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fondata nel 1950
Organo Ufficiale della Società Italiana di Anestesia, Rianimazione, Emergenza e Dolore - SIARED
e
Giornale Scientifico dell’Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani – AAROI
DIRETTORE SCIENTIFICO
GIUSEPPE MARRARO
COMITATO DI REDAZIONE
G. VARRASSI - Abruzzo
M. RICCIUTI - Basilicata
F. AURICCHIO - Bolzano
A. MUSITANO - Calabria
M. INGROSSO - Campania
C. SIBILLA - Emilia Romagna
L. SILVESTRI - Friuli-Venezia Giulia
N. PIROZZI - Lazio
S. PALERMO - Liguria
A. PESENTI - Lombardia
R. PAGNI - Marche
R. FLOCCO - Molise
R. CAIONE - Puglia
G. M. PISANU - Sardegna
C. MARESCA - Sicilia
A. PAOLICCHI - Toscana
C. MERLI - Trento
A. MORONI - Umbria
G. GIRON - Veneto
SEGRETARIO DI REDAZIONE
MARCO LUCHETTI
DIRETTORE RESPONSABILE
GIAMPIERO GIRON
Vol. 55, 2004
EDITRICE “LA GARANGOLA” PADOVA
Fasc. 1
CONTENUTI / CONTENTS
EDITORIALE / EDITORIAL
G. Marraro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
L’ARGOMENTO DEL GIORNO / TOPIC OF THE DAY
Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore / Unconventional techniques and therapies for pain treatment
M. Luchetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
8
REVIEW SU INVITO / INVITED REVIEW
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del
nefrologo / A review of acute renal failure in intensive care unit the nephrologist’s
viewpoint
M. Beccari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
33
ARTICOLO ORIGINALE / ORIGINAL ARTICLE
Midazolam vs Propofol nella sedazione controllata dal paziente per settoplastica
ambulatoriale / Midazolam vs Propofol for patient-controlled sedation in ambulatory septoplasty
Varol Çeliker, Elif Basgül,
Sennur
Uzun and Ülkü Aypar . . . . . . . . . .
,
,
79
CASI CLINICI / CASE REPORTS
Movimenti di massa del tronco e degli arti inferiori in una malata con morte cerebrale: descrizione di un caso e revisione della letteratura / Massive jerkings of
the trunk and of the lower limbs in a brain dead patient: a case report and review
of the literature
G. Berlot, F. Monti, A. Tomassini, U. Lucangelo . . . . . . . . . . . . . .
90
ARGOMENTI ATTUALI / CURRENT TOPICS
Un addio alla Dopamina a dosaggio renale? / A farewell to renal-dose dopamine?
M. Luchetti, M. Bertolini, G. Marraro . . . . . . . . . . . . . . . . .
96
ANNUNCIO EVENTI / UPCOMING MEETINGS . . . . . . . . . . . . . . .
106
Associato all’USPI Unione Stampa Periodica Italiana
2004
ACTA ANAESTH. ITALICA
EDITORIALE / EDITORIAL
Il primo numero del 2004 della rivista riserva un ampio spazio alla review del
dr. Marcello Beccari, della S.C. di Nefrologia e Dialisi dell’Azienda Ospedaliera
Fatebenefratelli ed Oftalmico di Milano, sull’insufficienza renale acuta e i suoi possibili trattamenti nel malato ricoverato in terapia intensiva. L’argomento sembra di
grande interesse vista la frequenza dei malati che vanno incontro ad insufficienza
renale acuta in terapia intensiva ma che solo in piccola parte richiede, fortunatamente, un trattamento correttivo dialitico intensivo e di lunga durata. La lettura del
lavoro apre larghi spazi di future collaborazioni tra intensivisti e nefrologi non solo
nel trattamento della ARF ma anche in situazioni cliniche in cui non è chiaramente
compromessa la funzione renale quali, per esempio, il trattamento della ARDS, la
stabilizzazione e il mantenimento di adeguati volumi circolanti e la rimozione dei
modulatori dell’infiammazione nello stato settico.
La rubrica Current Topics è chiaramente legata alla problematicità della funzione renale e all’impiego controverso della dopamina per migliorare il flusso
renale. Dai dati a disposizione sembra oramai tramontata la sua era e nonostante
alcuni accaniti sostenitori, che basano il suo impiego essenzialmente su osservazioni
personali e spesso aneddotiche, le complicanze del suo impiego stanno venendo
chiaramente alla luce. L’argomento del giorno è riservato ad altre possibiltà di
trattamento del dolore senza l’impiego di farmaci o mediante l’uso di metodiche
tradizionali. L’argomento assume un maggior valore quando si desidera trattare il
malato affetto da sindrome dolorosa in tutta la sua complessità, proponendo un supporto quanto più ampio e coinvolgente possibile. Inizia con questo numero la presentazione dei lavori originali e dei casi clinici. Da questo numero in poi gli articoli
orginali avranno una parte importante nella rivista e sin da ora si ringraziano i
referees per la mole di lavoro a cui si dovranno sobbarcare. Con il prossimo numero
si spera di rientrare nella corretta cadenza trimestrale di pubblicazione. Se i lavori
verranno inviati alla nostra attenzione nella quantità con cui ci sono giunti sino ad
ora, sembra possibile il rapido passaggio alla pubblicazione di 6 numeri per anno.
Si resta in attesa di commenti, suggerimenti, osservazioni e quanto altro possa
essere utile alla crescita e al miglioramento della qualità della Nostra Rivista.
Il Direttore Scientifico
DR. GIUSEPPE MARRARO
1
L’ARGOMENTO DEL GIORNO / TOPIC OF THE DAY
Tecniche e terapie non convenzionali
per il trattamento del dolore
Unconventional techniques and therapies
for pain treatment
MARCO LUCHETTI
S.C. di Anestesia e Rianimazione Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli e Oftalmico, Milano
Introduzione
Introduction
a conoscenza su come e perché
noi sentiamo dolore e sul complesso gioco di neuroni e molecole
messaggere che porta alla sua percezione sta progredendo costantemente.
Allo stesso tempo però stiamo relativamente da poco tempo cominciando a
considerare il contributo delle emozioni,
degli affetti e delle funzioni cognitive,
e come la risposta umana ad emozioni
quali rabbia, frustrazione, depressione,
ansia, fatica e disperazione possa influenzare la percezione del dolore.
Il dolore cronico è emerso come un
fenomeno distinto dal dolore acuto.
Anche se i due tipi di dolore condividono il fenomeno della nocicezione, nel
caso del dolore cronico altri fattori sono
cientists are beginning to understand how and why we feel acute
pain, and the complex interplay
of neurones and messenger molecules
that leads to its perception. However,
researchers are only just starting to
explain the contribution of emotional
affect, cognitive function, and how the
human response to feelings such as
anger, frustration, depression, anxiety,
fatigue, and hopelessness can impact on
the perception of pain.
Chronic pain is emerging as a distinct
phenomenon from acute pain. Although
they may share the phenomenon of
nociception, other factors may be associated with chronic pain, such as abnormal nerve activity and alteration within
the central nervous system.
Given the myriad of influences on pain
perception, it becomes clear that applying a traditional biomedical model that
just looks for an organic cause of pain
may fail some sufferers as it does not
routinely take into account the multidimensional nature of pain.
L
Indirizzo per la richiesta di estratti
Address for reprints
MARCO LUCHETTI
S.C. Anestesia e Rianimazione
A.O. Fatebenefratelli e Oftalmico
Corso di Porta Nuova, 23
20121 Milano, Italia
E-Mail: [email protected]
8
S
ACTA ANAESTH. ITALICA
55, 8-32, 2004
Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore
in gioco, ad esempio una anormale attività nervosa o alterazioni a livello del
sistema nervoso centrale.
Data la miriade di influenze sulla percezione del dolore, appare chiaro che
l’applicazione di un modello biomedico
tradizionale, che cerchi solo una causa
organica del dolore, può fallire a volte
poiché non tiene conto della natura multidimensionale del dolore.
I punti chiave per migliorare il controllo del dolore sono gli stessi che valgono per ogni attività clinica: buona
comunicazione, valutazione approfondita e spiegazione esatta e completa
delle opzioni terapeutiche. Una comunicazione efficace tra dottore e paziente,
unita al contributo fornito da infermieri,
fisioterapisti ed altro personale sanitario,
può fornire un quadro più completo dell’esperienza del paziente ed è in grado
di ampliare le possibilità terapeutiche.
Il medico deve conoscere tutti i dettagli
sul dolore provato dal paziente, la sua
natura, l’evoluzione, i fattori scatenanti
e quelli che lo alleviano, poiché questi
possono suggerirne la causa e anche il
trattamento.
