE scores have been developed to compare patient’s condition on admission to ICU, in many studies of ARF these scores are only calculated when ARF develops or when dialysis is started and, moreover, several points refer to parameters that might change due to renal disease per se (111-113). APACHE III scores could be more helpful in predicting the expected course in ICU patients (112, 114, 115) and, when determined at the time of initiation of RRT, were found to be a statistically significant predictor of patient survival (116). Recently, other scoring systems have been developed: the ATN-FSI (114) and the ARF-OSF easy score (117). The latter new model has the advantage of semplicity. The required data are easily determined at the bedside and no fur71 M. Beccari ther calculations are needed. Previously described indices require both a programmable calculator and knowledge of many correlation coefficients of varying mathematical precision. The number and categorization of variables in APACHE III itself have nowadays increased, thereby enhancing its statistical power but reducing its simplicity. In conclusion, obtaining reliable predictive indices of outcome that have been developed specifically for patients with ARF remains problematic. One of the truly difficult issues in the practice of acute nephrology is determining who should and who should not receive supportive therapy. Independently of any score system, aggressive treatment for all severely ill patients who need dialysis was recommended recently (118). It must be remembered that scores are based upon populations of patients, not individual responses. Thus, if some patients are in the high-risk population, they will probably have a poor outcome, but not always. In this scenario, the high-risk patient should be offered therapy, but with the realization that outcome will most likely not be positive. Thus, if there is further deterioration in the overall status of the patients, therapy cessation can be carried out. Red blood cell transfusions in CIPs Optimizing (almost always, reducing) the frequency of red blood cell transfusion (RBCT) is a goal of modern blood management (119). The primary driving force during the past 15 years has been safety. Blood transfusion has many known adverse effects: potential transmission of infectious disease (HCV, 72 HIV, HBV, BSE, and so on), allergic reaction, febrile nonhemolytic reactions, RBC alloimmunization, leukocyte/ platelet alloimmunization, acute hemolytic reactions, delayed hemolytic reactions, and acute lung injury. During the past decade the safety of the blood supply with regard to infectious disease transmission has greatly improved. In the United States, after screening the blood supply with the new nucleic acid amplification (PCR) tests, the estimates of residual units of infected blood donated by repeat donors were 1 per 1.935 million for hepatitis C and 1 per 2.135 million for HIV. But even these low rates are not good enough because the goal is achieving an “almost zero”– risk blood supply (120). A review of the available data showed no evidence for maintaining Hb concentration at 10 g/dl or hematocrit at 30%, the so-called 10/30 rule, and subsequent new guidelines urged a lower threshold. The Transfusion Requirement in Critical Care (TRICC) trial found that ICU patients experienced no advantage from a transfusion threshold to keep their Hb concentration above 10 g/dl compared with a threshold to keep Hb concentration above 7 g/dl (121). When compared, the rates of death from all causes at 30 days and the severity of organ dysfunction, a restrictive strategy (to maintain Hb level between 7.0 and 9.0 g/dl) was at least as effective as and possibly superior to a liberal (Hb level between 10.0 and 12.0 g/dl) transfusion approach in CIPs with normovolemia, with the possible exception of patients with active coronary ischemic syndromes (acute myocardial infarction and unstable angina). Hence, the authors rec- Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo ommended that these patients should receive red-cell transfusions when their Hb level falls below 7.0 g/dl. In another recent study (122) evaluating transfusion practices in European ICU patients in 1999, 2 years after the TRICC study was published, the mean Hb level before transfusion among patients who were not actively bleeding was 8.5 g/dl, strongly suggesting that clinicians have not incorporated the results from the TRICC trial into practice. Notwithstanding the fact that a lower transfusion threshlod is safe, the predominant current transfusion threshlod in the United States and Europe is still about one Hb at 8.5 g/d. Moreover, the study by Vincent et al and the TRICC study observed a significant association between RBCT and increased mortality. It is possible that some factors related to the processing (leukofiltration) and a prolonged storage of blood products may have important clinical consequences, such as a decline in gastric pH, pneumonia, and an increased risk of death (123). Erythropoietin in CIPs Erythropoietin (EPO), which stimulates red blood cell production and thereby reduces the need for transfusion, has been proposed as a possible alternative to blood transfusion for some patients (124,125). Open questions are: – is EPO administration cost-effective versus blood transfusion? – does EPO improve clinical outcome? In conclusion, it is time to devote more effort in defining how to optimally use blood transfusions and drugs such as EPO to minimize mortality and morbid- ity and maximize outcomes in specific patient populations (120). References 1. Brady HR, Singer GG. Acute renal failure. Lancet 1995; 346: 1533-40. 2. Thadhani R, Pascual M, Bonventre JV. Acute renal failure. N Engl J Med 1996; 334: 1448-60. 3. Levy EM, Viscoli CM, Horwitz RI. The effect of acute renal failure on mortality. A cohort analysis. JAMA 1996; 275: 1489-94. 4. Metnitz PG, Krenn CG, Steltzer H et al. 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ARTICOLO ORIGINALE / ORIGINAL ARTICLE Midazolam vs Propofol nella sedazione controllata del paziente per settoplastica ambulatoriale Midazolam versus Propofol for patient-controlled sedation in ambulatory septoplasty VAROL ÇELIKER, ELIF BASGÜL, SENNUR UZUN , , and ÜLKÜ AYPAR Hacettepe University Faculty of Medicine, Department of Anaesthesiology and Intensive Care, Ankara-Turkey Riassunto. – Obiettivo: lo scopo di questo studio è determinare quale farmaco, tra Midazolam e Propofol, sia più indicato, per quel che riguarda livello di sedazione, profilo emodinamico e soddisfazione del paziente e del chirurgo, per la sedazione controllata dal paziente durante intervento chirurgico di settoplastica. Disegno: studio clinico prospettico randomizzato. Situazione e pazienti: sono stati presi in considerazione 30 pazienti maschi con ASA I-II (20-45 anni), sottoposti ad intervento chirurgico ambulatoriale di settoplastica. A tutti i pazienti è stata somministrata una dose ev di Fentanyl 1 mcg/kg. Per la sedazione è stato impiegato un apparecchio (Abbott, APM) per l’analgesia controllata dal paziente. Le dosi di carico e di bolo del Propofol e del Midazolam erano rispettivamente di 0.7 mg /kg – 0.25 mg/kg e di 0.03 mg/kg – 5 mcg/kg. L’intervallo minimo consentito tra due somministrazioni era di 5 minuti. Dosi supplementari di Fentanyl (1 mcg/kg) sono state somministrate in base ai livelli di sedazione. I livelli di sedazione sono stati individuati in 4 differenti tempi durante la chirurgia (1: sveglio, ansioso; 2: sveglio, non ansioso; 3: sedato, eloquio confuso; 4: occhi chiusi, risposta allo stimolo verbale). I livelli di soddisfazione del paziente e del chirurgo sono stati valutati in base a scala analogica visiva (VAS 0-10). Risultati: non si sono rilevate significative differenze in termini di livelli di sedazione, parametri emodinamici, soddisfazione del paziente e del chirurgo. La richiesta di boli supplementari di Fentanyl è stata maggiore nei pazienti trattati con Midazolam (p<0.05). Conclusioni: il Propofol è sicuro, mantiene soddisfacenti condizioni intraoperatorie e riduce la necessità di boli supplementari di Fentanyl nella chirurgia ambulatoriale per settoplastica. Parole chiave: settoplastica, sedazione paziente-controllata, midazolam, propofol, fentanyl. Abstract. – Objective: The aim of this study was to determine which drug, propofol or midazolam, was more suitable for patient-controlled sedation in septoplasty operations with respect to sedation level, patient and surgeon satisfaction and haemodynamic profile. Design: Prospective randomized Address for reprints Indirizzo per la richiesta di estratti SENNUR UZUN, MD , Hacettepe University Faculty of Medicine, Department of Anaesthesiology and Reanimation Hacettepe, Ankara, TR-06100, Turkey Tel: + 90-312-3051207 - Fax: + 90-312-3109600 E-Mail: [email protected] ACTA ANAESTH. ITALICA 55, 79-89, 2004 79 V. Çeliker, E. Basgül, S. , , Uzun and Ü. Aypar controlled clinical study. Setting and patients: Thirty male patients, ASA I-II (20-45 years), undergoing ambulatory septoplasty were recruited. All patients received 1 µg.kg–1 intravenous fentanyl. A patientcontrolled analgesia device (Abbott, APM) was used. The loading and bolus doses of propofol and midazolam were 0.7 mg·kg–1 / 0.25 mg.kg–1 and 0.03 mg·kg–1 / 5 µg·kg–1, respectively. Lockout intervals were 5 minutes. An additional dose of fentanyl (1 µg·kg–1) was added according to sedation level. Sedation level was assessed at four different times during surgery (1: awake, anxious; 2: awake, not anxious; 3: sedated, speech blurred; 4: eyes closed, responds to verbal stimulus). Patient and surgeon satisfaction was determined by a visual analogue scale (0-10). Results: There were no significant differences in terms of sedation level, patient and surgeon satisfaction or haemodynamic parameters. Bolus demand and the need for additional fentanyl were higher in the midazolam group (p < 0.05). Conclusions: Propofol is safe and provides good intraoperative conditions and reduces the need for additional fentanyl in ambulatory septoplasty operations. Key words: Septoplasty, patient-controlled sedation, midazolam, propofol, fentanyl. Introduzione Introduction a sedazione cosciente permette al chirurgo di effettuare procedure chirurgiche mantenendo i riflessi protettivi da parte del paziente (1). In combinazione con l’anestesia locoregionale, è una sicura alternativa all’anestesia generale per il controllo del dolore perioperatorio e dell’ansia nei pazienti sottoposti a chirurgia ambulatoriale (2). Il propofol è un anestetico endovenoso a breve durata con un rapido picco d’azione, rapida emivita di eliminazione e inattivazione dei metaboliti (3). Il Midazolam ed il Propofol vengono utilizzati dai dentisti e dai chirurghi maxillo-facciali per la sedazione del paziente durante la rimozione del 3º molare. Anche se maggiormente utilizzata in odontoiatria, la sedazione controllata dal paziente può essere impiegata anche in sala operatoria (4-7). Questo studio confronta il Midazolam ed il Propofol, entrambi associati a Fentanyl, come agenti sedativi durante interventi chirurgici ambulatoriali di settoplastica. Abbiamo valutato i livelli di sedazione, i livelli di soddisfazione del paziente e del chirurgo con questo metodo di sedazione, il ricordo da parte onscious sedation is a method that allows the surgeon to perform a procedure during which the patient retains protective reflexes (1). In combination with local anaesthesia, it is a safe alternative to general anaesthesia for the control of perioperative pain and anxiety in outpatient surgery (2). Propofol is a short-acting intravenous anaesthetic with a rapid onset of action, short elimination half-life and inactive metabolites (3). Most studies advocate the use of propofol for general anaesthesia, but a few reported that propofol can be used for conscious sedation during outpatient surgical procedures. Midazolam and fentanyl are used by many oral and maxillofacial surgeons for sedation during the removal of third molars. Although usually used in dentistry, patient-controlled sedation can also be used in the operating room (4-7). This study compared midazolam with propofol, each in combination with fentanyl, as sedative agents during outpatient septoplasty operations. We measured the sedation level, the satisfaction level of the patient and surgeon with the sedation L 80 C Midazolam vs Propofol nella sedazione controllata dal paziente per settoplastica ambulatoriale dei pazienti delle infiltrazioni nasali di anestetico locale, gli effetti collaterali ed i parametri emodinamici. method, recall of the local injection to the nose, side effects and hemodynamic parameters. Materiali e metodi Material and Method Dopo approvazione del comitato etico è stato ottenuto il consenso informato da parte di 30 pazienti tra i 20 ed i 45 anni con ASA I-II, sottoposti ad intervento chirurgico ambulatoriale in