Qualunque sia il trattamento prescritto,
interrogando il paziente sull’effetto, il
medico potrà decidere se esso è appropriato e adeguato o se va modificato. La
scarsa comunicazione e la cattiva informazione possono sommarsi nel rinforzare idee sbagliate, quali ad es. quella
che gli analgesici oppioidi provocano
dipendenza e devono essere visti solo
come ultima risorsa per i malati terminali.
Non tutti i dolori cronici rispondono ai
farmaci analgesici attualmente disponibili e in tali casi trattamenti non farmacologici possono rappresentare l’approccio
The keys to improving pain control
are the same as for any clinical activity:
good communication, comprehensive
assessment of the patient, and giving
a proper and thorough explanation of
treatment options. Effective communication between doctor and patient and
recognition of the contribution made by
other relevant members of the healthcare
team, such as nurses, physiotherapists
and carers, can provide a more complete
picture of the patient’s experience and
widen treatment options.
Clinicians need to find out details of
the pain, its nature, evolution, precipitating and relieving features, as these may
provide clues to its cause and possible
treatment. Whatever drug is prescribed,
by asking the patient what the effect is,
the clinician will be able to decide if the
medication is appropriate, or if it should
be modified.
Poor communication and misinformation may combine to strengthen erroneous ideas, such as the concern that strong
analgesics are addictive and should be
viewed only as drugs of last resort for
people who are terminally ill.
Not all chronic pain will respond to
currently available analgesia, and nonpharmacological treatments may well
represent the most effective approach.
Non-pharmacological treatments are routinely incorporated into the care offered
by multidisciplinary pain management
teams. They include a wide range of
techniques, and some of them are part
of conventional medicine, while some
other are defined as unconventional or
alternative or complementary therapies
(acupuncture, hypnosis, herbal medicine, homoeopathy, reflexology, massage, osteopathy, chiropratic, shiatsu).
9
M. Luchetti
più efficace. Questi trattamenti sono solitamente inseriti nelle cure offerte dai
gruppi di trattamento multidisciplinare
del dolore. Essi includono una vasta
gamma di tecniche, alcune delle quali
fanno parte del bagaglio della medicina
convenzionale, altre ne stanno al di fuori
almeno per ora e fanno parte delle cosiddette terapie non convenzionali o alternative o complementari (agopuntura,
ipnosi, fitoterapia, omeopatia, riflessologia, massaggio, osteopatia, chiropratica,
shiatsu).
Le principali tecniche e terapie non
convenzionali
Agopuntura
L’agopuntura è una forma di terapia
medica basata sulla stimolazione di determinate aree della pelle, per mezzo dell’inserzione di sottili aghi metallici, allo
scopo di ristabilire l’equilibrio energetico.
Nella sua forma originale l’agopuntura era basata sui principi della medicina tradizionale cinese. In accordo con
questi, i meccanismi del corpo umano
sono controllati da una forza o energia
vitale chiamata “Qi”, che circola tra gli
organi lungo canali detti meridiani.
Esistono 12 meridiani, e questi corrispondono alle 12 maggiori funzioni o
“organi” del corpo. Sebbene essi abbiano
gli stessi nomi (come fegato, rene, cuore,
ecc), i concetti Cinese e Occidentale di
organo sono solo molto debolmente
correlati. L’energia del Qi deve fluire
nella corretta misura e qualità attraverso
ognuno di questi meridiani e organi
affinché sia mantenuta la salute. I punti
dell’agopuntura sono localizzati lungo
i meridiani e forniscono un mezzo per
modificare il flusso del Qi.
10
Main unconventional techniques
and therapies
Acupuncture
Acupuncture is a form of medical therapy based on stimulation of given skin
areas, by the insertion of fine metallic
needles, aiming at restoring energetic
balance.
In its original form acupuncture was
based on the principles of traditional
Chinese medicine. According to these,
the workings of the human body are
controlled by a vital force or energy
called “Qi”, which circulates between
the organs along channels called meridians.
There are 12 main meridians, and
these correspond to 12 major functions
or “organs” of the body. Although they
have the same names (such as liver,
kidney, heart, etc), Chinese and Western
concepts of the organs correlate only
very loosely. Qi energy must flow in
the correct strength and quality through
each of these meridians and organs for
health to be maintained. The acupuncture points are located along the meridians and provide one means of altering
the flow of Qi.
Although the details of practice may
differ between individual schools, all
traditional acupuncture theory is based
in the Daoist concept of yin and yang.
Illness is seen in terms of excesses
or deficiencies in various exogenous
and endogenous pathogenic factors, and
treatment is aimed at restoring balance.
Many of the conventional health professionals who practise acupuncture have
dispensed with such concepts. Acupuncture points are seen to correspond to
physiological and anatomical features
Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore
Sebbene i dettagli della pratica possono differire tra le scuole individuali,
tutta la teoria tradizionale dell’agopuntura è basata sul concetto Taoista di yin
e yang. La malattia è vista in termini di
eccesso o deficienza di vari fattori patogenici esogeni ed endogeni, e i trattamenti sono finalizzati al ripristino del
bilancio.
Molti dei professionisti che praticano
l’agopuntura secondo la visione occidentale hanno lasciato da parte l’uso di tali
concetti. I punti dell’agopuntura sono
visti come corrispondenti a caratteristiche fisiologiche e anatomiche, come
le giunzioni nervose periferiche, e la
diagnosi è fatta in termini puramente
convenzionali. Un’importante concetto
usato da tali agopunturisti è quello di
“punto trigger”. Questo è un’area di
crescente sensibilità all’interno di un
muscolo, che si dice causi un caratteristico pattern di dolore riflesso in un
rispettivo segmento del corpo.
Gli effetti dell’agopuntura, in particolare sul dolore, sono almeno parzialmente interpretabili secondo un modello
fisiologico convenzionale. È noto che
l’agopuntura stimola le fibre delta A che
penetrano nel corno dorsale del midollo
spinale. Queste mediano una inibizione
segmentale degli impulsi nocicettivi portati nelle più lente fibre C amieliniche,
e, attraverso connessioni nel mesencefalo, aumentano l’inibizione discendente
degli impulsi dolorosi delle fibre C agli
altri livelli del midollo spinale. Questo
aiuta a spiegare perché gli aghi inseriti in
una parte del corpo possono influire sulla
sensazioni di dolore in altre regioni.
Si sa anche che l’agopuntura stimola
il rilascio di oppioidi e altri neurotrasmettitori come la serotonina. Questo
such as peripheral nerve junctions, and
diagnosis is made in purely conventional
terms. An important concept used by
such acupuncturists is that of the “trigger
point.” This is an area of increased sensitivity within a muscle which is said to
cause a characteristic pattern of referred
pain in a related segment of the body.
The effects of acupuncture, particularly on pain, are at least partially
explicable within a conventional physiological model. Acupuncture is known
to stimulate A delta fibres entering the
dorsal horn of the spinal cord. These
mediate segmental inhibition of pain
impulses carried in the slower, unmyelinated C fibres and, through connections
in the midbrain, enhance descending
inhibition of C fibre pain impulses at
other levels of the spinal cord. This helps
explain why acupuncture needles in one
part of the body can affect pain sensation
in another region. Acupuncture is also
known to stimulate release of endogenous opioids and other neurotransmitters such as serotonin. This is likely to
be another mechanism for acupuncture’s
effects, such as in acute pain and in substance misuse.
Acupuncture was developed as a relatively global system of medicine. As
practised in Europe and north America,
acupuncture is primarily a treatment for
benign, chronic disease and for musculoskeletal injury. The most common presenting complaints found in surveys of
acupuncture practice include back pain,
arthritis, headache, asthma, hay fever,
anxiety, fatigue, menstrual disorders, and
digestive disorders. Acupuncture is also
used in drug and alcohol rehabilitation.
There is good research evidence that
acupuncture has effects greater than pla11
M. Luchetti
probabilmente potrebbe essere un altro
meccanismo per gli effetti dell’agopuntura, come nel dolore acuto e nell’abuso
di sostanze.
L’agopuntura si è sviluppata come un
sistema pressoché globale di medicina.
Così come è praticata in Europa e in
nord America, l’agopuntura è prevalentemente un trattamento per malattie
benigne croniche e per danni muscoloscheletrici. I più comuni disturbi
presentati nei lavori sulla pratica dell’agopuntura includono mal di schiena,
artrite, mal di testa, asma, febbre da fieno,
ansietà, stanchezza, disturbi mestruali, e
disturbi digestivi. L’agopuntura è anche
usata nella riabilitazione da droga e
alcool.
C’è una buona evidenza sperimentale
che l’agopuntura ha effetti maggiori del
placebo. Studi randomizzati hanno dimostrato che l’agopuntura è più efficace nel
sollievo dal dolore rispetto a una tecnica
“fittizia”, come l’inserimento degli aghi
al di fuori dei punti previsti. Studi che
dimostrano che l’agopuntura può agire
su animali anestetizzati forniscono una
ulteriore prova che i suoi effetti non
possono essere spiegati in termini puramente fisiologici. Soprattutto, la prova
di diversi esperimenti randomizzati controllati supporta l’uso dell’agopuntura in
condizioni di dolore, in particolare emicrania, mal di testa, e dolore postoperatorio.
Come in tutte le medicine alternative,
l’assenza di un sistema formale di rilevazione degli effetti nocivi comporta
che la sicurezza dell’agopuntura è difficile da valutare. Comunque essa sembra
essere una forma di trattamento relativamente sicura con bassa incidenza di
gravi controindicazioni.
12
cebo. Randomised trials have found that
true acupuncture is more effective in
relieving pain than a “sham” technique,
such as inserting needles away from
true points. Studies showing that acupuncture can affect anaesthetised animals provides further evidence that its
effects probably cannot be explained
purely in psychological terms. Overall,
evidence from several randomised controlled trials supports the use of acupuncture in pain conditions, particularly
migraine, headache, and postoperative
pain.
As with all complementary medicine,
the absence of a formal system for
reporting adverse effects means that acupuncture’s safety is difficult to assess.
However, it seems to be a relatively safe
form of treatment with a low incidence
of serious adverse events.
Phytotherapy
The use of plants for healing purposes
predates human history and forms the
origin of much modern medicine. Many
conventional drugs originate from plant
sources: a century ago, most of the few
effective drugs were plant based. Examples include aspirin (from willow bark),
digoxin (from foxglove), quinine (from
cinchona bark), and morphine (from the
opium poppy).
Chinese herbalism is the most prevalent of the ancient herbal traditions. It is
based on concepts of yin and yang and
of Qi energy. Modern Western herbalism emphasises the effects of herbs on
individual body systems. For example,
herbs may be used for their supposed
anti-inflammatory, haemostatic, expectorant, antispasmodic, or immunostimulatory properties.
Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore
Fitoterapia
L’uso di piante per scopi terapeutici
precede la storia umana e rappresenta
l’origine di gran parte della medicina
moderna. Molti farmaci convenzionali
hanno origine da piante: un secolo fa,
la maggior parte delle poche sostanze
efficaci erano a base di piante. Tra gli
esempi si includono l’aspirina (dalla corteccia di salice), digoxina (dalla digitale), quinina (dalla corteccia di china), e
la morfina (dall’oppio del papavero).
L’erboristeria cinese è la più diffusa fra
le antiche tradizioni erboristiche. Essa
si basa sul concetto di yin e yang e
dell’energia Qi. La moderna erboristeria
occidentale enfatizza gli effetti delle erbe
sui singoli sistemi corporei. Per esempio, le erbe possono essere usate per le
loro presunte proprietà anti-infiammatorie, emostatiche, espettoranti, antispasmodiche, o immunostimolanti.
Sebbene superficialmente simili, la
fitoterapia e la farmacoterapia convenzionale hanno tre importanti differenze:
1) i fitoterapisti usano estratti di piante
non purificati contenenti diversi costituenti; 2) spesso, molte erbe diverse sono
usate insieme; 3) coloro che praticano
fitoterapia usano principi diagnostici differenti dagli operatori convenzionali.
Una tipica casistica della fitoterapia
potrebbe includere asma, eczema, sindrome premestruale, artrite reumatoide,
emicrania, sintomi della menopausa,
stanchezza cronica e sindrome dell’intestino irritabile.
In laboratorio è stato mostrato che
alcuni estratti vegetali hanno una varietà
di effetti farmacologici, tra i quali effetto
anti-infiammatorio, vasodilatatorio, antimicrobico, anticonvulsivo, sedativo e
antipiretico. In un tipico studio, un infuso
Although superficially similar, herbal
medicine and conventional pharmacotherapy have three important differences:
1) herbalists generally use unpurified
plant extracts containing several different
constituents; 2) often, several different
herbs are used together; 3) herbal practitioners use different diagnostic principles from conventional practitioners.
A typical caseload of phytotherapists
might include asthma, eczema, premenstrual syndrome, rheumatoid arthritis, migraine, menopausal symptoms,
chronic fatigue, and irritable bowel syndrome.
In laboratory settings plant extracts
have been shown to have a variety
of pharmacological effects, including
anti-inflammatory, vasodilatory, antimicrobial, anticonvulsant, sedative, and
antipyretic effects. In a typical study an
infusion of lemon grass leaves produced
a dose dependent reduction of experimentally induced hyperalgesia in rat.
Human studies also confirm specific
therapeutic effects of particular herbs.
The best known evidence about a herbal
product concerns St John’s wort (Hypericum perforatum) for treating mild to
moderate depression. A systematic
review of 23 randomised controlled trials
found the herb to be significantly superior to placebo and therapeutically equivalent to, but with fewer side effects than,
antidepressants such as amitriptyline.
However, there is still very little evidence on the effectiveness of herbalism
as practised, that is, using principles such
as combining herbs and unconventional
diagnosis.
Many plants are highly toxic. Herbal
medicine probably presents a greater risk
of adverse effects and interactions than
13
M. Luchetti
di foglie di lemon grass ha prodotto una
riduzione dose-dipendente dell’iperalgesia indotta sperimentalmente nel ratto.
Anche studi sull’uomo confermano gli
effetti terapeutici specifici di particolari
erbe. La prova più conosciuta sui prodotti
fitoterapici riguarda l’iperico (Hypericum perforatum) per il trattamento della
depressione lieve. Una revisione sistematica di 23 studi randomizzati controllati
ha trovato che le erbe sono significativamente superiori al placebo e terapeuticamente equivalenti ad antidepressivi
quali l’amitriptilina, ma con meno effetti
collaterali.
Comunque, sono ancora molto deboli
le prove sull’efficacia della fitoterapia
così come viene praticata, e cioè, usando
principi come la combinazione di erbe e
la diagnosi non convenzionale.
Molte piante sono altamente tossiche.
La fitoterapia probabilmente presenta un
rischio di controindicazioni e di interazioni maggiore di ogni altra terapia alternativa. Sono riportati casi di gravi effetti
nocivi dopo la somministrazione di prodotti erboristici. Come con molte terapie
alternative, l’informazione sulla prevalenza di effetti nocivi è limitata.
L’interazione dei prodotti fitoterapici
con sostanze convenzionali è stata
descritta. Esistono alcune interazioni ben
specificate, e i fitoterapisti competenti
hanno l’obbligo di tenere una storia dettagliata delle sostanze usate e di evitare
tali interazioni.
Omeopatia
L’omeopatia tratta le malattie usando
preparazioni in dosi molto basse somministrate secondo il principio che “il
simile si cura con il simile”. Gli omeopati scelgono una sostanza che, se data
14
any other complementary therapy. There
are case reports of serious adverse events
after administration of herbal products.
As with many complementary therapies,
information on the prevalence of adverse
effects is limited.
Interactions of herbal products with
conventional drugs have been described.
Some well characterised interactions
exist, and competent medical herbalists
are trained to take a detailed drug history
and avoid these.
Homoeopathy
Homoeopaths treat disease using very
low dose preparations administered
according to the principle that “like
should be cured with like.” Practitioners
select a drug that would, if given to a
healthy volunteer, cause the presenting
symptoms of the patient.
Samuel Hahnemann (1755-1843), the
German physician who first described
homoeopathy, began his pioneering
experiments in the 1790s.
Common homoeopathic medicines
include those made from plants such
as belladonna, arnica, and chamomile;
minerals such as mercury and sulphur;
animal products such as squid ink and
snake venom; and, more rarely, biochemical substances such as histamine
or human growth factor. The remedies
are prepared by a process of serial dilution and succussion (vigorous shaking).
The more times this process of dilution
and succussion is performed, the greater
the “potency” of the remedy.
It is well known that many homoeopathic medicines are ultramolecular, that
is, they are diluted to such a degree that
not even a single molecule of the original solute is likely to be present. As
Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore
ad un volontario sano, provocherebbe i
sintomi presenti nel paziente.
Samuel Hahnemann (1755-1843), è
stato il medico tedesco che per primo
ha descritto l’omeopatia, iniziando i suoi
esperimenti pionieristici attorno alla fine
del 18º secolo.
Comunemente i farmaci omeopatici
sono derivati da vegetali (belladonna,
arnica, camomilla); da minerali (mercurio e zolfo); da animali (inchiostro di
seppia, veleno di serpente). Più raramente derivano da sostanze biochimiche
come l’istamina o fattori di crescita.
I rimedi sono preparati mediante un
processo di diluizioni in serie e succussioni (scuotimento vigoroso). Più volte
si effettua il processo di diluizione e
succussione, maggiore è la potenza del
rimedio.