elezione per settoplastica. La randomizzazione è stata eseguita mediante schede computerizzate. I gruppi sono stati suddivisi come segue: – Gruppo 1 (n=15): sedazione controllata dal paziente (PCS) con Midazolam. – Gruppo 2 (n=15): sedazione controllata dal paziente (PCS) con Propofol. Non è stata somministrata alcuna premedicazione. I pazienti sono stati istruiti sull’uso del dispositivo di somministrazione della PCS. I monitoraggi di routine utilizzati comprendevano ECG, saturimetria e pressione sanguigna. A tutti i pazienti è stato posizionato un catetere venoso 22 gauge sul dorso della mano per l’infusione di soluzione fisiologica. Come analgesico è stato somministrato Fentanyl 1 mcg/kg all’inizio dell’intervento chirurgico. Successivamente sono state somministrate dosi di 1 mcg/kg in base ai livelli di sedazione del paziente. Durante l’intervento chirurgico i pazienti sono stati assistiti dall’anestesista nel caso insorgessero eventuali effetti collaterali (sovradosaggio, bradicardia, ipertensione, ipotensione, apnea e desaturazione). Per la somministrazione dei farmaci analgesici è stato utilizzato un dispositivo per l’analgesia controllata dal paziente (Abbott patient-controlled After ethics committee approval, informed consent was obtained from 30 male patients aged 20-45 years, ASA I-II, about to undergo ambulatory septoplasty operation under elective conditions. A computer based randomisation chart was used for the randomisation. The groups were as follows: – Group I (n=15): Patient controlled sedation (PCS) with midazolam. – Group II (n=15) : PCS with propofol. No premedication was administered. Patients were instructed in the use of the device for PCS. Routine monitoring with ECG, pulse oxymeter and blood pressure was carried out. A 22-gauge intravenous (IV) catheter was placed in a vein at the dorsum of the hand and attached to normal saline of 9‰. For analgesia, 1 µg·kg–1 fentanyl was administered at the start of surgery. Subsequently 1µg·kg–1 was added according to the sedation level of the patient. Patients were assisted by an anaesthetist in case of possible side effects (oversedation, bradycardia, hypertension, hypotension, apnoea and desaturation) during the operation. The patient controlled analgesia device (Abbott patient-controlled analgesia delivering system machine, APM) was used for drug administration. The lockout interval was set to 5 minutes. Dosing regimes for PCS were as follows: – Group I (Midazolam): loading dose 0.03 mg·kg–1; bolus dose 5 µg·kg–1. 81 V. Çeliker, E. Basgül, S. , , Uzun and Ü. Aypar analgesia delivering system machine, APM). L’intervallo minimo consentito tra due somministrazioni era impostato a 5 minuti. I regimi di dosaggio per la PCS erano i seguenti: – Gruppo 1 (Midazolam): dose di carico 0.03 mg/kg; dose bolo 5 mcg/kg. – Gruppo 2 (Propofol): dose di carico 0.7 mg/kg; dose bolo 0.25 mg/kg. L’anestesia locale è stata eseguita dal chirurgo con 5-15 cc di Prilocaina 2% 5 minuti dopo la somministrazione della dose di carico. I parametri emodinamici (ECG, saturimetria, pressione arteriosa non invasiva, frequenza respiratoria), sono stati registrati a sei differenti momenti: livelli basali prima dell’inizio della sedazione, appena subito dopo la dose di carico, dopo l’anestesia locale del naso, all’inizio dell’intervento chirurgico, 30 minuti dopo, e alla fine dell’intervento. I livelli di sedazione del paziente sono stati valutati dallo stesso anestesista a quattro differenti momenti (prima dell’inizio dell’intervento, 5 e 30 minuti dopo l’inizio e al termine della chirurgia), secondo la seguente scala: – Livello 1: sveglio e ansioso. – Livello 2: sveglio, non ansioso. – Livello 3: sedato, eloquio confuso. – Livello 4: occhi chiusi, esegue gli ordini semplici. Alla fine dell’intervento chirurgico è stata utilizzata una scala analogico visiva (VAS: 0-10), per misurare la soddisfazione del chirurgo riguardo alla metodica. Ciascun chirurgo non era a conoscenza del metodo utilizzato. La stessa scala di misura è stata utilizzata per misurare i livelli di soddisfazione del paziente, a distanza di 2-3 ore dalla 82 – Group II (Propofol): loading dose 0.7 mg·kg–1; bolus dose 0.25 mg·kg–1. Five minutes after the loading dose was delivered, local anaesthesia to the nose was performed by the surgeon with 5-15 cc prilocaine 2 %. Haemodynamic measurements (ECG, pulse oxymeter, non-invasive blood pressure, respiration rate) were recorded at six different times: basal level before the onset of sedation, just after the sedation drug loading dose, after the local anaesthesia to the nose, at the start of the operation, 30 minutes later and at the end of the operation. The patient’s sedation level was assessed by the same anaesthetist at four different times (before the onset of the operation, 5 and 30 minutes after the start and at the end of the operation) according to the following scale (9): Level 1: Awake and anxious. Level 2: Awake, not anxious. Level 3: Sedated, blurred speech. Level 4: Eyes are closed, obeys orders. After the end of the operation, a visual analogue scale (VAS) (0-10 ) was used to measure the surgeon’s satisfaction with the method. Each surgeon was blind to the drug used. The same scale was used to measure the patient’s satisfaction, 2-3 hours later, before discharge, in a blinded manner as well. Patients were also asked if they remembered the local anaesthetic drug injection. This was asked before discharge and was graded as follows: 0, no pain; 1, mild pain; and 2, moderate pain. Student’s t-test and Spearman Correlation test were used for statistical analysis. The results are given as mean ± SD, 95% confidence interval. A P value < 0.05 was considered significant. Midazolam vs Propofol nella sedazione controllata dal paziente per settoplastica ambulatoriale fine dell’intervento prima della dimissione. Alla dimissione, ai pazienti è stato domandato se ricordavano il momento della somministrazione dell’anestetico locale valutando come segue: 0, nessun dolore; 1, dolore medio; 2, dolore moderato. Sono stati utilizzati per l’analisi statistica il t-test di Student ed il test di correlazione di Spearman. I risultati sono stati riportati come media ± SD, con intervallo di confidenza al 95%. Un valore di P < 0.05 è stato considerato significativo. Risultati I dati demografici sono riportati in tabella 1. Non vi sono significative differenze tra i gruppi per età e peso. La durata media degli interventi è stata di minuti 59.3 nel gruppo Midazolam e 58.3 nel gruppo Propofol (p < 0.05). L’anestetico locale usato dal chirurgo è Results The demographic data are shown in table 1. There were no significant differences between the groups with respect to age or weight. Mean operating time was 59.3 minutes in the midazolam group and 58.3 minutes in the propofol group (p < 0.05). Total local anaesthetic used by the surgeons was 9.9 cc in the midazolam group and 9.3 cc in the propofol group (p < 0.05). Sedation level during the operation was not statistically different between the groups at any time point (mean values for midazolam versus propofol respectively, after the onset of the operation: 2.13 ± 0.4 vs 2.33 ± 0.6; after 5 minutes: 2.07 ± 0.3 vs 2.13 ± 0.3; after half an hour: 1.93 ± 0.4 vs 1.93 ± 0.5; at the end of the operation: 1.87 ± 0.3 vs 1.67 ± 0.5). Patient and surgeon satisfaction, assessed by visual analogue scale (0-10) after TABELLA 1. – Caratteristiche demografiche. / TABLE 1. – Demographic characteristics. Numero di pz Number of pts Età Age Peso Weight Sesso (M/F) Sex (M/F) Midazolam 15 32,8 ± 10,8 74,8 ± 14,2 15 / 0 Propofol 15 33,3 ± 11,2 70,8 ± 21,2 15 / 0 Valori medi (± SD); nessuna differenza statisticamente significativa tra i gruppi. Mean values (± SD); no significant differences between the groups. TABELLA 2. – Soddisfazione del paziente e del chirurgo verso il metodo e il farmaco usati. / TABLE 2. – Patient and surgeon satisfaction of the method and drug used. Soddisfazione paziente (0-10) Patient satisfaction (0-10) Soddisfazione chirurgo (0-10) Surgeon satisfaction (0-10) Midazolam 8,3 ± 1,6 8,4 ± 2,3 Propofol 8,0 ± 1,6 8,4 ± 1,7 Valori medi (± SD); nessuna differenza statisticamente significativa tra i gruppi. Mean values (± SD); no significant differences between the groups. 83 V. Çeliker, E. Basgül, S. , , Uzun and Ü. Aypar stato in totale 9.3 cc per il gruppo Midazolam e 9.3 cc per il gruppo Propofol (p < 0.05). In nessun momento dell’intervento i livelli di sedazione sono risultati statisticamente differenti tra i due gruppi (valori medi Midazolam vs Propofol rispettivamente: dopo l’inizio dell’operazione 2.23 ± 0.4 vs 2.33 ± 0.6; dopo 5 minuti 2.07 ± 0.3 vs 2.13 ± 0.3; dopo 30 minuti 1.93 ± 0.4 vs 1.93 ± 0.5; alla fine dell’intervento 1.87 ± 0.3 vs 1.67 ± 0.5). Il livello di soddisfazione del paziente e del chirurgo, valutata con scala analogico visiva (0-10) dopo l’intervento chirurgico, non ha evidenziato differenze statisticamente significative tra i due gruppi (Tab. 2). Ventuno dei trenta pazienti hanno affermato che avrebbero preferito la tecnica con sedazione controllata dal paziente anche per altri interventi similari. Il consumo supplementare di Fentanyl è stato maggiore nei pazienti del gruppo Midazolam (p < 0.05). La dose totale di Fentanyl impiegato nel gruppo Midazolam è stata di 117.7 ± 37.2 mcg e nel gruppo Propofol 84.7 ± 29.2 mcg (p < 0.05). Questa differenza può essere attribuita al lento manifestarsi dell’effetto del Midazolam. Questo punto verrà trattato più dettagliatamente nella sezione discussione. In termini di parametri emodinamici, non si sono rilevate statisticamente differenze di frequenza respiratoria e pressione sanguigna tra i due gruppi. Comunque, in momenti diversi si sono evidenziate differenze tra i due gruppi per quanto concerneva la frequenza cardiaca e la saturazione d’ossigeno. La frequenza cardiaca nel gruppo Midazolam è variata dopo la dose di carico. Sebbene 84 the operation, was not statistically different between the groups (Table 2). Twenty-one of the 30 patients stated that they would prefer the patient-controlled sedation technique for a similar operation. Additional fentanyl consumption was higher in the midazolam group (p < 0.05). Total fentanyl dose used in the midazolam group was 117.7 ± 37.2 µg and 84.7 ± 29.2 µg in the propofol group (p < 0.05). This difference can be attributed to the slow onset time of midazolam. This will be dealt with in detail in the discussion section. In terms of hemodynamic and respiratory parameters, there were no statistically significant differences in respiratory rate and blood pressure between the groups. However, heart rate and O2 saturation showed differences between the groups at different times. Heart rate in the midazolam group changed after the loading dose. Despite being expected to decrease it increased (p<0.05), and this continued until the end of the operation. However, in the propofol group heart rates did not change very much (p>0.05), staying very stable throughout the operation (Fig. 1). We observed a decrease in O2 saturation after the local injection to the nose in the midazolam group (p < 0.05). There was also a decrease in propofol group but it was not significant. After 30 minutes and at the end of the operation, there was a difference in O2 saturations between the groups. The decrease in O2 saturation in the midazolam group was much higher than that in the propofol group (Fig. 2). This could be because of the fentanyl dose used in this group (p < 0.05). Midazolam vs Propofol nella sedazione controllata dal paziente per settoplastica ambulatoriale Midazolam Propofol Time of measurement Fig. 1. – La frequenza cardiaca nel gruppo midazolam è aumentata significativamente dopo la somministrazione della dose di carico (* p < 0.05). Fig. 1. – Mean heart rate in midazolam group increased after the delivery of the loading dose (* p < 0.05). Midazolam Propofol Time of measurement Fig. 2. – La saturazione di O2 nel gruppo midazolam è diminuita significativamente dopo l’iniezione di anestetico locale, a mezz’ora e alla fine dell’inervento (* p < 0.05), ma non è mai scesa al di sotto di 88%. Fig. 2. – Mean O2 saturation in midazolam group significantly decreased after the local anaesthetic injection, at half an hour and at the end of the operation (* p < 0.05) , but was never below 88%. 85 V. Çeliker, E. Basgül, S. , , Uzun and Ü. Aypar TABELLA 3. – Dosi bolo di farmaco richieste dal paziente e dosi somministrate. / TABLE 3. – Patient demand and delivered bolus dose of drugs. Dosi bolo richieste Patient demand of bolus Dosi bolo somministrate Delivered bolus dose Midazolam 44,8 ± 41,3* 5,3 ± 2,8* Propofol 21,1 ± 17,5 4,1 ± 2,7 Valori medi (± SD). Le dosi richieste dal paziente e le dosi somministrate sono significativamente più elevate nel gruppo midazolam, * (p < 0.05). Mean values (± SD). Patient demand of the drug bolus and delivered dose were significantly higher in midazolam group, * (p < 0.05). ci si aspettasse una sua diminuzione, essa invece è aumentata (p < 0.05), fino al termine dell’intervento. Nel gruppo Propofol la frequenza cardiaca non è cambiata di molto (p < 0.05), rimanendo stabile per tutta la durata dell’intervento (Fig. 1). È stata osservata una diminuzione dei valori di saturazione dell’ossigeno nei pazienti del gruppo Midazolam dopo l’infiltrazione del naso con anestetico locale (p < 0.05). Vi è stata una diminuzione anche nel gruppo Propofol, ma non significativa. E stata riscontrata differenza nella saturazione di ossigeno tra i due gruppi dopo 30 minuti e alla fine dell’intervento. La diminuzione della saturazione di ossigeno è stata più marcata nel gruppo Midazolam rispetto al gruppo Propofol (Fig. 2). Questo potrebbe essere dovuto alle maggiori dosi di Fentanyl utilizzate in questo gruppo (p < 0.05). Come mostrato in tabella 3, le richieste supplementari di farmaco e le dosi di bolo somministrate erano differenti nei due gruppi (p < 0.05). Non vi sono state differenze statistiche tra i due gruppi per quanto riguarda il ricordo delle iniezioni di anestetico locale al naso. 16 pazienti non hanno ricordato l’infiltrazione, 13 pazienti hanno riferito dolore medio all’infiltrazione ed un 86 Patient demand and delivered bolus doses of the drugs were statistically different between the groups, as shown in table 3 (p < 0.05). Recall of the local anaesthetic injection to the nose was not statistically different between the groups. Sixteen patients did not remember the injection, 13 patients referred mild pain and 1 patient referred moderate pain. There was no difference between the groups in terms of pain recall. Discussion The patient-controlled infusion method has been in use for many years, especially in the field of postoperative analgesia, and has been successfully used to produce sedation during surgical procedures (5, 8-10). The advantages of this method are its safety and the possibility for the patient to titrate sedation according to individual requirements. It is safe because the patients have to be awake and able to press the button to activate the infusion. Patient-controlled sedation enables the patient to titrate the total maintenance dose to match individual needs. The requirement for each patient varies according to the degree of anxiety and Midazolam vs Propofol nella sedazione controllata dal paziente per settoplastica ambulatoriale paziente dolore moderato. Non vi sono state differenze tra i due gruppi in termini di ricordo del dolore. Discussione Il metodo dell’infusione controllata dal paziente viene usato da molti anni, specialmente nel campo dell’analgesia post-operatoria, ed è stato utilizzato con successo per ottenere la sedazione durante procedure chirurgiche (5, 8-10). I vantaggi di questo metodo sono la sua sicurezza e la possibilità per il paziente di determinare la sedazione a seconda delle esigenze individuali. È sicura perché i pazienti devono essere svegli per poter premere il bottone che attiva l’infusione. La sedazione controllata dal paziente consente ai pazienti di somministrarsi la dose totale di mantenimento in base alle necessità individuali. Le richieste per ciascun paziente variano a seconda del grado di ansia ed in base alle differenze farmacodinamiche e farmacocinetiche. Nel nostro studio, la soddisfazione del paziente nei riguardi della tecnica di sedazione controllata, è stata elevata in entrambi i gruppi, in accordo con quanto dimostrato da Rudkin et al. (5). Il punteggio VAS riportato dai paziente e dai chirurghi non differiva tra i due gruppi. La PCS, oltre a produrre una effettiva e sicura sedazione intraoperatoria adeguata alle necessità individuali, permette anche una precoce dimissione del paziente, e può in tal modo diminuire i costi. Abbiamo osservato in questo studio che la richiesta di dosi di bolo di farmaco e le dosi erogate dal dispositivo sono state maggiori nei pazienti del gruppo pharmacokinetic and pharmacodynamic differences. In our study, patient satisfaction with the patient-controlled technique was high in both groups, in accordance with what shown by Rudkin et al. (5). The VAS scores reported by the patient and the surgeon did not differ between the two groups. PCS, in addition to its ability to provide effective and safe intra-operative sedation that matches individual patient requirements, can also allow to discharge the patient early and therefore may diminish the costs. Patient demand for bolus doses of the drug and the dose delivered by the machine were high in the midazolam group in our study. This is likely to be related to its slower onset of effect. Evidence of variable delayed onset of effect with midazolam includes work with the processed electroencephalogram (EEG), which has been used to measure central nervous system drug effects (11). Although sedation levels were similar in the two groups, this increase in demand raises the possibility that differences between the drugs for dose-dependent anxiolysis, other mood alterations or analgesia may be responsible for this difference (5). The lock-out interval was set to 5 minutes since that is the minimum lockout period for the APM device, and taking into account the relatively slow action of midazolam, which may lead to a ‘stacking effect’ over a period of time, when a further increment may cause a delayed overdose (5). Amnesia was a significant feature in both groups. This is advantageous in that unpleasant events are forgotten by the 87 V. Çeliker, E. Basgül, S. , , Uzun and Ü. Aypar Midazolam. Ciò è probabilmente dovuto al suo inizio d’azione più lento. L’evidenza di un ritardo variabile nell’inizio dell’effetto con il Midazolam è riportata da lavori in cui è stata utilizzata l’elettroencefalografia (EEG) per misurare gli effetti dei farmaci sul sistema nervoso centrale (11). Sebbene i livelli di sedazione fossero similari nei due gruppi, questa richiesta superiore nel gruppo Midazolam suggerisce la possibilità che una differenza tra i due farmaci nella ansiolisi dose-dipendente, o alterazioni dell’umore o l’analgesia possano essere responsabili della differenza (5). L’intervallo di tempo minimo tra due somministrazioni è stato impostato a 5 minuti dal momento che questo è il minimo periodo di “lockout” per il dispositivo APM, e tenuto conto della azione relativamente lenta del Midazolam, che potrebbe condurre ad un “effetto accumulo” in un certo periodo di tempo, per cui un ulteriore aumento potrebbe portare ad overdose (5). L’amnesia è stata una caratteristica significativa in entrambi i gruppi. È un vantaggio che gli eventi negativi vengano dimenticati dai pazienti. Nessuno dei pazienti ricordava di aver percepito alcun dolore importante durante l’iniezione di anestetico locale. Un effetto amnesico è comune a tutte le benzodiazepine, compreso il Midazolam (12). I cambiamenti di pressione sistolica media e di frequenza respiratoria non erano significativi in ciascun gruppo a diversi momenti di misura. In entrambi i gruppi le pulsazioni medie sono rimaste nel range della norma. Lo stimolo dovuto probabilmente all’iniezione di anestetico locale ha aumentato momentaneamente nel gruppo Midazolam le pulsazioni. 88 patient. None of the patients remembered any severe pain during the injection of local anaesthetic. An amnestic effect is common to all benzodiazepines, including midazolam (12). Changes in the mean systolic blood pressure and respiration rate were not significant in either group at different measurement times. The mean pulse rate remained within the normal range in both groups. Stimulation due to the local anaesthetic injection probably accounts for the temporary rise in the pulse rate in the midazolam group. This can be explained by the insufficient analgesic effect of this drug (12), and may also account for the increased need for additional fentanyl in the midazolam group. In conclusion, PCS appears to be a satisfactory technique for ambulatory septoplasty procedures. In this setting Propofol seems to be safe and to provide better intraoperative conditions than midazolam, reducing the need for additional fentanyl. This study compared propofol and midazolam in terms of patient-controlled sedation in septoplasty operations under the supervision of an anaesthetist. Further studies in different settings should be planned to assess the feasibility of PCS with other anaesthetic drugs and for other surgical procedures. Midazolam vs Propofol nella sedazione controllata dal paziente per settoplastica ambulatoriale Questo potrebbe essere dovuto ad un insufficiente effetto analgesico di questo farmaco (12), e spiegherebbe l’aumentato bisogno di Fentanyl nel gruppo Midazolam. In conclusione, la PCS sembra essere una tecnica soddisfacente per gli interventi di settoplastica ambulatoriali. In quest’ottica il Propofol sembra essere sicuro e determina migliori condizioni intraoperatorie rispetto al Midazolam, riducendo la richiesta di dosi supplementari di Fentanyl. Questo studio ha comparato il Propofol ed il Midazolam come farmaci per la sedazione controllata dal paziente in interventi chirurgici di settoplastica con supervisione anestesiologica. Ulteriori studi in diverse situazioni dovrebbero essere effettuati per verificare la possibilità di utilizzare la PCS impiegando altri farmaci anestetici e durante altre procedure chirurgiche. References 1. Wylie WD. Report of the working party on training in dental anaesthesia. London 1981; Royal College of Surgeons in England. 2. Bennet CR. Conscious sedation: An alternative to general anesthesia. J Dent Res 1984; 63: 832. 3. Rodrigo RC, Jonsson E. Conscious sedation with propofol. Br Dent J 1989; 75: 166. 4. Parworth LR, Frost DE, Zuniga JR, Bennett T. Propofol and fentanyl compared withg midazolam and fentanyl during third molar surgery. J Oral Maxillofac Surg 1998; 56: 447-453. 5. Rudkin GE, Osborne GA, Finn BP, Jarvis DA, Vickers D. Intra-operative patient controlled sedation. Anaesthesia 1992; 47: 376-381. 6. Zacharias M, Hunter KM, Luyk NH. Patientcontrolled sedation using midazolam. Br J Oral Maxillofac Surg 1994; 32: 168-173. 7. Girdler NM, Rynn D, Lyne JP, Wilson KE. A prospective randomised controlled study of patient-controlled sedation in phobic dental patients. Anaesthesia 2000; 55: 327-333. 8. Park WY, Watkins PA. Patient-controlled sedation during epidural anaesthesia. Anesth Analg 1991; 72: 304-307. 9. Rudkin GE, Osborne GA, Curtis NJ et al. Intrao-perative patient-controlled sedation. Anaesthesia 1991; 46: 90-92. 10. Osborne GA, Rudkin GE, Curtis NJ, Vickers D, Craker AJ. Intra-operative patient-controlled sedation. Compari son of patient-controlled propofol with anaesthetist controlled midazolam and fentanyl. Anaesthesia 1991; 46: 553-556. 11. Greenblatt DJ, Ehrehberg BL, Gunderman J et al. Pharmacokinetics and electroencephalographic study of intravenous diazepam, midazolam and placebo. Clin Pharma and Therapeutics 1989; 45:356-365. 12. Ghoneim MM, Mewalt SP. Benzodiazepines and human memeory: a review. Anaesthesiology 1990; 72: 926-938. 