È noto che molte medicine omeopatiche sono ultramolecolari, cioè sono
diluite a tal punto che è probabile
che nemmeno una singola molecola del
soluto originale sia presente al termine
del processo. Poiché l’azione dei farmaci
viene convenzionalmente spiegata in termini biochimici, l’omeopatia presenta
una enorme sfida intellettuale. Molti
ritengono che gli effetti clinici delle
medicine omeopatiche siano solamente
dovuti ad effetto placebo.
Una recente meta-analisi pubblicata su
Lancet ha esaminato oltre 100 studi randomizzati, placebo-controllati, e ha concluso che, pur ammettendo la possibilità
di errori metodologici negli studi esaminati, i risultati non sono compatibili
con l’ipotesi che l’effetto clinico dell’omeopatia sia completamente dovuto
al placebo. Una possibile spiegazione,
attualmente in corso di studio, è che,
durante la diluizione seriale, le com-
drug actions are conventionally understood in biochemical terms, homoeopathy presents an enormous intellectual
challenge. Many scientists have suggested that the clinical effects of homoeopathic medicines are solely due to
the placebo effect. A recent meta-analysis, published in the Lancet, examined
over 100 randomised, placebo controlled
trials, and concluded that, even allowing for publication bias, the results are
not compatible with the hypothesis that
the clinical effects of homoeopathy are
completely due to placebo.
One possible explanation, currently
being investigated, is that during serial
dilution the complex interactions between
the solvent (water) molecules are permanently altered to retain a “memory” of
the original solute material.
Most of a typical homoeopath’s case
load consists of chronic or recurrent
conditions such as eczema, rheumatoid
arthritis, fatigue disorders, asthma,
migraine, dysmenorrhoea, irritable bowel
syndrome, recurrent upper respiratory or
urinary tract infections, and mood disorders. Homoeopaths also treat a substantial number of patients with ill defined
illness that has not been given a conventional diagnosis.
Serious unexpected adverse effects of
homoeopathic medicines are rare. A
potentially more serious issue is the
belief of some practitioners that conventional drugs reduce the efficacy of
homoeopathy. Serious adverse events
have resulted from patients failing to
comply with essential conventional treatments while using homoeopathy.
Osteopathy and chiropractic
Osteopathy and chiropractic share a
common origin. Their roots can be found
15
M. Luchetti
plesse interazioni tra le molecole di solvente (acqua) vengano permanentemente
alterate in modo da ritenere una “memoria” del soluto originale.
La maggior parte dei casi trattati dall’omeopatia consiste in condizioni croniche o ricorrenti quali eczema, artrite
reumatoide, stati di affaticamento, asma,
emicrania, dismenorrea, colon irritabile,
infezioni ricorrenti delle alte vie aeree,
infezioni del tratto urinario, disturbi dell’umore. Gli omeopati trattano anche una
notevole quantità di pazienti con malattie mal definite per le quali non è stata
fatta una diagnosi convenzionale.
Un problema potenzialmente serio dell’omeopatia è la convinzione di alcuni
omeopati che le medicine convenzionali
riducano l’efficacia dell’omeopatia
stessa. Gravi eventi avversi sono derivati
dal fatto che pazienti hanno smesso di
assumere farmaci convenzionali essenziali durante un trattamento omeopatico.
Osteopatia e chiropratica
L’osteopatia e la chiropratica hanno
origini comuni. Le loro radici possono
essere riconosciute nella tradizione popolare degli “aggiustaossi”. Entrambe sono
state sistematizzate alla fine del 19º
secolo negli Stati Uniti. Pare che Daniel
D. Palmer, il fondatore della chiropratica,
prima di mettere su la propria scuola,
abbia incontrato Andrew Taylor Still,
il fondatore dell’osteopatia. Le terapie
rimangono relativamente simili e spesso
ci si riferisce ad entrambe con il termine
di “terapie manipolative”.
L’osteopatia e la chiropratica interverrebbero in modo più efficace dei farmaci
perché non si limitano a sedare il sintomo, ma vanno alla ricerca della causa
16
in folk traditions of “bone setting,” and
both were systematised in the late 19th
century in the United States: Daniel D
Palmer, the founder of chiropractic, is
said to have met with Andrew Taylor
Still, the founder of osteopathy, before
setting up his own school. The therapies
remain relatively similar, and many textbooks and journals are relevant to both.
The term “manipulative therapy” refers
to both osteopathy and chiropractic.
They are supposed to intervene more
effectively than drugs, since they do not
treat only the symptom, but also search
for the primary cause. Their approach
is based on a global evaluation of the
whole individual, so as to restore a correct pattern of body function.
Manipulative therapists take a history,
palpate for significant changes in muscle
tension and skin circulation, and look
for any restricted movements in order to
diagnose musculoskeletal abnormalities
and “neuromuscular dysfunction”.
The best known technique is the
“high velocity thrust,” a short, sharp
motion usually applied to the spine. This
manoeuvre is designed to release structures with a restricted range of movement. Chiropractors are more likely to
push on vertebrae with their hands,
whereas osteopaths tend to use the limbs
to make levered thrusts. That said, osteopathic and chiropractic techniques are
converging, and much of their therapeutic repertoire is shared.
Low back pain is the most common
presenting complaint and may origin
from many different causes. Manipulative techniques, similarly to all olistic
therapies, evaluate each aspect of the
patient, from repeated positions, to stress,
to visceral problems, to anxiety, just
Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore
primaria. L’approccio parte da una valutazione globale di tutto l’individuo in
modo da ripristinare un corretto schema
di funzionamento corporeo.
I terapisti manipolativi raccolgono una
storia clinica, palpano alla ricerca di
cambiamenti significativi della tensione
muscolare e della circolazione cutanea, e
osservano ogni movimento alterato, allo
scopo di diagnosticare anomalie muscoloscheletriche e disfunzioni neuromuscolari.
La tecnica manipolativa più conosciuta è il “colpo ad alta velocità”, un
movimento breve e rapido generalmente
applicato alla colonna vertebrale, che ha
lo scopo di rilasciare strutture con un
raggio di movimento ristretto. I chiropratici preferiscono spingere con le mani
sulle vertebre, mentre gli osteopati tendono ad usare gli arti per ottenere delle
leve. Per il resto, le tecniche sono simili
e condividono gran parte del repertorio
terapeutico.
La lombalgia è il problema più comune
per cui ci si rivolge ad un chiropratico
o un osteopata. Un mal di schiena può
avere moltissime cause e le tecniche
manipolative, come tutte le terapie olistiche, valutano tutti gli aspetti di una
persona, dalle posizioni ripetute ogni
giorno, allo stress, ai problemi viscerali,
alle situazioni di ansia. Tutti questi fattori possono ripercuotersi sulla colonna
vertebrale, portando ad un blocco del
meccanismo craniosacrale e provocando,
oltre al mal di schiena, malessere generale e stanchezza.
Altre condizioni patologiche spesso
trattate da chiropratici e osteopati includono dolore al collo e alle spalle, traumi
sportivi, cefalea, artrite.
Numerosi studi randomizzati controllati dimostrano l’efficacia delle mani-
to mention a few. According to osteopaths and chiropractors, all these factors
can impair the function of the vertebral
spine, blocking the craniosacral mechanism and causing, aside from back pain,
global suffering and chronic fatigue.
Other conditions often seen include
neck and shoulder pain, sports injuries,
headache and arthritis.
There is considerable evidence from
randomised controlled trials of the effectiveness of spinal manipulation for back
and neck pain. However, a recent systematic review highlights methodological
weaknesses. For all the other pathologies sufficient evidence is still lacking.
The most important potential adverse
effects of osteopathy and chiropractic
are stroke and spinal cord injury after
cervical manipulation.
Hypnosis and relaxation techniques
Hypnosis is the induction of a deeply
relaxed state, with increased suggestibility and suspension of critical faculties.
Once in this state, sometimes called a
hypnotic trance, patients are given therapeutic suggestions to encourage changes
in behaviour or relief of symptoms.
Many relaxation techniques aim to
increase awareness of areas of chronic
unconscious muscle tension. They often
involve a conscious attempt to release
and relax during exhalation.
Most relaxation techniques need to be
practised daily and are enjoyable. Relaxation classes can also play a social function.
The primary uses of hypnosis and
relaxation techniques are in anxiety, in
disorders with a strong psychological
component (such as asthma and irritable
bowel syndrome), and in conditions that
17
M. Luchetti
polazioni spinali per il trattamento del
mal di schiena e di collo. Tuttavia, una
recente revisione sistematica di questi
studi ha messo in luce alcune debolezze
metodologiche. Per le altre patologie non
esiste ancora un’evidenza sufficiente.
Gli effetti avversi più importanti,
seppur rari, delle tecniche manipolative
sono l’ictus e il danno midollare dopo
manipolazione cervicale.