89 CASI CLINICI / CASE REPORTS Movimenti di massa del tronco e degli arti inferiori in un paziente con morte cerebrale Descrizione di un caso e revisione della letteratura Massive jerkings of the trunk and of the lower limbs in a brain dead patient A case report and review of the literature GIORGIO BERLOT, FABRIZIO MONTI (*), ARIELLA TOMASINI, UMBERTO LUCANGELO Università di Trieste, Dipartimento di Scienze Chirurgiche Generali, Anestesiologiche e Medicina Intensiva U.C.O. Anestesia Rianimazione e Terapia del Dolore (*) Università di Trieste, Dipartimento di Neuroscienze Riassunto. – Obiettivo: descrivere il caso clinico di un paziente con l’elettroencefalogramma isoelettrico in seguito ad un danno cerebrovascolare che presentò dei movimenti massivi al tronco e agli arti inferiori dopo minime stimolazioni mentre era sottoposto alle procedure di accertamento di morte cerebrale. Sede: una terapia intensiva multidisciplinare di 11 posti letto. Procedure: sono descritti e discussi l’iter diagnostico che include la TC cranio, l’EEG, i potenziali evocati del tronco e l’angiografia cerebrale. Conclusioni: il verificarsi di movimenti in pazienti con morte cerebrale può indurre perplessità sulla loro origine e sul loro significato. Possono essere utili ulteriori approfondimenti di questi casi per evitare problemi etici sia ai parenti che al personale medico di questi pazienti. Parole chiave: morte cerebrale, segno di Lazzaro. Abstract. – Objective: to describe the case of patient with an isoelectric electroencephalogram following a cerebrovascular accident who presented massive movements of his trunk and legs in response to minimal stimulations while undergoing a formal procedure for the declaration of brain death. Design: The history as well the procedures are described. Setting: a multidisciplinary university 11-bed ICU. Interventions: the diagnostic work up, which included TC scan, EEG, brainstem evoked potentials and angiography are described and discussed. Conclusions: the occurrence of movements in brain dead patients may represent an upsetting circumstances. In order to avoid any ethical dilemma for the relatives as well as for the caregivers, more investigations, although not strictly necessary, could be advisable. Key Words: Brain death, jerkings, Lazarus’sign Indirizzo per la richiesta di estratti Address reprint: Prof. GIORGIO BERLOT U.C.O. Anestesia Rianimazione e Terapia del Dolore - Ospedale di Cattinara Strada di Fiume 447 - 34100 Trieste - Tel. +390403994540 - Fax +39040912278 E-Mail: [email protected] 90 ACTA ANAESTH. ITALICA 55, 90-95, 2004 Movimenti di massa del tronco e degli arti inferiori in un paziente con morte cerebrale Introduzione Introduction ebbene i criteri richiesti per la diagnosi di morte cerebrale (MC) nei pazienti adulti varino nei diversi paesi, alcuni di questi, quali la mancanza di responsività agli stimoli, la cessazione della respirazione spontanea e dei riflessi del tronco, in assenza di effetti farmacologici e/o di ipotermia sono comuni a tutte le legislazioni (1). In pazienti con morte cerebrale sono stati descritti riflessi spinali ed altri automatismi, e la loro presenza può creare degli stress emozionali sia nei parenti che nel personale medico, soprattutto quando sono iniziate le procedure per l’espianto d’organi. In casi più rari questi movimenti appaiono essere più complessi e coinvolgono maggiore massa muscolare mimando risposte finalistiche. In questo articolo gli autori descrivono il caso di un paziente in BD che presentò la contrazione degli arti inferiori e del tronco in risposta alla flessione della testa. lthough the criteria requested for the diagnosis of brain death (BD) in adult patients vary among different countries, common features include the complete unresponsiveness, the cessation of the spontaneous breathing and the lack of brainstem reflexes, in the absence of the effects of drugs and/or hypothermia (1). Spinal reflexes and other automatisms have been described in brain dead subjects, and their presence can create emotional distress both in the relatives and in the caregivers, especially when an organ harvesting procedure is scheduled. In rather uncommon cases, these movements appear more complex and involve large muscle masses, giving the impression of almost purposeful responses. Here we report a case of a BD patient who presented sudden and massive jerkings of the legs and of the trunk in response to head movements. Caso clinico Case description Un uomo di 32 anni venne accolto nel nostro reparto di terapia intensiva con un Glasgow Coma Score (GCS) = 3 in seguito ad un’importante emorragia sopratentoriale con inondazione massiva ventricolare. Fu immediatamente posizionato un drenaggio ventricolare, ma le condizioni cliniche non migliorarono; anzi, nelle ore seguenti il paziente divenne emodinamicamente instabile e vi fu la comparsa di diabete insipido, che richiesero la somministrazione di farmaci vasopressori e di vasopressina. Ventiquattro ore più tardi il GCS risultava invariato, i riflessi del tronco non più elicitabili, il test dell’apnea divenne positivo; la registrazione dell’elettroencefalogramma (EEG) amplificato dimostrò un tracciato isolettrico. In accordo alla corrente legislazione italiana, la morte cerebrale in un adulto può essere dichiarata quando l’EEG rimane isoelettrico per sei ore, in assenza di attività respiratoria sponta- A 32 year-old-man was admitted to our Intensive Care Unit with a Glasgow Coma Score (GCS) = 3 due to a large supratentorial haemorrhage and a massive intraventricular bleeding. A ventricular drainage was immediately positioned, but the neurologic conditions did not change; conversely, in the next few hours the patient became hemodinamically unstable and a diabetes insipidus appeared, requiring the administration of vasoactive agents and arginin-vasopressin. Twenty-fours hours later, the GCS was unchanged, the brainstem reflexes were not elicitable, the apnea test was positive; a maximally amplified electroencephalogram (EEG) was then recorded which resulted isoelectric. According to the current Italian law, in a adult patient the BD can be diagnosed when the EEG remains isoelectric for six hours, in the absence of either spontaneous breathing and brainstem reflexes, provided that S A 91 G. Berlot, F. Monti, A. Tomasini, U. Lucangelo nea e di riflessi spinali, e in assenza di farmaci sedativi, di miorilassanti e/o di ipotermia. Quando tali criteri furono riscontrati, si avviò la procedura formale per la dichiarazione di avvenuta morte cerebrale, e venne richiesto il consenso ai parenti per il prelievo d’organi. Immediatamente prima della registrazione del secondo EEG, si osservò la comparsa di ripetute importanti flessioni degli arti inferiori associate alla estensione bilaterale dei piedi e alla flessione del tronco in seguito movimenti di estensione e rotazione del capo per per l’applicazione degli elettrodi EEG. L’EEG registrato nell’intervallo tra queste contrazioni si mantenne isoelettrico e il test non si modificò. I movimenti perdurarono durante l’intero periodo di osservazione, anche se la loro intensità diminuì quando in seguito all’applicazione ripetuta degli stimoli, e continuarono fino alla fine delle sei ore di osservazione. Per soddisfare le richieste dei parenti ed eliminare ogni dubbio furono eseguite (a) la registrazione dei potenziali evocati uditivi (BAEP) e di quelli somatosensoriali (SSEP) che dimostrarono l’assenza del II BAEP attraverso l’onda V (Fig.1), la conservazione dell’onda N13 e la scomparsa delle onde SSEP corticali; e (b) la TC spirale del cranio dopo somministrazione di mezzo di contrasto che dimostrò l’assenza di flusso ematico intracerebrale. Una volta che la the effects of sedatives, neuromuscolar blocking agents and/or hypothermia can be reliably excluded. Since all these criteria had been fulfilled, a formal procedure for the diagnosis of BD was implemented, and the relatives were requested the consensus for an organ harvesting procedure. Immediately prior the recording of the second EEG, repeated brisk flexions of both legs associated with the bilateral extension of the feet and flexion of the trunk appeared when the head was extended and tilted to apply the scalp electrodes. The EEG, recorded in between these jerkings, was isoelectric and the apnea test remained positive. The movements persisted throughout the observation period, even if their intensity tended to diminish when the trigger stimuluses were applied repeatedly, and continued until the end of the six hours. To satisfy the relatives’ requests and to ban any doubt, other investigations were carried out, including (a) the recording of the brainstem auditory evoked potentials (BAEP) and of the somatosensorial evoked potentials (SSEP), which demonstrated the absence of BAEP II through V waves (Fig. 1), the preservation of the N13 wave and the loss of SSEP cortical waves, respectively; and (b) a helical CT scan of the brain after the administration of iv. contrast, which demonstrated the absence of the intracere- Fig. 1. – Potenziali evocati acustici del tronco cerebrale. Prima e seconda linea: lato sinistro; terza e quarta linea: lato destro. Ogni traccia rappresenta la media di 1500 stimoli uditivi (click) presentati a 11,1 Hz e a 100 dB. Fig. 1. – Brainstem auditory evoked potentials: first and second line: left side; third and fouth line: right side. Each trace is the average of 1500 clicks presented at 11.1 Hz and 100 dB. 92 Movimenti di massa del tronco e degli arti inferiori in un paziente con morte cerebrale diagnosi di MC fu confermata anche da questi accertamenti, si ottenne il consenso dei parenti e si procedette al prelievo d’organi. Discussione Diversi tipi di movimento sono compatibili con la diagnosi di MC, dai movimenti fini delle dita a più rari automatismi complessi (2). Queste risposte appaiono piuttosto eterogenee dal momento che (a) esse possono originare dal C1 e inferiori; (b) possono coinvolgere un numero variabile di metameri; e, (c) possono verificarsi sia spontaneamente che dopo l’applicazione di diversi stimoli quali dolorifici, motori (movimenti del cap), tracheali (aspirazione) etc (3, 4). Tra questi movimenti il segno di Lazzaro è particolarmente pronunciato e consiste, nella sua forma completa, nel sollevamento di entrambe le braccia con la flessione dei gomiti, a volte associato con la rotazione e l’adduzione delle spalle e la pronazione degli avambracci (5). Sono stati descritti numerosi altri movimenti limitati, inclusi la flessione spontanea delle dita, la flessione delle gambe, il riflesso di prono-estensione degli arti superiori, le risposte flessorie plantari e le miochimie facciali (2, 6, 7). La comparsa di riflessi spinali e di automatismi in corso di MC può essere attribuita principalmente alla perdita di controllo da parte di centri cerebrali localizzati nel tronco cerebrale e nella corteccia filogeneticamente recenti su altri più arcaici. Altri movimenti più semplici possono anche rappresentare le distruzione della rete neuronale con il conseguente prevalere di vie spinali che rilasciano spontaneamente impulsi nervosi (3). Questi movimenti compaiono tra le 2 e le 20 ore di MC, una volta risoltasi la fase di shock bral blood flow. Once the diagnosis of BD had been confirmed well beyond the already strict legal criteria, the relatives’consensus was obtained and the organ-harvesting procedure was carried out. Discussion Movements of various entity, ranging from minor finger jerks to rather complex automatisms and reflexes involving the limbs are compatible with the diagnosis of BD (2). These responses appears rather heterogeneous, as (a) they can originate from the C1 level downward; (b) can involve a variable number of spinal segments; and (c) can occur either spontaneously or after the application of various triggers, including noxious stimulations, head movements, tracheal suctioning etc (3, 4). Among all, the Lazarus’sign is particularly striking, as it consists, in its complete form, in the raising of both arms with the flexion of the elbows, possibly associated with the rotation and adduction of the shoulders and the pronation of the forearms (5). Several other more limited movements have been described, including the spontaneous jerks of the fingers, the triple flexions of the limbs, the pronationextension reflex of the upper limbs, the flexor plantal responses and facial myokimias (2, 6, 7). The appearance of spinal reflexes and automatisms in BD can be primarily attributed to the escape of phylogenetically older spinal regions from the control of more recently developed centres located either in the brainstem and in the neocortex, whereas other simpler movements merely represent the disintegration of the neuronal network with the subsequent spontaneous firing of remnant viable spinal neurons and/or irradiation phenomena (3). The time93 G. Berlot, F. Monti, A. Tomasini, U. Lucangelo spinale (3). Anche nel nostro paziente tali movimenti comparvero quando l’EEG era già isoelettrico, ossia circa dopo 24 ore dal danno cerebrale iniziale, e diventarono meno evidenti con la ripetizione dello stimolo e con il decremento della temperatura corporea; a tele proposito è ipotizzabile che l’ipotermia abbia comportato una progressiva ridotta perfusione delle aree spinali coinvolte. Le indagini diagnostiche supplementari condotte sul nostro paziente meritano qualche commento dal momento che possono apparire ridondanti, inutili e dispendiose. Sicuramente la diagnosi di MC deve essere accertata senza alcun dubbio per le conseguenze etiche, mediche e legali che possono derivare da una situazione di incertezza, soprattutto quando sono avviate le procedure per il prelievo d’organi (8). Nel nostro caso, i movimenti osservati sembrano solo in parte essere causati da riflessi del tronco: alcuni movimenti del tronco e delle spalle possono originare da centri sopraspinali e in loro presenza, la diagnosi di MC non può essere stabilita o esclusa fino a quando non è identificata l’esatta loro origine. Nel tentativo di eliminare ogni dubbio sulla diagnosi, sono stati eseguiti sia i BAEP che i SSEP; queste indagini hanno dimostrato avere un importante valore prognostico e diagnostico e sebbene esse possano fornire risultati discordanti e varabili durante il decorso clinico (9), l’assenza di entrambi i segnali indica l’interruzione delle vie nervose che connettono la periferia al tronco e alla corteccia cerebrali. Per quanto riguarda gli SSEP, la perfusione del midollo allungato da parte dei vasi extracranici potrebbe essere responsabile della persistenza dell’onda N13 nonostante la totale assenza 94 frame of appearance of these movements varies from 2 to 20 hours, once the phase of spinal shock following BD has been overcome (3). Actually, also in our patient the described movements appeared when the EEG was already isoelectric, that is about 24 hours after the initial insult, but became feebler either when the stimuluses were repeatedly applied and with the decrease of the body temperature; this latter finding probably reflects a progressively reduced perfusion of the involved spinal areas. The supplementary investigations performed worth some comments, as they can appear redundant, useless and both timeand resources-consuming. Actually, the diagnosis of BD must be certain beyond any reasonable doubt due to the relevant ethical, medical and legal consequences deriving from even a marginal degree of uncertainty, and this especially applies when an organ harvesting procedure is schedulable (8). In our case, there was much concern among the attending staff that brainstem reflexes could account for at least part of the observed phenomena: actually, some movements involving the trunk and the shoulder can originate from sopraspinal centres and, in their presence, the diagnosis of BD cannot be established or excluded until their source is definitely identified. In order to eliminate any possible doubt on the diagnosis we recorded both BAEP and SSEP; these investigations have been demonstrated valuable prognostic and diagnostic tools and, although they can carry conflicting results in case of discordance and vary during the clinical course (9), the absence of both of them indicates the interruption of the nervous pathways connecting the periphery to the brain- Movimenti di massa del tronco e degli arti inferiori in un paziente con morte cerebrale di flusso ematico intracranico dimostrato dalla angioTC cerebrale. Conclusione Nonostante alcune variazioni dovute alle diverse legislazioni, la diagnosi di BD si basa sulla mancanza di risposta agli stimoli e sull’assenza della respirazione spontanea per mancanza di controllo del tronco cerebrale. Sebbene la presenza di riflessi spinali e di automatismi non esclude tale diagnosi, è raccomandabile eseguire ulteriori indagini di quelle richieste dalle procedure legali, in modo da rassicurare i parenti dei pazienti che osservano movimenti in un soggetto dichiarato clinicamente morto e in modo da confermare la correttezza della diagnosi. References 1. Wijdicks EFM. “The diagnosis of brain death” New Engl J Med 2001; 344: 1215-1221. 2. Saposnik G, Bueri JA, Maurino J, Saizar R, Garretto NS.“Spontaneous and reflex movements in brain death” Neurology 2000; 54: 221-223. 3. Spittler JF, Wortmann D, von During M, Gehlen W. “Phenomenological diversity of spinal reflexes in brain death” Eur J Neurol 2000; 7: 315-321. 4. Turmel A, Roux A, Bojanowsky MW. “Spinal man after declaration of brain death” Neurosurgery 1991; 28: 298-302. 5. Bueri J, Saposnik G, Maurino J, Saizar R, Garretto NS. “Lazarus’sign in brain death” Mov Disord 2000; 15: 583-586. 6. Awada A. “Automatismes réflex inhabituels aprés mort cérébrale” Rev Neurol (Paris) 1995; 151: 586-588. 7. Saposnik G, Maurino J, Saizar R. “Facial myokymia in brain death” Eur J Neurol 2001; 8: 227-230. 8. Van Norman GA. “A matter of life and death” Anesthesiology 1991; 91: 275-280. 9. Facco E, Munari M “The role of evoked potentials in severe head injury” Intens Care Med 2000; 26: 998-1005. stem and to the cortex. As far as the SSEP are concerned, the blood supply to the medulla oblungata from extracranial vessels could account for the persistence of the N13 wave despite the absence of intracranial blood flow demonstrated with the CT angiography. Conclusions Despite some variations due to different legislations, the diagnosis of BD is based on the unresponsiveness, the absence of the brainstem reflexes of the spontaneous breathing. Although the presence of spinal reflexes and automatisms does not exclude this diagnosis, when they are particularly pronounced it could be worthwhile to extend the investigations beyond the legal requirements in order either to reassure the relatives who see movements in a patient decleared BD and to confirm the correctness of the diagnosis. 95 ARGOMENTI ATTUALI / CURRENT TOPICS Addio alla dopamina a dosaggio renale? A farewell to renal-dose dopamine? MARCO LUCHETTI, MASSIMO BERTOLINI, GIUSEPPE MARRARO S.C. Anestesia & Rianimazione, A.O. “Fatebenefratelli & Oftalmico” Milano - Italia Introduzione Introduction er molti anni la dopamina è stata considerata un farmaco essenziale in terapia intensiva, per i suoi effetti cardiovascolari e ancor più per il suo presunto effetto protettivo sulla funzione renale e sulla perfusione splancnica. La dopamina a basso dosaggio (2-5 mcg/kg/min) aumenta il volume urinario ed è usata abitualmente in maniera profilattica per prevenire l’insufficienza renale acuta, sebbene non esista una chiara evidenza dei suoi benefici. Si ipotizza che essa protegga il vulnerabile tubulo prossimale che è il segmento del nefrone a più alto consumo di energia. A basse dosi la dopamina vasodilata la circolazione intra-renale, inibisce l’attività della Na/K ATPasi a livello del tubulo prossimale e può ridurre lo squilibrio tra energia richiesta ed energia fornita provocato dall’ipoperfusione. L’ipotesi rimane comunque non dimostrata, nonostante i trials effettuati in or many years, dopamine was considered an essential drug in the intensive care unit for its cardiovascular effects and, even more, for its supposedly protective effects on renal function and splanchnic mucosal perfusion. Low dose intravenous dopamine (2-5 mcg/kg/min) increases urine volume and is commonly used prophylactically to prevent acute renal failure although clear evidence of benefit is absent. Dopamine is hypothesized to protect the vulnerable proximal tubule which is the most energy-consumptive segment of the nephron. At low doses, dopamine vasodilates the intra-renal circulation, inhibits proximal tubular Na/K ATPase activity and may reduce the mismatch between energy supply and demand which results from hypoperfusion. The hypothesis remains unproven despite trials in relatively homogeneous patient groups, such as those undergoing cardiopulmonary bypass surgery, major vascular surgery or radiocontrast interventions. This lack of evidence in part reflects the use of imprecise measures of renal function and inadequate monitoring of systemic haemodynamics. P Indirizzo per la richiesta di estratti Address for reprints MARCO LUCHETTI, MD S.C. di Anestesia e Rianimazione Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli e Oftalmico Corsa Porta Nuova, 23 - 20121 Milano - Italia E-Mail: [email protected] 96 F ACTA ANAESTH. ITALICA 55, 96-105, 2004 Addio alla dopamina a dosaggio renale? gruppi di pazienti relativamente omogenei, quali quelli sottoposti a by-pass cardiopolmonare, chirurgia vascolare maggiore o procedure con radiocontrasto. Questa mancanza di evidenza in parte è dovuta all’uso di misure di funzione renale imprecise o al monitoraggio inadeguato dell’emodinamica sistemica. Negli ultimi anni diversi studi di metaanalisi e revisione sistematica hanno concluso che la dopamina a basso dosaggio è inefficace nella prevenzione e nel trattamento dell’insufficienza renale acuta così come nella protezione dell’intestino. Riportiamo, qui di seguito, i riassunti di sei lavori recentemente pubblicati sull’argomento: i primi tre sono tratti dai maggiori studi che criticano l’uso della dopamina a basso dosaggio, gli altri tre invece sono studi recenti che ancora riportano risultati positivi dal suo uso. 1. Lancet 2000; 23-30; 356 (9248): 2139-43. Low-dose dopamine in patients with early renal dysfunction: a placebo-controlled randomised trial. Australian and New Zealand Intensive Care Society (ANZICS) Clinical Trials Group. Bellomo R, Chapman M, Finfer S, Hickling K, Myburgh J. BACKGROUND: Low-dose dopamine is commonly administered to critically ill patients in the belief that it reduces the risk of renal failure by increasing renal blood flow. However, these effects have not been established in a large randomised controlled trial, and use of dopamine remains controversial. We have done a multicentre, randomised, double-blind, placebo-controlled study of low-dose dopamine in patients with at least two criteria for the systemic inflammatory response syndrome and clinical evidence of early renal dysfunction (oliguria or increase in serum creatinine concentration). METHODS: 328 patients admitted to 23 participating intensive-care units (ICUs) were randomly assigned a continuous intravenous infusion of lowdose dopamine (2 microg kg(-1) min(-1)) or pla- In the last few years, several metaanalysis and systematic review studies have concluded that low dose dopamine is ineffective for prevention and treatment of acute renal failure and for protection of the gut. The following pages contain summaries of six papers recently published on the topic: the first three summaries are from some of the major studies criticizing the use of low-dose dopamine, the other three ones instead are from recent articles that still report good results from its use. 1. Lancet 2000; 23-30; 356 (9248): 2139-43. Low-dose dopamine in patients with early renal dysfunction: a placebo-controlled randomised trial. Australian and New Zealand Intensive Care Society (ANZICS) Clinical Trials Group. Bellomo R, Chapman M, Finfer S, Hickling K, Myburgh J. BACKGROUND: Low-dose dopamine is commonly administered to critically ill patients in the belief that it reduces the risk of renal failure by increasing renal blood flow. However, these effects have not been established in a large randomised controlled trial, and use of dopamine remains controversial. We have done a multicentre, randomised, double-blind, placebo-controlled study of low-dose dopamine in patients with at least two criteria for the systemic inflammatory response syndrome and clinical evidence of early renal dysfunction (oliguria or increase in serum creatinine concentration). METHODS: 328 patients admitted to 23 participating intensive-care units (ICUs) were randomly assigned a continuous intravenous infusion of low-dose dopamine (2 microg kg(-1) min(-1)) or placebo administered through a central venous catheter while in the ICU. The primary endpoint was the peak serum creatinine concentration during the infusion. Analyses excluded four patients with major protocol violations. FINDINGS: The groups assigned dopamine (n=161) and placebo (n=163) were similar in terms of baseline cha- 97 M. Luchetti, M. Bertolini, G. Marraro cebo administered through a central venous catheter while in the ICU. The primary endpoint was the peak serum creatinine concentration during the infusion. Analyses excluded four patients with major protocol violations. FINDINGS: The groups assigned dopamine (n=161) and placebo (n=163) were similar in terms of baseline characteristics, renal function, and duration of trial infusion. There was no difference between the dopamine and placebo groups in peak serum creatinine concentration during treatment (245 [SD 144] vs 249 [147] micromol/L; p=0.93), in the increase from baseline to highest value during treatment (62 [107] vs 66 [108] micromol/L; p=0.82), or in the numbers of patients whose serum creatinine concentration exceeded 300 micromol/L (56 vs 56; p=0.92) or who required renal replacement therapy (35 vs 40; p=0.55). Durations of ICU stay (13 [14] vs 14 [15] days; p=0.67) and of hospital stay (29 [27] vs 33 [39] days; p=0.29) were also similar. There were 69 deaths in the dopamine group and 66 in the placebo group. INTERPRETATION: Administration of low-dose dopamine by continuous intravenous infusion to critically ill patients at risk of renal failure does not confer clinically significant protection from renal dysfunction. Questo è uno studio multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato verso placebo, che analizza l’uso della dopamina a basso dosaggio su un ampio campione di pazienti adulti (n=328) affetti da sindrome da risposta infiammatoria sistemica e iniziale disfunzione renale. Nessuna differenza è stata riscontrata tra il gruppo trattato con dopamina e quello trattato con placebo rispetto a tutti i parametri studiati. Anche la durata della degenza in terapia intensiva e in ospedale erano simili. Gli Autori concludono che la dopamina a basso dosaggio non conferisce alcuna protezione significativa nei confronti della disfunzione renale in pazienti critici a rischio di insufficienza renale. 