Ipnosi e tecniche di rilassamento
L’ipnosi è l’induzione di uno stato
di profondo rilassamento, associato ad
aumentata suggestionabilità e sospensione delle facoltà critiche. Una volta
che i pazienti hanno raggiunto questo
stato, talvolta chiamato trance ipnotica,
vengono loro dati dei suggerimenti terapeutici per incoraggiare i cambiamenti
del comportamento o favorire il sollievo
dei sintomi.
Molte tecniche di rilassamento mirano
ad aumentare la consapevolezza di aree
di tensione muscolare cronica inconscia.
Spesso includono il tentativo cosciente
di lasciarsi andare e rilassarsi durante
l’espirazione. La maggior parte delle tecniche di rilassamento va praticata quotidianamente. Esse sono generalmente
gradevoli e possono svolgere anche una
funzione sociale se effettuate in gruppo.
L’ipnosi e le tecniche di rilassamento
sono utili principalmente nell’ansia, nei
disturbi con forte componente psicologica (asma, colon irritabile), e nelle condizioni che possono essere modulate dal
livello di attenzione (dolore). Sono usate
anche comunemente nei programi per il
controllo dello stress.
Studi controllati randomizzati validano
l’uso di diverse tecniche di rilassamento
per il trattamento del dolore sia acuto
18
can be modulated by levels of arousal
(such as pain). They are also commonly
used in programmes for stress management.
Randomised controlled trials support
the use of various relaxation techniques
for treating both acute and chronic pain,
although two recent systematic reviews
suggest that methodological flaws may
compromise the reliability of these findings.
Relaxation and hypnosis are often used
in cancer patients. There is strong evidence from randomised trials of the
effectiveness of hypnosis and relaxation
for cancer related anxiety, pain, nausea,
and vomiting, particularly in children.
Relaxation techniques are often integrated into other healthcare practices.
For example, they may be included in
programmes of cognitive behavioural
therapy in pain clinics or occupational
therapy in psychiatric units. Many different complementary therapists, such as
osteopaths and massage therapists, may
include some relaxation techniques in
their work. Some nurses use relaxation
techniques in the acute setting, such as
in preparation for surgery.
Massage
Therapeutic massage is the manipulation of the soft tissue of whole body areas
to bring about generalised improvements
in health, such as relaxation or improved
sleep, or specific physical benefits, such
as relief of muscular aches and pains.
Almost all cultures have developed
systems of therapeutic massage. Massage techniques play an important part
in traditional Chinese and Indian medical care. European massage was systematised in the early 18th century by Per
Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore
che cronico, anche se due recenti revisioni sistematiche hanno suggerito che
errori metodologici potrebbero inficiare
l’attendibilità di questi risultati.
Il rilassamento e l’ipnosi sono spesso
usati in pazienti tumorali. Esiste una
forte evidenza derivante da studi randomizzati sulla loro efficacia nel trattamento dell’ansia, del dolore, di nausea e
vomito nei pazienti tumorali, in particolare nei bambini.
Le tecniche di rilassamento sono spesso
integrate con altre pratiche terapeutiche.
Per esempio possono esere incluse in
programmi di terapia cognitiva comportamentale nelle cliniche del dolore,
oppure nella terapia occupazionale nelle
unità psichiatriche. Diversi terapisti non
convenzionali, quali l’osteopata o il terapista del massaggio, possono includere
delle tecniche di rilassamento nel proprio
lavoro. Anche alcuni infermieri usano
tecniche di rilassamento, per esempio
nella preparazione alla chirurgia.
Massaggio
Il massaggio terapeutico consiste nella
manipolazione dei tessuti molli di tutto il
corpo allo scopo di determinare miglioramenti generalizzati della salute, quali
rilassamento o miglior sonno, oppure
specifici benefici fisici, quali sollievo
dal dolore.
Quasi tutte le culture hanno sviluppato sistemi di massaggio terapeutico.
Esso ha un ruolo molto rilevante nella
medicina Cinese ed Indiana. Il massaggio europeo è stato sistematizzato agli
inizi del 18° secolo da Per Hendrik Ling,
il quale ha sviluppato quello che è noto
come massaggio Svedese.
Negli ultimi 30 anni i terapisti hanno
riadattato il massaggio Svedese ponendo
maggiore enfasi sugli aspetti psicologici
Hendrik Ling, who developed what is
now known as Swedish massage.
In the past 20-30 years complementary
therapists have adapted Swedish massage so as to place greater emphasis on
the psychological and spiritual aspects of
treatment. Benefits of massage are now
described more in terms such as “calmness” or “wholeness” than in terms of
loosening stiff joints or improving blood
flow.
In reflexology, areas of the foot are
believed to correspond to the organs or
structures of the body. Damage or disease in an organ is reflected in the corresponding region, or “reflex zone,” of the
foot. When this is palpated the patient is
said to experience pain or pricking, no
matter how gently pressure is applied.
Reflexology treatment consists of massage of the disordered reflex zones.
In aromatherapy, oils derived from
plants (“essential oils”) are added to a
base massage oil, which acts as a lubricant during treatment. Although often
used purely for their smell, the oils
are claimed to have a wide range of
medicinal properties, including effects
on wound healing, infection, blood circulation, and digestion. They are said to
act both pharmacologically, by absorption into the blood through the skin, and
by olfactory stimulation.
Massage is mainly used to promote
relaxation, treat painful muscular conditions, reduce anxiety improve sleep and
control pain. Massage is also claimed to
have more global effects on health. Practitioners and patients report that massage improves self image in conditions
such as physical disabilities and terminal
illnesses. This may result in part from
the feelings of general wellbeing that are
19
M. Luchetti
e spirituali del trattamento. I benefici
del massaggio ora sono descritti in termini più olistici di rilassamento globale,
di calma, pittosto che di sblocco delle
articolazioni o miglioramento del flusso
sanguigno.
Nella riflessologia le parti del piede
corrispondono a organo o strutture del
corpo. Il danno o la malattia in un organo
si riflette nella regione corrispondente
del piede, o “zona riflessa”. Quando
questa viene palpata il paziente prova
dolore o puntura, per quanto la pressione
possa essere leggera. Un trattamento
di riflessologia consiste nel massaggio
delle zone riflesse disturbate.
Nell’aromaterapia, olii derivati dalle
piante (olii essenziali) vengono aggiunti
ad un olio di base che fa da lubrificante
durante il trattamento. Gli olii hanno
un’ampia gamma di proprietà medicamentose, ad es. effetti sulla guarigione di
ferite, sulle infezioni, sulla circolazione
sanguigna, sulla digestione. Essi agiscono sia farmacologicamente per assorbimento nel sangue attraverso la pelle,
sia mediante stimolazione olfattiva.
Il massaggio è usato principalmente
per favorire il rilassamento, trattare condizioni muscolari dolorose, ridurre l’ansia, favorire il sonno, controllare il
dolore.
Il massaggio avrebbe anche efetti più
globali sulla salute. Migliorerebbe l’immagine di se stessi in condizioni quali
disabilità fisica e malattia terminale.
Questo può derivare in parte dal senso
di benessere generale riportato comunemente dopo un massaggio. Il tocco
stesso può essere considerato terapeutico, soprattutto in coloro che hanno
scarse opportunità di contatto fisico,
quali i pazienti senza amici intimi o
20
commonly reported after massage. Touch
itself is likely to be therapeutic, particularly in those with limited opportunities for physical contact, such as patients
without intimate friends or family or
with painful physical conditions.
Massage has also been said to help
patients feel cared for. Patients may be
more ready to discuss and deal with
difficult psychological issues once they
are less anxious, feel better about themselves, and have come to trust their care
providers.
To date, most of the clinical trials
of massage have focused on psychological outcomes of treatment. Good evidence from randomised trials indicates
that massage reduces anxiety scores in
the short term in settings as varied as
intensive care, psychiatric institutions,
hospices, and occupational health.
Some evidence supports the more
“traditional” effects of massage such
as improved circulation and decreased
muscle tension. Most massage techniques have a low risk of adverse
effects.
Shiatsu
Shiatsu was born in Japan: it was first
systematized by Toshiru Namikoshi and
then by Shizuto Masunaga. In the different countries in which it has spread, shiatsu has been elaborated into other styles
that remain faithful to the fundamental
technical carachteristics.
Shiatsu is a technique based on bringing pressure with fingers, hands, elbows,
knees, according to specific modalities.
It fosters the important values of touch
and relation, instinctual needs of all
human and animal beings, that stimulate
those physical, energetical and psychi-
Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore
senza famiglia, o quelli con condizioni
fisiche dolorose.
Il massaggio aiuta i pazienti a sentirsi
curati, accuditi. Essi possono sentirsi più
pronti a discutere ed affrontare difficoltà
psicologiche una volta che sono meno
ansiosi, si sentono meglio con loro stessi
e sono arrivati a fidarsi del loro terapista.
Ad oggi, la maggior parte degli studi
clinici sul massaggio si sono focalizzati
sugli effetti psicologici del trattamento.