2. Intensive Care Med 2001; 27 (1): 206-10. Low-dose dopamine in neonatal and pediatric intensive care: a systematic review. Prins I, Plotz FB, Uiterwaal CS, van Vught HJ. OBJECTIVES: To assess the current use of lowdose dopamine (< 5 microg/kg per minute) to improve renal function and urine volume (UV) in neonatal (NICU) and pediatric (PICU) intensive 98 racteristics, renal function, and duration of trial infusion. There was no difference between the dopamine and placebo groups in peak serum creatinine concentration during treatment (245 [SD 144] vs 249 [147] micromol/L; p=0.93), in the increase from baseline to highest value during treatment (62 [107] vs 66 [108] micromol/L; p=0.82), or in the numbers of patients whose serum creatinine concentration exceeded 300 micromol/L (56 vs 56; p=0.92) or who required renal replacement therapy (35 vs 40; p=0.55). Durations of ICU stay (13 [14] vs 14 [15] days; p=0.67) and of hospital stay (29 [27] vs 33 [39] days; p=0.29) were also similar. There were 69 deaths in the dopamine group and 66 in the placebo group. INTERPRETATION: Administration of low-dose dopamine by continuous intravenous infusion to critically ill patients at risk of renal failure does not confer clinically significant protection from renal dysfunction. This is a multicentre, randomised, double-blind, placebo-controlled study of low-dose dopamine performed on a large sample of adult patients (n=328) with systemic inflammatory response syndrome and early renal dysfunction. No difference was found between the dopamine and placebo groups with regard to all the parameters studied. Durations of ICU and hospital stay were also similar. The Authors conclude that lowdose dopamine does not confer any significant protection from renal dysfunction in critically ill patients at risk of renal failure. 2. Intensive Care Med 2001;27(1):206-10. Low-dose dopamine in neonatal and pediatric intensive care: a systematic review. Prins I, Plotz FB, Uiterwaal CS, van Vught HJ. OBJECTIVES: To assess the current use of low-dose dopamine (< 5 microg/kg per minute) to improve renal function and urine volume (UV) in neonatal (NICU) and pediatric (PICU) intensive care units, and to assess the available evidence to support this practice. DESIGN: A written survey was used to assess the current use of low-dose dopamine among all 19 NICUs and PICUs in the Netherlands. In addition, a review of the literature of clinical intervention studies in which low-dose dopamine was administered to improve renal function and UV was performed. METHODS: The clinical intervention studies focused on preterm Addio alla dopamina a dosaggio renale? care units, and to assess the available evidence to support this practice. DESIGN: A written survey was used to assess the current use of low-dose dopamine among all 19 NICUs and PICUs in the Netherlands. In addition, a review of the literature of clinical intervention studies in which low-dose dopamine was administered to improve renal function and UV was performed. METHODS: The clinical intervention studies focused on preterm neonates, critically ill infants and children, and those who underwent cardiac surgery. Either creatinine clearance or glomerular filtration rate and increase in UV were used to measure renal function improvement. RESULTS: Our survey showed that among the 19 NICUs and PICUs, dopamine is regularly used either to improve renal function (n = 7) or to enhance UV (n = 13). The literature review identified seven clinical studies. Of these only one was a randomized controlled trial in preterm neonates, and this showed no positive correlation between renal function and UV. The other studies were uncontrolled experiments in preterm infants that claimed positive effects on UV (n = 5) and creatinine clearance (n = 2). CONCLUSIONS: The widespread use today of low-dose dopamine in Dutch NICUs and PICUs is not supported in the literature. Evidence from well performed clinical studies to support the use of low-dose dopamine for improving renal function and UV in critically ill neonates and children is largely insufficient. In view of adverse effects, the use of low-dose dopamine in neonatal and pediatric intensive care patients should be reconsidered. Questa revisione sistematica analizza l’uso della dopamina a basso dosaggio nelle unità di terapia intensiva neonatale e pediatrica dei Paesi Bassi. I risultati dello studio mostrano che, attualmente, l’evidenza a supporto dell’uso della dopamina a basso dosaggio per migliorare la funzione renale e la diuresi in neonati e bambini critici è insufficiente. Gli Autori concludono che l’uso della dopamina a basso dosaggio in questa popolazione di pazienti dovrebbe essere riconsiderato. 3. Crit Care Med 2001; 29 (8): 1526-31. Use of dopamine in acute renal failure: a meta-analysis. Kellum JA, M Decker J. OBJECTIVE: To determine whether low-dose dopamine administration reduces the incidence neonates, critically ill infants and children, and those who underwent cardiac surgery. Either creatinine clearance or glomerular filtration rate and increase in UV were used to measure renal function improvement. RESULTS: Our survey showed that among the 19 NICUs and PICUs, dopamine is regularly used either to improve renal function (n = 7) or to enhance UV (n = 13). The literature review identified seven clinical studies. Of these only one was a randomized controlled trial in preterm neonates, and this showed no positive correlation between renal function and UV. The other studies were uncontrolled experiments in preterm infants that claimed positive effects on UV (n = 5) and creatinine clearance (n = 2). CONCLUSIONS: The widespread use today of low-dose dopamine in Dutch NICUs and PICUs is not supported in the literature. Evidence from well performed clinical studies to support the use of low-dose dopamine for improving renal function and UV in critically ill neonates and children is largely insufficient. In view of adverse effects, the use of low-dose dopamine in neonatal and pediatric intensive care patients should be reconsidered. This systematic review addresses the use of low-dose dopamine in Dutch neonatal and pediatric intensive care units. The results from the study show that, to date, the evidence supporting the use of low-dose dopamine for improving renal function and urine output in critically ill neonates and children is insufficient. The Authors conclude that the use of low-dose dopamine in neonatal and pediatric intensive care patients should be reconsidered. 3. Crit Care Med 2001; 29 (8): 1526-31. Use of dopamine in acute renal failure: a meta-analysis. Kellum JA, M Decker J. OBJECTIVE: To determine whether low-dose dopamine administration reduces the incidence or severity of acute renal failure, need for dialysis, or mortality in patients with critical illness. DATA SOURCES AND STUDY SELECTION: We performed a MEDLINE search of literature published from 1966 to 2000 for studies addressing the use of dopamine in the prevention and/or treatment of renal dysfunction. DATA EXTRACTION: Data were abstracted regarding 99 M. Luchetti, M. Bertolini, G. Marraro or severity of acute renal failure, need for dialysis, or mortality in patients with critical illness. DATA SOURCES AND STUDY SELECTION: We performed a MEDLINE search of literature published from 1966 to 2000 for studies addressing the use of dopamine in the prevention and/or treatment of renal dysfunction. DATA EXTRACTION: Data were abstracted regarding design characteristics, population, intervention, and outcomes. Results of individual randomized clinical trials were pooled using a fixed effects model and a Mantel-Haenszel weighted chisquare analysis. DATA SYNTHESIS: We identified a total of 58 studies (n = 2149). Of these, outcome data were reported in 24 studies (n = 1019) and 17 of these were randomized clinical trials (n = 854). Dopamine did not prevent mortality, (relative risk, 0.90 [0.44-1.83]; p =.92), onset of acute renal failure (relative risk, 0.81 [0.55-1.19]; p =.34), or need for dialysis, (relative risk, 0.83 [0.55-1.24]; p =.42). There was sufficient statistical power to exclude any large (>50%) effect of dopamine on the risk of acute renal failure or need for dialysis. CONCLUSIONS: The use of low-dose dopamine for the treatment or prevention of acute renal failure cannot be justified on the basis of available evidence and should be eliminated from routine clinical use. Questa meta-analisi rivisita la letteratura pubblicata nelle ultime decadi, alla ricerca di studi che valutino l’uso della dopamina nella prevenzione e/o trattamento della disfunzione renale. I risultati ottenuti dimostrano che la dopamina non previene la mortalità, né l’insorgenza di insufficienza renale acuta, né la necessità di trattamento dialitico. Gli Autori concludono che lo stato attuale delle conoscenze non giustifica l’uso della dopamina a basso dosaggio per il trattamento o la prevenzione dell’insufficienza renale acuta. 4. J Nephrol 2001; 14 (5): 397-402. Low dose dopamine infusion reduces renal tubular injury following cardiopulmonary bypass surgery. Sumeray M, Robertson C, Lapsley M, Bomanji J, Norman AG, Woolfson RG. BACKGROUND: The use of dopamine to protect the kidneys against hypoperfusion injury 100 design characteristics, population, intervention, and outcomes. Results of individual randomized clinical trials were pooled using a fixed effects model and a Mantel-Haenszel weighted chisquare analysis. DATA SYNTHESIS: We identified a total of 58 studies (n = 2149). Of these, outcome data were reported in 24 studies (n = 1019) and 17 of these were randomized clinical trials (n = 854). Dopamine did not prevent mortality, (relative risk, 0.90 [0.44-1.83]; p =.92), onset of acute renal failure (relative risk, 0.81 [0.55-1.19]; p =.34), or need for dialysis, (relative risk, 0.83 [0.55-1.24]; p =.42). There was sufficient statistical power to exclude any large (>50%) effect of dopamine on the risk of acute renal failure or need for dialysis. CONCLUSIONS: The use of low-dose dopamine for the treatment or prevention of acute renal failure cannot be justified on the basis of available evidence and should be eliminated from routine clinical use. This meta-analysis reviews the literature published in the last decades for studies addressing the use of dopamine in the prevention and/or treatment of renal dysfunction. The results obtained showed that dopamine did not prevent mortality, onset of acute renal failure, or need for dialysis. The Authors conclude that the available evidence does not justify the use of low-dose dopamine for the treatment or prevention of acute renal failure. 4. J Nephrol 2001; 14 (5): 397-402. Low dose dopamine infusion reduces renal tubular injury following cardiopulmonary bypass surgery. Sumeray M, Robertson C, Lapsley M, Bomanji J, Norman AG, Woolfson RG. BACKGROUND: The use of dopamine to protect the kidneys against hypoperfusion injury remains controversial with little clinical evidence of benefit and increasing concerns regarding safety. In this double-blind, prospective, randomised study, we investigated the effect of dopamine infusion (2.5 microg/kg/min) on glomerular filtration rate (GFR) and tubular injury in patients undergoing routine cardiopulmonary bypass (CPB). METHODS: Forty eight patients were randomly assigned to receive intravenous dopamine or saline from induction of anaesthe- Addio alla dopamina a dosaggio renale? remains controversial with little clinical evidence of benefit and increasing concerns regarding safety. In this double-blind, prospective, randomised study, we investigated the effect of dopamine infusion (2.5 microg/kg/min) on glomerular filtration rate (GFR) and tubular injury in patients undergoing routine cardiopulmonary bypass (CPB). METHODS: Forty eight patients were randomly assigned to receive intravenous dopamine or saline from induction of anaesthesia until 48 hours post-operatively. There were no differences in mean age, bypass time or pre-op creatinine in the 36 patients (33 men) who completed the study. 51Cr-EDTA GFR (ml/min/1.73 m2) was measured pre-operatively and on day 5 only. Urinary markers of tubular injury (albumin, N-acetyl glucosaminidase, NAG; retinol binding protein, RBP) were measured pre-operatively, and on days 1, 2 and 5. RESULTS: GFR was preserved equally in both groups. All patients demonstrated significant tubular injury but urinary levels of NAG and RBP were lower in the dopamine group (41%, p=0.057 and 41%, p=0.007, respectively) on the first post-operative day. CONCLUSION: We conclude that low dose dopamine infusion may reduce renal tubular injury following CPB in patients with normal or near normal baseline renal function. Questo è uno studio prospettico, randomizzato, in doppio cieco, controllato, che analizza l’effetto della dopamina sulla filtrazione glomerulare e sul danno tubulare in 48 pazienti sottoposti a by-pass cardiopolmonare d’elezione (CPB). Gli Autori concludono che la dopamina non influenza negativamente la funzione renale nel gruppo di pazienti a basso rischio analizzato. I risultati suggeriscono che la dopamina è in grado di ridurre la disfunzione tubulare e il danno indotto dal CPB. Quale che sia il meccanismo di questo danno tubulare, l’inibizione del consumo di ATP a livello dell’epitelio tubulare prossimale indotta dalla dopamina sembra offrire una certa protezione. Sebbene questa protezione possa non essere clinicamente rilevante in questo gruppo a basso rischio, secondo gli Autori, essa potrebbe essere di maggior valore in pazienti ad alto rischio sottoposti a chirurgia cardiovascolare maggiore. sia until 48 hours post-operatively. There were no differences in mean age, bypass time or pre-op creatinine in the 36 patients (33 men) who completed the study. 51Cr-EDTA GFR (ml/min/1.73 m2) was measured pre-operatively and on day 5 only. Urinary markers of tubular injury (albumin, N-acetyl glucosaminidase, NAG; retinol binding protein, RBP) were measured pre-operatively, and on days 1, 2 and 5. RESULTS: GFR was preserved equally in both groups. All patients demonstrated significant tubular injury but urinary levels of NAG and RBP were lower in the dopamine group (41%, p=0.057 and 41%, p=0.007, respectively) on the first post-operative day. CONCLUSION: We conclude that low dose dopamine infusion may reduce renal tubular injury following CPB in patients with normal or near normal baseline renal function. This is a prospective, randomized, doubleblind, controlled study addressing the effect of dopamine infusion on glomerular filtration rate and tubular injury in 48 patients undergoing routine cardiopulmonary bypass. The Authors conclude that dopamine does not deleteriously affect renal function in this low-risk group of patients. The data obtained suggests that dopamine can directly reduce tubular dysfunction and injury induced by CPB. Whatever the mechanism of this tubular insult, the inhibition of proximal tubular epi-thelial ATP consumption by dopamine seems to offer some protection. Although not clinically important in this low risk group, this protection may be of greater value in higher risk patients who undergo major cardiovascular surgery. 5. Surg Endosc 2002; 16 (9): 1297-301. Role of dopamine in renal dysfunction during laparoscopic surgery. Perez J, Taura P, Rueda J, Balust J, Anglada T, Beltran J, Lacy AM, Garcia-Valdecasas JC. BACKGROUND: Sympathetic vascular insult and hemodynamic changes represent the most reliable explanation of renal impairment resulting from acute intraabdominal pressure. We evaluated the effects of low-dose dopamine administration during a long-lasting surgical laparoscopic procedure. METHODS: For this study 40, patients submitted to a colorectal laparoscopic procedure with 15 mmHg of intraabdominal pressure were randomly allocated to two groups: 20 receiving 101 M. Luchetti, M. Bertolini, G. Marraro 5. Surg Endosc 2002; 16 (9): 1297-301. Role of dopamine in renal dysfunction during laparoscopic surgery. Perez J, Taura P, Rueda J, Balust J, Anglada T, Beltran J, Lacy AM, Garcia-Valdecasas JC. BACKGROUND: Sympathetic vascular insult and hemodynamic changes represent the most reliable explanation of renal impairment resulting from acute intraabdominal pressure. We evaluated the effects of low-dose dopamine administration during a long-lasting surgical laparoscopic procedure. METHODS: For this study 40, patients submitted to a colorectal laparoscopic procedure with 15 mmHg of intraabdominal pressure were randomly allocated to two groups: 20 receiving 2 mg/kg/min of dopamine and 20 receiving the same perfusion of saline. Hemodynamic parameters, renal function, urinary output, and creatinine clearance, were studied. RESULTS: The hemodynamic parameters were similar in both groups. The urinary output decreased during the intraoperative period only in the saline group (p = 0.4). Then 2 h postoperatively, it increased in both groups, and no statistically significant differences were found between the groups. The creatinine clearance decreased in both groups during the intraoperative time, but it was worse in the saline group (-28 +/- 120 vs -194 +/- 106; p = 0.022). During the postoperative period, both groups showed improvement, but in control group the values remained lower than at baseline (p = 0.04), and significantly lower than in the dopamine group (230 +/- 337 vs 100 +/- 192; p = 0.012). CONCLUSIONS: An intrabdominal pressure of 15 mmHg induces a time-limited renal dysfunction, and low doses of dopamine could prevent this undesirable effect. Questo è uno studio randomizzato, controllato che valuta l’effetto della dopamina a basso dosaggio in 40 pazienti sottoposti a procedure laparoscopiche colorettali. Sulla base dei risultati ottenuti, gli Autori concludono che una pressione intra-addominale di 15 mmHg provoca una disfunzione renale limitata nel tempo e che la dopamina a basso dosaggio sembra prevenire questo effetto indesiderato. 102 2 mg/kg/min of dopamine and 20 receiving the same perfusion of saline. Hemodynamic parameters, renal function, urinary output, and creatinine clearance, were studied. RESULTS: The hemodynamic parameters were similar in both groups. The urinary output decreased during the intraoperative period only in the saline group (p = 0.4). Then 2 h postoperatively, it increased in both groups, and no statistically significant differences were found between the groups. The creatinine clearance decreased in both groups during the intraoperative time, but it was worse in the saline group (–28 ± 120 vs –194 ± 106; p = 0.022). During the postoperative period, both groups showed improvement, but in control group the values remained lower than at baseline (p = 0.04), and significantly lower than in the dopamine group (230 ± 337 vs 100 ± 192; p = 0.012). CONCLUSIONS: An intrabdominal pressure of 15 mmHg induces a time-limited renal dysfunction, and low doses of dopamine could prevent this undesirable effect. This is a randomized, controlled study evaluating the effect of low-dose dopamine in 40 patients submitted to a colorectal laparoscopic procedure. Based on the results obtained, the Authors conclude that an intrabdominal pressure of 15 mmHg induces a time-limited renal dysfunction, and that low dose dopamine seem to prevent this undesirable effect. 6. J Surg Res 2003; 112 (1): 43-8. Use of creatinine clearances to monitor the effect of low-dose dopamine in critically ill surgical patients. Eachempati SR, Reed RL 2nd. INTRODUCTION: Despite uncertain evidence of its efficacy, “low-dose dopamine” (2-5 microg/ kg/min) has often been used to augment renal perfusion in critically ill surgical patients. The 2-h creatinine clearance (CC) has been shown to be a monitor of renal function in critically ill patients. We therefore studied the use of sequential CC determinations to monitor the effect of low-dose dopamine (LDD) in surgical intensive care unit (SICU) patients. We hypothesized that sequential CC measurements could demonstrate whether individual patients had positive responses in renal function to LDD. METHODS: Data were prospectively collected for patients on LDD in a Addio alla dopamina a dosaggio renale? 6. J Surg Res 2003; 112 (1): 43-8. Use of creatinine clearances to monitor the effect of low-dose dopamine in critically ill surgical patients. Eachempati SR, Reed RL 2nd. INTRODUCTION: Despite uncertain evidence of its efficacy, “low-dose dopamine” (2-5 microg/ kg/min) has often been used to augment renal perfusion in critically ill surgical patients. The 2-h creatinine clearance (CC) has been shown to be a monitor of renal function in critically ill patients. We therefore studied the use of sequential CC determinations to monitor the effect of low-dose dopamine (LDD) in surgical intensive care unit (SICU) patients. We hypothesized that sequential CC measurements could demonstrate whether individual patients had positive responses in renal function to LDD. METHODS: Data were prospectively collected for patients on LDD in a university SICU. CC were recorded for these patients immediately before and after the institution of LDD or before and after the cessation of LDD. APACHE II scores, gender, urine creatinine, age, blood pressure, heart rate, and urine output (UO) were also recorded for these patients; P < 0.05. RESULTS: Twenty-four pairs of CC values were observed during the study. The mean APACHE II score for the patients was 15.1. In 10 cases after initiation of LDD, the mean CC increased from 52.5 ± 23.7 ml/min to 68.1 ± 33.8 ml/min (P = 0.056). UO also increased from 48.0 ± 27 to 75.9 ± 49 ml/h (NS). In 14 cases after discontinuation of LDD, CC decreased from 85.6 ± 36.3 ml/min to 63.6 ± 45.5 ml/min (P = 0.044) and UO decreased from 105.1 ± 73.9 to 89.6 ± 76.7 ml/h (NS). Overall, 13 of the 24 patients had a 25% change or more in CC upon initiation or cessation of LDD. CONCLUSIONS: LDD institution increased CC in individual patients in the SICU population. Because using LDD in the absence of a discernable improvement in renal function is costly and may harbor risks, we recommend following CC in patients on LDD to determine which patients derive benefit from the intervention. Questo studio analizza l’uso di determinazioni sequenziali della clearance della creatinina (CC) per monitorare l’effetto della dopamina a basso dosaggio in 24 pazienti critici di tipo chirurgico. I risultati ottenuti mostrano che 13 dei 24 pazienti hanno presentato un cambiamento del 25% o più della CC all’inizio o alla sospensione della dopa- university SICU. CC were recorded for these patients immediately before and after the institution of LDD or before and after the cessation of LDD. APACHE II scores, gender, urine creatinine, age, blood pressure, heart rate, and urine output (UO) were also recorded for these patients; P < 0.05. RESULTS: Twenty-four pairs of CC values were observed during the study. The mean APACHE II score for the patients was 15.1. In 10 cases after initiation of LDD, the mean CC increased from 52.5 ± 23.7 ml/min to 68.1 ± 33.8 ml/min (P = 0.056). UO also increased from 48.0 ± 27 to 75.9 ± 49 ml/h (NS). In 14 cases after discontinuation of LDD, CC decreased from 85.6 +/- 36.3 ml/min to 63.6 ± 45.5 ml/min (P = 0.044) and UO decreased from 105.1 ± 73.9 to 89.6 ± 76.7 ml/h (NS). Overall, 13 of the 24 patients had a 25% change or more in CC upon initiation or cessation of LDD. CONCLUSIONS: LDD institution increased CC in individual patients in the SICU population. Because using LDD in the absence of a discernable improvement in renal function is costly and may harbor risks, we recommend following CC in patients on LDD to determine which patients derive benefit from the intervention. This study investigates the use of sequential creatinine clearance determinations to monitor the effect of low-dose dopamine in 24 surgical intensive care unit patients. The results obtained showed that 13 of the 24 patients had a 25% change or more in creatinine clearance upon initiation or cessation of low dose dopamine. The Authors conclude that low dose dopamine increased creatinine clearance in their group of SICU patients, and recommend following creatinine clearance in patients on low dose dopamine to determine which patients benefit from the intervention. Discussion Based on the meta-analysis and systematic review studies reported above, one should believe with sufficient confidence that there is no justification for the continued use of low-dose dopamine. Nevertheless, many physicians still use low-dose dopamine, convinced as they are that it exerts reno-protective effects, 103 M. Luchetti, M. Bertolini, G. Marraro mina a basso dosaggio. Gli Autori concludono che la dopamina a basso dosaggio aumenta la CC nel gruppo di pazienti studiati e raccomandano di seguire la CC nei pazienti con infusione di dopamina a dosaggio renale allo scopo di determinare quali pazienti effettivamente beneficiano del trattamento. Discussione Sulla base degli studi di meta-analisi e di revisione sistematica riportati sopra bisognerebbe credere con sufficiente convinzione che non esiste alcuna giustificazione per continuare ad usare la dopamina a basso dosaggio. Nonostante ciò, molti medici ancora usano la dopamina a dosaggio renale, convinti come sono che essa eserciti effetti reno-protettivi e che sia estremamente sicura. In effetti, fin di recente, la dopamina a basso dosaggio era considerata essere relativamente priva di effetti collaterali. Questo non è assolutamente vero. Tachicardia, aritmie cardiache, e ischemia e infarto miocardico sono complicanze ben conosciute. Inoltre, adesso è chiaro che essa, oltre a non raggiungere lo scopo di proteggere l’organo, può anzi essere deleteria perché può indurre insufficienza renale in pazienti normo- e ipovolemici. Per di più, la dopamina può causare ulteriore danno alterando il flusso ematico a livello della mucosa gastrica e aggravando la già ridotta motilità gastrica. La dopamina inibisce anche la secrezione e la funzione degli ormoni dell’ipofisi anteriore, aggravando in tal modo il catabolismo e la disfunzione immunitaria e inducendo ipotiroidismo centrale. Infine, la dopamina inibisce lo stimolo ventilatorio, aumentando il rischio di insufficienza respiratoria in pazienti che sono in corso di svezzamento dalla ventilazione meccanica. Ma allora perché gli intensivisti ancora 104 while being extremely safe. As a matter of fact, until recently, low-dose dopamine was considered