Questi studi indicano con buona evidenza che il massaggio riduce l’ansia
a breve termine in ambienti diversi
quali terapia intensiva, istituti psichiatrici, hospices e terapia occupazionale.
Esistono anche evidenze a supporto
degli effetti tradizionali del massaggio
quali il miglioramento della circolazione
e la riduzione della tensione muscolare.
La maggior parte delle tecniche di massaggio presentano un basso rischio di
effetti avversi.
Shiatsu
Lo shiatsu è una pratica nata in Giappone: è stato per la prima volta codificato da Toshiru Namikoshi e in seguito
da Shizuto Masunaga. Nei diversi Paesi
in cui si è diffuso, lo shiatsu è stato poi
elaborato anche in altri stili che si mantengono fedeli alle caratteristiche tecniche fondamentali di questa pratica.
Lo shiatsu si basa su tecniche di pressione portata con le dita, ma anche con
i palmi, i gomiti, le ginocchia, secondo
modalità codificate. Esso propone e recupera quei valori importanti del contatto
e della relazione. Il contatto, come esigenza istintiva fondamentale connaturata all’uomo e a tutto il mondo animale
in genere, stimola i processi fisici, ener-
cal process at the basis of well-being and
health.
Contrarily to common massage, shiatsu is a treatment carachterized by an
intense and deep effect, and it acts not
only on the surface of physical body and
muscular structure, but also on energy
stratifications, thus treating the individual as a whole. Shiatsu stimulation determines a counterpression by the receiving
body, like a response motion: thanks to
this, the vital forces promoting the process of self-cure are waken up.
Correct pressure, performed according to precise modality, exerts its effect
directly on internal organs and on the
energy nourishing them, restoring its
proper and harmonious flow.
To intervene with a really curative
intent, a precise and detailed energetic
diagnosis is mandatory. Shiatsu, in fact,
is based on the theoretically refined
ground of traditional chinese medicine,
that includes always a therapeutic strategy aimed at restoring the function of
organs and systems. With this ancient
medicine, shiatsu shares, first of all, the
concept of disease as a sign of energetic
disequilibrium, meaning that the free
flowing of energy is blocked.
Shiatsu action field is very wide: from
favouring a relaxed state, to improving
functional physical disorders, not only
osteo-articular and muscular ones. In particular, shiatsu allows the individual to
get back in touch with his/her own potential for self-healing and health keeping.
To believe or not to believe? That is
the problem!
Thomas Edison, genial inventor, at the
beginning of the last century stated that
21
M. Luchetti
getici e psichici che sono alla base del
buon funzionamento di tutto l’organismo, del benessere e della salute stessa.
A differenza del comune massaggio,
lo shiatsu è un trattamento particolare
contraddistinto da una capacità d’azione
intensa e molto profonda e non si limita
ad agire solo sulla superficie del corpo
fisico e sulla struttura muscolare, ma va
a coinvolgere le stratificazioni energetiche, con ripercussioni sulla globalità
dell’individuo.
La stimolazione operata dallo shiatsu
determina una contropressione da parte
dell’organismo del ricevente, un movimento di risposta: è proprio grazie a
questo che si risvegliano le forze vitali
dalle quali dipende il processo di autoguarigione.
La corretta pressione, esercitata
secondo modalità precise, va ad agire
direttamente sugli organi interni e sull’energia che li alimenta, ripristinandone
un flusso corretto ed armonioso.
Per intervenire in modo veramente
curativo, è indispensabile una diagnosi
energetica precisa e dettagliata. Lo shiatsu, infatti, s’inserisce nell’ambito del
raffinatissimo pensiero teorico della
medicina tradizionale cinese, il quale
prevede sempre una strategia terapeutica mirata al recupero della funzionalità
di organi e apparati. Con questa antica
medicina, lo shiatsu condivide innanzitutto il concetto di malattia, intesa come
segnale di uno squilibrio energetico, vale
a dire di blocco dell’energia nel suo
libero fluire.
La sfera d’azione dello shiatsu è molto
vasta: dal predisporre e favorire lo stato
di rilassamento, al miglioramento di
disturbi fisici di tipo funzionale, non solo
locomotorio e articolare. Lo shiatsu per22
the physycian of the future would not
administer drugs, but would involve the
patient in the cure of human body structure and functions, in alimentation, in
disease causes and prevention. This is
just what is practised by the so-called
olistic medicine, the medicine of the
wholeness, considering human beings as
an undivided whole of body-mind-spirit.
On this concept of unity all unconventional medicines are based.
Frustration due to poor experience of
pain management may lead patients to
consult alternative practitioners as a last
resort. Alternative therapies can offer
patients an individual approach tailored
to their specific needs. Even when the
treatment fails to add substantially to
pain relief, patients may still perceive
benefit from the personal interaction of
a holistic, empathetic approach and the
feeling that their pain is taken seriously.
Paradigmatic is, regarding to this, the
story of Lord Edward Baldwin, recently
published on the British Medical Journal, whose main passages are reported
below.
“My first experience of the unusual was 35
years ago. Having damaged my knees with
too vigorous an outing in the British hills,
I was sent to see , culminating in two eminent gentlemen in Harley Street. They prescribed varying forms of treatment and did
me no good at all. Nor did a sports expert in
the United States, who suggested the problem was in my mind. Three years later, hobbling with knee bandages and a mindset of
incurability, I was directed by a colleague to
a spiritual healer in a back street in Cambridge. He spent half an hour waving his
hands over my knees while discoursing on
his life as a school-master and Harold Wilson’s politics. I felt nothing, though I had
been warned to expect heat or cold. I shall
never forget my astonishment at levering
Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore
mette all’individuo, soprattutto, di tornare a mettersi in contatto con le proprie
potenzialità di autoguarigione e mantenimento della salute.
Credere o non credere? Questo è il
problema!
Thomas Edison, geniale inventore e
non solo, all’inizio del secolo scorso
affermava che “Il medico del futuro non
somministrerà medicine, ma coinvolgerà
il paziente nella cura della struttura e
delle funzioni dell’organismo umano,
nell’alimentazione, nelle cause e nella
prevenzione delle malattie”. Questo è
proprio ciò che mette in pratica la cosiddetta medicina olistica, ovvero la medicina del tutto, che considera l’essere
umano come un insieme non separato di
corpo-psiche-spirito. Su questo concetto
di unità si basano tutte le medicine non
convenzionali.
La frustrazione che segue ad un cattivo controllo del dolore può spesso
indurre i pazienti a rivolgersi alle terapie alternative come ultima spiaggia.
Queste, a differenza delle terapie convenzionali, sembrano in grado di offrire
ai pazienti un approccio individuale
indirizzato ai loro bisogni specifici.
Anche se il trattamento non offre un
sostanziale miglioramento del controllo
del dolore, i pazienti possono ugualmente percepire un effetto benefico
derivante da un approccio olistico,
empatico e dalla sensazione che il loro
dolore viene preso sul serio.
È emblematico, a tal proposito, il
racconto di Lord Edward Baldwin,
pubblicato recentemente sul British
Medical Journal, di cui riportiamo i passi
salienti.
myself out of bed the next morning to find the
pain had vanished, never properly to return.
What is the orthodox explanation for this
cure? The placebo effect. But no one has
asked me what I in fact expected. Since the
placebo effect may depend on the patient’s
conscious or subconscious attitudes to treatment, this might be thought relevant. How
likely is it that a patient who has consulted
a succession of the best white coats, and
has had three years of failure and pain, will
expect to be cured by a blind old man without qualifications in an upstairs bedroom
who is not even concentrating on the job?
Not very. (I actually felt rather foolish visiting him.) And if the placebo effect is so powerful, why did it not manifest itself for any of
the previous orthodox interventions where I
did expect results? I conclude that, although
the placebo effect remains a possible explanation, it is an unlikely one.”
Actually, the principle critique against
alternative therapies deals with their lack
of scientific rigour. Evidence is crucial,
but it needs to be based on solid scientific
foundations. In lack of well conducted
trials, placebo effect is often alleged by
conventional medicine as an explanation
of unconventional therapies results. Yet,
one could suspect that placebo effect is
a cover for the discomfort the medical
mind experiences when faced with the
unusual. This suspicion is reinforced by
the tendency of doctors to give explanations before they have ascertained the
facts. When, for example, a researcher
writes in Science that “not 1000 experiments with 10 million trials and by 100
separate investigators giving total odds
against chance of 10 to the one-thousandth to 1” will persuade him about
something he considers impossible, one
fears for scientific objectivity.
Then, disciplines such as acupuncture
and shiatsu, dating from 3,000 years,
23
M. Luchetti
“La mia prima esperienza del non convenzionale è stata 35 anni fa. Mi ero lesionato
le ginocchia in seguito ad una camminata in
collina troppo vigorosa. Sono stato inviato
da diversi specialisti, i quali hanno prescritto varie forme di trattamento, nessuna
delle quali mi ha dato beneficio. Sono stato
anche da un esperto di medicina sportiva,
il quale ha persino suggerito che il problema fosse nella mia testa. Tre anni e innumerevoli eminenti specialisti dopo, quando
zoppicavo, ero costretto a tenere fasciate le
ginocchia e ero rassegnato mentalmente a
convivere per sempre col dolore, un mio collega mi ha indirizzato da un guaritore spirituale nei sobborghi della mia città. Costui
ha trascorso mezz’ora muovendo le mani
sopra le mie ginocchia mentre chiacchierava della sua vita e di politica. Io non ho
sentito alcunché, sebbene fossi stato avvertito che avrei potuto provare caldo o freddo.
Non dimenticherò mai il mio stupore nell’alzarmi il giorno dopo dal letto e scoprire
che il dolore era sparito, per non tornare
mai più. Qual’è la spiegazione della medicina ortodossa di questa guarigione? L’effetto placebo. Ma nessuno mi ha chiesto
che cosa io mi aspettassi effettivamente.
E questo è importante, poiché l’effetto
placebo può dipendere dall’atteggiamento
conscio o inconscio con cui il paziente si
rivolge al trattamento. Quanto è probabile
che un paziente, che ha consultato una serie
di eminenti camici bianchi ed ha sopportato tre anni di insuccessi terapeutici e di
dolore, si aspetti di essere curato da un
vecchio uomo cieco senza qualifica professionale che non si concentra nemmeno su
ciò che sta facendo? Non molto. In effetti
io mi sentivo piuttosto stupido ad andare
da lui. E se l’effetto placebo è così potente
perché non si è manifestato in nessuno dei
precedenti interventi ortodossi dai quali sì
che mi aspettavo risultati? Quindi, anche
se l’effetto placebo rimane una possibile
spiegazione, esso non è certo e nemmeno
probabile.”
24
should wait for their scientificity to be
proved before being applied? Billions
of oriental people should have waited
millennia for this “scientific” evidence,
before having their doctors treat them
with needles and hands? If complementary medicine’s successes are dismissed
because they are deemed impossible, the
evidence will never be gathered, and
medical knowledge may lose valuable
opportunities to move into new areas.
After all, many medical advances begin
with anecdote.
With respect to this, it is interesting to
remember the episode of that Austrian
physician dealing with puerperal fever
in Vienna at the end of the 19th century. He found out that the problem was
due to a hygienic negligence: operators used to make autopsies and then
take deliveries without washing their
hands. Therefore, he suggested to his
colleagues that they washed the hands
with soap after each intervention. An
apparently banal, simple, practically
costless action, that modern doctors
look at as absolutely mandatory. Well,
doctors of that times raised such a
war against their colleague that finally
brought him to madhouse, and 50 years
had to pass before recognizing he was
right! How many people have died in
those 50 years? How many sepsis could
have been avoided? It is clear how
times for recognition and acceptance of
a a given reality or innovations by the
conventional medicine are not as fast as
one would expect.
The situation at present
Complementary medicine is marginalized in the healthcare systems of many
Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore
In effetti, la principale critica che viene
fatta nei confronti delle terapie alternative
è relativa alla loro mancanza di rigore
scientifico. L’evidenza dei fatti è fondamentale ma ha bisogno di essere basata
su solide basi scientifiche. In mancanza
di ricerche ben condotte, l’effetto placebo
viene spesso addotto dalla medicina convenzionale come spiegazione dei risultati
delle terapie non convenzionali. Tuttavia,
si potrebbe sospettare che l’effetto placebo sia una toppa per coprire il disagio in
cui si viene a trovare la medicina ufficiale
quando si confronta con eventi insoliti e
non previsti. Questo sospetto è rinforzato
dalla tendenza dei medici a dare spiegazioni ed emettere sentenze prima di avere
accertato i fatti. Quando un ricercatore
scrive su Science che “nemmeno 1000
esperimenti con 10 milioni di trials effettuati da 100 ricercatori separati che diano
un risultato positivo attribuibile al caso
con probabilità infinitesima” lo persuaderebbero di qualcosa che egli ritiene
impossibile, beh! qualche dubbio sorge
sull’obiettività scientifica!
Ma allora le discipline come l’agopuntura o lo shiatsu, esistenti da 3.000
anni, devono aspettare che si attesti la
comprovata scientificità prima di poter
essere applicate? Miliardi di orientali
avrebbero dovuto attendere per millenni
queste prove “scientifiche” prima di farsi
mettere gli aghi e le mani addosso?
Se i successi delle terapie complementari vengono rifiutati a priori perché ritenuti impossibili, l’evidenza scientifica
non potrà mai essere raccolta, e la conoscenza medica potrebbe perdere un’opportunità per esplorare queste nuove
aree. Dopo tutto, molti progressi in medicina sono cominciati con episodi aneddotici.
countries, but calls for a more integrated
approach are growing louder and seem
to be having an effect. Hostility to complementary medicine among doctors is
starting to erode. Basic courses in various complementary therapies are now
available in many medical schools in
Britain and the United States.
Complementary and alternative therapies are usually used alongside conventional treatments, rather than as a
substitute. The typical European user of
complementary medicine is a young or
middle aged woman who is well educated and health conscious.
Pain syndromes (low back pain, joint
pain, headache) are among the major
presenting complaints of unconventional
therapies.
Unconventional medicine is conquering more and more Italians, which often
are converted to the several practices
available to date: from chinese medicine
to acupuncture, from homoeopathy to
phytotherapy, from ayurveda to manipulative techniques and shiatsu.
A wave that cannot be stopped, if the
World Health Organization, the European Parliament and many countries
have adopted or are in the process of
adopting their own guidelines and coordination projects for the so-called “non
conventional medicines”. Global wellbeing, obtained non invasively, is a
topic that is winning more and more
public favour and is including a growing
number of interested people and adepts.
ISTAT (Italian Institute for Statistics)
has recently published a survey on
unconventional therapies in the framework of a cooperation with the Superior
Institute of Health. The study has been
conducted on a sample of about 30 thou25
M. Luchetti
A questo proposito, vale la pena ricordare la storia di quel medico austriaco
che a Vienna alla fine dell’800 si occupava della febbre puerperale. Egli scoprì
che il problema era dovuto ad una negligenza igienica. Gli operatori facevano
le autopsie e poi facevano nascere i
bambini, senza lavarsi le mani. Propose
quindi che dopo ogni intervento i colleghi
si lavassero le mani con del sapone. Una
cosa apparentemente banale, semplice da
effettuare, praticamente di nessun costo,
che a noi medici moderni sembra assolutamente imprescindibile oggi. Eppure, a
quel medico i colleghi del tempo fecero
una guerra tale da arrivare a rinchiuderlo
in manicomio e sono dovuti passare circa
50 anni prima che gli dessero finalmente
ragione! In quei 50 anni quanta gente è
morta? Quante sepsi si sarebbero potute
evitare? È evidente come spesso i tempi
di riconoscimento e accettazione di una
certa realtà o di innovazioni da parte
della medicina convenzionale non sono
così veloci come ci si aspetterebbe.
La situazione attuale
Le terapie non convenzionali sono
ancora marginalizzate nei sistemi sanitari di molti paesi, ma la richiesta di
un approccio integrato sta crescendo
e sembra avere effetto. L’ostilità dei
medici verso le terapie complementari
sta incominciando a sgretolarsi. Corsi
introduttivi per diverse terapie complementari sono stati attivati già in molte
scuole mediche in gran Bretagna e Stati
Uniti. Attualmente, le terapie complementari o alternative vengono usate
assieme ai trattamenti convenzionali,
piuttosto che in sostituzione di essi. Il
tipico fruitore europeo delle terapie non
26
sands italian families, that is over 70,000
individuals.
Istat appraisal on “Health conditions
and resort to sanitary services
1999-2000” shows that from 1991 to
1999 the amount of people utilizing main
unconventional treatments is almost doubled. Yet, Italy remains at the lowest
levels among other European countries,
even though the use of unconventional
therapies is starting to grow and is spreading to relevant amounts of people.
Between 1991 and 1999, the increase
in the use of these therapies has been
sensible: comparing the data available
on the three main remedies (acupuncture, homoeopathy and phytotherapy),
the amount of people that, in the last
3 years, has used at least one of them
grows from about 7% in 1991 to 8.3%
in 1994 and 12% in 1999. Such increase
is mainly due to the larger diffusion
of homoeopathy: the number of people
resorting to it is more than threefold,
from 2.5% to 8.2% during the same
period. Increasing, though less remarkably, is also phytotherapy, whilst remains
unchanged the number of people using
acupuncture.