to be relatively free of side effects. This is definitely not true. Tachycardia, cardiac arrhytmias, and myocardial ischemia and infarction are well-recognized complications. In addition, it is now clear that it, besides not achieving the preset goal of organ protection, may also be deleterious because it can induce renal failure in normoand hypovolemic patients. Furthermore, dopamine may cause harm by impairing mucosal blood flow and by aggravating reduced gastric motility. Dopamine also suppresses the secretion and function of anterior pituitary hormones, thereby aggravating catabolism and cellular immune dysfunction and inducing central hypothyroidism. Finally, dopamine blunts the ventilatory drive, increasing the risk of respiratory failure in patients who are being weaned from mechanical ventilation. So, why are intensivists still using low-dose dopamine? Just another medical myth difficult to eradicate? Or are we missing anything? It is amazing that, despite all the negative evidence collected, new studies are still being performed and published on the topic. And even more surprising that many of these studies report good results of low-dose dopamine. Are all of these studies methodologically flawed? It must be underlined that several issues can confound the interpretation of studies evaluating the renal effects of dopamine. Dopamine has inotropic effects which may be difficult to separate from its renal effects. The effects of dopamine may be influenced by the concomitant use of other vasopressor or Addio alla dopamina a dosaggio renale? usano la dopamina a basso dosaggio? Solo un altro mito della medicina difficile da eradicare? O c’è qualcosa che ci sfugge? È sorprendente che, nonostante tutta l’evidenza negativa raccolta, nuovi studi vengano ancora effettuati e pubblicati sull’argomento. Ed è persino più sorprendente che molti di questi studi riportino buoni risultati per la dopamina a dosaggio renale. È possibile che tutti questi studi siano inadeguati metodologicamente? Bisogna dire che diversi fattori possono confondere l’interpretazione degli studi che valutano gli effetti renali della dopamina. Essa presenta effetti inotropi che possono essere difficili da separare dai suoi effetti renali. Gli effetti della dopamina, inoltre, possono essere influenzati dall’uso concomitante di altri farmaci vasopressori o inotropi. Per di più, l’uso di alcuni farmaci, quali aloperidolo o metoclopramide, che agiscono come antagonisti della dopamina, può annullare gli effetti renali della dopamina a basso dosaggio. Nonostante ciò, l’evidenza scientifica attuale suggerisce che la dopamina a basso dosaggio non ha alcun effetto protettivo sulla funzione renale, né alcun beneficio in pazienti con insufficienza renale acuta. Considerato che la dopamina può causare diversi effetti collaterali pericolosi, il suo uso per la protezione renale dovrebbe essere scoraggiato. Detto questo, tuttavia, è ancora possibile che ci sia qualcosa che ci sfugge; in particolare non possiamo escludere che la dopamina a basso dosaggio abbia un certo effetto reno-protettivo in ambiti specifici o determinati pazienti. In conclusione, si può solo incoraggiare gli investigatori ad effettuare studi randomizzati controllati ben disegnati e ben condotti che possano dare infine una risposta chiara e definitiva. inotropic drugs. In addition, the use of some drugs, such as haloperidol or metoclopramide, acting as dopamine antagonists, may abolish the renal effects of low-dose dopamine. Nevertheless, current scientific evidence suggests that low-dose dopamine has no protective effect on renal function nor benefits in patients with acute renal dysfunction. Considering that dopamine may cause several harmful side-effects, its use for renal protection should be discouraged. That said, it is still possible that we are missing something, in particular we cannot exclude that low-dose dopamine has some reno-protective effect in specific settings or patients. We can only encourage investigators to perform welldesigned and well-conducted randomized controlled trials that may give a clear and definitive answer at last. 105 S.I.A.R.E.D. SOCIETÀ ITALIANA DI ANESTESIA RIANIMAZIONE EMERGENZA E DOLORE 2° Congresso Nazionale Centro Congressi Veronafiere Verona, 23 - 24 - 25 settembre 2004 PROGRAMMA PRELIMINARE 1ª GIORNATA GIOVEDI 23 SETTEMBRE 2004 Ore 11:00 Apertura della Segreteria per accreditamento partecipanti 14:45 - 19:00 I Sessione Accanimento terapeutico ed eutanasia: dilemmi in rianimazione – Problematiche etiche – Problematiche legali – Problematiche legate agli avanzamenti culturali e scientifici 4 Sessioni parallele per 150 partecipanti ciascuna 15:00 - 19:00 Simposio satellite Le tecniche di comunicazione per 150 partecipanti Iscrizioni a numero chiuso. Crediti ECM richiesti per l’evento. 19:30 - Cerimonia inaugurale e Conferenza Stampa 20:30 - Cena di benvenuto e spettacolo 2ª GIORNATA VENERDÌ 24 SETTEMBRE 2004 08:45 - 13:00 II Sessione Le implicazioni emodinamiche e ventilatorie in anestesia e rianimazione – La protezione del polmone durante ventilazione artificiale – La ventilazione durante anestesia – Le implicazioni emodinamiche durante la ventilazione artificiale 4 Sessioni parallele per 150 partecipanti ciascuna 10:30 - 13:00 Simposio satellite Il surfattante nella pratica clinica per 150 partecipanti Iscrizioni a numero chiuso. Crediti ECM richiesti per l’evento. 13:00 - 13:30 Visita agli spazi espositivi 13:30 - 14:30 Colazione di lavoro 106 2º Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D. VENERDÌ 24 SETTEMBRE 2004 14:45 - 19:00 III Sessione L’approccio multispecialistico nella diagnosi e nel trattamento del malato critico – Gli esami radiologici – Le indagini di laboratorio – La consulenza neurochirurgica 4 Sessioni parallele per 150 partecipanti ciascuna 15:00 - 19:00 Simposio satellite Come preparare un lavoro scientifico per 150 partecipanti Iscrizioni a numero chiuso. Crediti ECM richiesti per l’evento. 19:30 Memorial Maurizio e Stefano Gentili – Lettura – Premiazione del lavoro scientifico prescelto 20:30 Cena sociale e spettacolo 3ª GIORNATA SABATO 25 SETTEMBRE 2004 08:45 - 13:00 IV Sessione Anestesia e Rianimazione: emergenze possibili - Le emergenze in Sala Operatoria - Le emergenze in Terapia Intensiva - Le emergenze in Pronto Soccorso 4 Sessioni parallele per 150 partecipanti ciascuna 09:00 - 13:00 Comunicazioni libere / Poster 13:15 Chiusura del Congresso. E inoltre sono previsti Simposi Satellite su: Il trattamento delle sepsi gravi in terapia intensiva, Ulteriori progressi in anestesia gassosa, Trattamento del dolore nelle emergenze, Vie aeree difficili nell’adulto e in età pediatrica, Il trattamento intensivo del neonato e del lattante critici, Il bilancio idro-elettrolitico nel trattamento del postoperato. Le comunicazioni scientifiche saranno presentate in forma di Comunicazione Orale oppure Poster a discrezione della Commissione Scientifica. Deadline per invio abstract per Comunicazioni libere e Poster: 30 giugno 2004. 107 2º Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D. INFORMAZIONI GENERALI La scelta degli eventi ECM ai quali partecipare deve essere effettuata al momento dell’iscrizione al Congresso e fino ad esaurimento dei posti disponibili. Gli iscritti AAROI per accedere agli eventi congressuali devono possedere la Card AAROI. Quote di iscrizione al Congresso Entro il 31 luglio 2004 – Soci AAROI, Specializzandi ed Accompagnatori: 200,00 euro – Soci SIARED: 400,00 euro – Non Soci: 450,00 euro Dopo il 31 luglio 2004 – Soci AAROI, Specializzandi ed Accompagnatori: 250,00 euro – Soci SIARED: 450,00 euro – Non Soci: 500,00 euro L’iscrizione al Congresso dà diritto a: – Kit congressuale – Partecipazione ai lavori scientifici – Partecipazione agli eventi ECM e rilascio dei crediti formativi – Volume degli Atti – Attestato di partecipazione – Coffee breaks – Cena di benvenuto e spettacolo di giovedì 23 settembre – Colazione di lavoro di venerdì 24 settembre – Cena sociale e spettacolo di venerdì 24 settembre – Parcheggio gratuito dell’auto nel piazzale antistante il Centro Congressi In caso di rinuncia entro il 31 luglio sarà rimborsato il 50% della quota di iscrizione. Dopo tale data non si effettuerà alcun rimborso. Prenotazione alberghiera A carico dei partecipanti e può essere effettuata tramite la: Cooperativa Albergatori Veronesi - Ufficio prenotazioni alberghiere Via Patuzzi, 5 - 37121 Verona - Tel. 045 8009844 - Fax 045 8009372 E-mail: [email protected] - Web: www.cav.vr.it Sede del Congresso Centro Congressi - Ente Fiera Verona - Viale del Lavoro, 8 - 37100 Verona Tel. 045 8298111 - Fax 045 8298288 - Email: [email protected], web www.veronafiere.it L’Ente Fiera si trova a pochi minuti dalla Stazione FFSS e dal casello “Verona Sud” dell’Autostrada Milano-Venezia; il centro della città dista circa 3 Km. 108 2º Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D. Come raggiungere Verona In auto: Autostrada A4 Milano-Venezia, uscita “Verona Sud”: proseguire seguendo le indicazioni “Fiera”. Autostrada A22 Modena-Brennero, uscita “Verona Nord” (oppure immettersi sull’A4 – direzione Venezia – ed uscire a “Verona Sud”). Nel piazzale antistante il Centro Congressi Veronafiere c’è un ampio parcheggio. In treno: Linee ferroviarie Brennero-Roma e Torino-Trieste (per informazioni su orari e coincidenze: Tel.147-888088 (www.trenitalia.it). Dalla Stazione ferroviaria si può facilmente raggiungere la sede congressuale usufruendo del servizio taxi (Posteggio Stazione 045 8004528 - Radiotaxi 045 532666) o dei bus urbani (biglietti c/o tabaccherie o edicole) delle linee 21 e 61. In aereo: L’Aeroporto Valerio Catullo di Villafranca dista circa 9 Km dalla Fiera (per informazioni su voli e orari: Tel. 045 8095666 - (www.aeroportoverona.it). L’Aeroporto è collegato con la Stazione FFSS di Verona con un bus-navetta (partenza ogni 20 min. dalle ore 6.10 alle 23.00; per informazioni: Tel. 045 8057911). Il centro storico di Verona è chiuso al traffico tranne che per i veicoli autorizzati e le auto dirette agli Hotel. Altre informazioni: UPT di Verona www.tourism.verona.it, Comune di Verona www.comune.verona.it Segreteria organizzativa S.I.A.R.E.D. Via XX Settembre, 98/E - 00187 Roma - Tel. 06 47825272 - Fax 06 47882016 E-Mail: [email protected] - Web: www.siared.it 109 Corso Itinerante ECM 2004 AAROI / SIARED Modulo 1 Attualità e controversie in anestesia generale gassosa ed anestesia totalmente endovenosa. EZIO VINCENTI - EUGENIO SERRA - GRAZIA VERDE - IVO TIBERIO LORELLA ALTAFINI - ILARIA BLANGETTI Modulo 2 Ventilazione artificiale invasiva e non invasiva. GIUSEPPE A. MARRARO - VITTORIO ANTONAGLIA - GAETANO PERCHIAZZI DONATA RIPAMONTI - RAFFAELE TESTA - ALBERTO PERATONER Modulo 3 Nutrizione in rianimazione: enterale e parenterale a confronto. FULVIO ALBERTARIO - BRUNO CARRARA - RIPALTA DI TERLIZI FRANCESCA FIANELLI - BRUNO CARENZI - MARCELLO RICCIUTI TERESA BALSIMELLI Modulo 4 Trattamento globale del traumatizzato vertebro midollare acuto. SERGIO AITO - ENEA COMINELLI - PAOLA CARIGNANO - MASSIMO MORESI PAOLO MAGENTA - CESARE GREGORETTI Modulo 5 Terapia iperbarica: evidenze e controversie. SANDRO MARRONI - LUCIANO DITRI - PAOLO CASTALDI - CESARE IESU PASQUALE LONGOBARDI - ADRIANO RINALDI Modulo 6 L’impiego del sangue e sostituti plasmatici. Il risparmio delle perdite ematiche. SERGIO PINTAUDI - ELENA GALASSINI - ADRIANA PAOLICCHI CRISTIANO MARTINI - GABRIELLA DENTI - GUIDO GRAZZINI 110 CALENDARIO 27 marzo 2004 BARI FIRENZE MILANO NAPOLI ORISTANO PADOVA modulo 1 modulo 2 modulo 5 modulo 4 modulo 3 modulo 6 17 aprile 2004 ALESSANDRIA BOLOGNA LAMETIA T. PALERMO ROMA S.B. del TRONTO modulo 1 modulo 2 modulo 3 modulo 4 modulo 5 modulo 6 modulo 2 modulo 3 modulo 4 modulo 5 modulo 6 modulo 1 22 maggio 2004 ALESSANDRIA BOLOGNA LAMETIA T. PALERMO ROMA 15 maggio S.B. del TRONTO modulo 2 modulo 3 modulo 4 modulo 5 modulo 6 modulo 1 modulo 3 modulo 4 modulo 1 modulo 6 modulo 5 modulo 2 26 giugno 2004 GENOVA BOLOGNA 12 giugno LAMETIA T. PALERMO ROMA S.B. del TRONTO modulo 3 modulo 4 modulo 5 modulo 6 modulo 1 modulo 2 modulo 4 modulo 5 modulo 6 modulo 1 modulo 2 modulo 3 9 ottobre 2004 ALESSANDRIA BOLOGNA LAMETIA T. PALERMO ROMA S.B. del TRONTO modulo 4 modulo 5 modulo 6 modulo 1 modulo 2 modulo 3 16 ottobre 2004 BARI FIRENZE MILANO NAPOLI ORISTANO VICENZA modulo 5 modulo 6 modulo 3 modulo 2 modulo 1 modulo 4 6 novembre 2004 GENOVA BOLOGNA LAMETIA T. PALERMO ROMA S.B. del TRONTO modulo 5 modulo 6 modulo 1 modulo 2 modulo 3 modulo 4 20 novembre 2004 BARI FIRENZE MILANO NAPOLI ORISTANO VICENZA modulo 6 modulo 1 modulo 2 modulo 3 modulo 4 modulo 5 11 dicembre 2004 ALESSANDRIA BOLOGNA LAMETIA T. PALERMO ROMA S.B. del TRONTO modulo 6 modulo 1 modulo 2 modulo 3 modulo 4 modulo 5 8 maggio 2004 BARI FIRENZE MILANO NAPOLI ORISTANO PADOVA 12 giugno 2004 BARI FIRENZE 26 giugno MILANO NAPOLI ORISTANO PADOVA 18 settembre 2004 BARI FIRENZE MILANO NAPOLI ORISTANO VICENZA 111