In 2001, Italians stating they have used
– quite methodically – unconventional
techniques in the three years before
the survey, are about 9 millions, that
is 15.6% of the population. Prevailing
among all other therapies is undoubtedly
homoeopathy: the most used and integrated with other conventional therapies.
Four millions of people (8.2%), according to Istat, utilize homoeopathy. Then,
follow manual treatments (7%), phytotherapy (4.8%), acupuncture (2.9%)
and, finally, other unconventional techniques (1.3%).
Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore
convenzionali è una donna giovane o
di mezza età, ben educata e che tiene
alla propria salute. Le sindromi dolorose
(lombalgia, artralgia, cefalea) sono fra
le maggiori cause di ricorso alle terapie
non convenzionali.
Le medicine non convenzionali conquistano sempre più italiani, che spesso
si “convertono” alle numerose pratiche
oggi disponibili: dalla medicina cinese
all’agopuntura, dall’omeopatia alla fitoterapia, dall’ayurveda ai trattamenti
manuali della chiropratica e dell’osteopatia, allo shiatsu. Un’ondata inarrestabile, se è vero che la stessa
Organizzazione mondiale della Sanità,
il Parlamento europeo e moltissimi
Paesi hanno o stanno adottando proprie
linee guida e di coordinamento per le
Medicine cosiddette “non convenzionali”. Il benessere globale, raggiunto in
modo non invasivo e incruento, è una
tematica che sta sempre più ottenendo
il favore della pubblico e che presenta
un numero crescente di interessati e
adepti.
L’ISTAT ha recentemente realizzato
un’indagine sulle terapie non convenzionali nel quadro di una convenzione con
l’Istituto Superiore di Sanità. Lo studio
è stato condotto su un campione di circa
30 mila famiglie, pari ad oltre 70 mila
individui. Le stime Istat sulle “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari 1999-2000”, mostrano che dal 1991
al 1999 è quasi raddoppiata la quota di
persone che utilizza i principali trattamenti non convenzionali. Tuttavia, l’Italia resta ai livelli più bassi della media
europea, sebbene l’uso di terapie non
convenzionali cominci a crescere e a diffondersi tra quote importanti di popolazione.
Children up to 14 years of age using
unconventional treatments are about 9.2%.
The type of treatment more used is homoeopathy, adopted by 7.7% of children.
Furthermore, 4.8% of Italians take phytotherapeutic remedies, twofold compared to just ten years ago. Women
using unconventional therapies are more
(about 5 millions and a half, 18.2%) than
men (3 millions and a half, 12.9%). The
typical consumer is 35 to 44 years of age
(25.4%).
The user is carachterized by a middlehigh school education. The tendency to
use unconventional therapies increases
with increasing qualification: 24.1% of
those who have a degree or diploma have
used at least one type of unconventional
method, versus 18.8% of those who finished secondary school and 11.2% of
those who finished primary school or
had no education at all.
Higher is qualification, greater is
people self-determination: 33.3% of
graduated people say they have decided
autonomously to make resort to unconventional therapies, while the percentage decrease to 18.5% among those who
possess lower qualification.
The territorial distribution of the phenomenon shows some significant results:
in North-eastern Italy almost one italian
out of four uses at least one unconventional therapy, in Middle Italy one out of
six in South Italy one out of fifteen.
The resort to these therapies is reported
to family doctors in 59.6% of the cases.
Interestingly, 30.9% of the sample population has turned to the world of alternative medicine upon suggestion from
friends and not from a doctor. Noteworthy is also the incidence of those who
“do by themselves”: 27.2%. More often
27
M. Luchetti
Tra il 1991 e il 1999, l’aumento dell’uso di queste terapie è stato sensibile:
confrontando i dati disponibili sui tre
principali rimedi (agopuntura, omeopatia e fitoterapia), la quota di persone
che, negli ultimi 3 anni, ne ha utilizzato
almeno uno passa da circa il 7% del
1991 all’8,3% del 1994 fino a raggiungere il 12% nel 1999. Tale incremento
è soprattutto dovuto alla maggior diffusione dell’omeopatia: il numero di persone che vi hanno fatto ricorso è più che
triplicato, passando dal 2,5% all’8,2%
nello stesso arco di tempo. In aumento,
sia pur contenuto, è anche la fitoterapia,
mentre rimane invariata la quota di
coloro che si sono curati con l’agopuntura.
Nel 2001, gli Italiani che hanno dichiarato di aver utilizzato – con una certa
sistematicità – metodi di cura non convenzionali, nei tre anni precedenti l’intervista, sono circa 9 milioni, pari al
15,6% della popolazione. A primeggiare su tutte è sicuramente l’omeopatia: la terapia più utilizzata e integrata
con altre prassi convenzionali. Quattro
milioni (8,2%), secondo l’Istat, ricorrono
all’omeopatia. Seguono i trattamenti
manuali, scelti dal 7% delle persone,
la fitoterapia e l’agopuntura utilizzati
rispettivamente dal 4,8% e dal 2,9%
della popolazione e, infine, gli altri tipi
di terapie non convenzionali (1,3%).
I bambini fino a 14 anni sottoposti a
trattamenti non convenzionali sono circa
il 9,2%. Il tipo di trattamento più usato
è l’omeopatia, che riguarda il 7,7% dei
bambini.
Ma non solo: il 4,8% degli italiani
assume rimedi fitoterapeutici, il doppio
dei pazienti rispetto a soli dieci anni fa.
Sono più le donne (circa 5 milioni e
28
is a doctor (38%) that suggests this type
of treatments, particularly in case of elderly people (57.5%).
All of the person interviwed have been
asked if they considered unconventional
methods useful, even though they had
not tried personally. 39.8% of the sample
expresses a positive judgement on the
usefulness of at least one type of unconventional therapy, while 23.1% state
they are useless and 34.1% cannot give
any opinion. Among those who believe
that unconventional therapies are useful,
there is a common tendency to ascribe to
them a lower toxicity than conventional
therapies (71%); 22.6% think that they
are the only possible treatment for some
kind of diseases; 20.5% ascribe to them
a greater efficacy compared to conventional treatments; 13.2% state that these
therapies allow for a better doctor-patient
relationship.
Treatment of pain syndrome is the
main reason given by those who have
used acupuncture and manipolative techniques, respectively 59.3% and 63.8%,
while among those who use phytotherapy
a relevant percentage (44.1%) choose
it to improve the quality of life. The
resort to homoeopathy does not appear
to be associated with any specific pathologic condition. Those using homoeopathy remedies think it can treat pain
syndromes (30%), acute diseases (24%),
chronic diseases (11.8%), and is useful
to improve the quality of life (28.6%).
The level of satisfaction of those who
have tried unconventional therapies is
high: almost 70% of those who used
them state they had beneficial effects.
The most satisfied are the users of manipulative treatments (77.6%), while in this
group 17.7% state they had only partial
Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore
mezzo, pari al 18,2%) che gli uomini (3
milioni e mezzo, pari al 12,9%) a usare i
rimedi non convenzionali. La consumatrice tipo é tra i 35 e i 44 anni (25,4%).
Il fruitore è caratterizzato da una scolarità medio-alta. La propensione a far
uso dei metodi di cura non convenzionali
aumenta all’elevarsi del titolo di studio:
il 24,1% di chi è in possesso di una
laurea o di un diploma ha fatto ricorso
ad almeno un tipo di terapia non convenzionale, contro il 18,8% di coloro che
hanno la licenza media e l’11,2% di chi
ha conseguito la sola licenza elementare
o nessun titolo. Più alto è il titolo di
studio, maggiore è l’autodeterminazione
delle persone: nel 33,3% dei casi i laureati dichiarano di aver deciso autonomamente il ricorso alle terapie non
convenzionali, percentuale che scende al
18,5% tra coloro che hanno un titolo di
studio basso.
La distribuzione territoriale del fenomeno rileva alcuni dati significativi: nel
Nord-Est, quasi un italiano su quattro
utilizza almeno una delle terapie non
convenzionali, al Centro uno su sei, al
Sud uno su quindici.
Il ricorso a queste terapie è comunicato al proprio medico curante nel 59,6%
dei casi. Ed è interessante notare come
il 30,9% del campione si sia rivolto al
mondo dell’alternativo su indicazioni di
persone amiche e non di un medico.
Notevole è anche l’incidenza sul campione di coloro i quali “fanno da sé”: il
27,2%. Più spesso è invece un medico
(38%) a consigliare questi tipi di trattamento, soprattutto nel caso di persone
molto anziane (57,5%).
A tutti gli intervistati è stato chiesto
se ritenevano utili i metodi di cura non
convenzionali, anche se non li avevano
benefits and only 3.3% think they got no
benefit at all. High is also the percentage of satisfaction among the users of
phytotherapy (74.6% of satisfied people
versus 18.8% claiming only partial benefits). Similar are the percentages with
respect to homoeopathy (72.9% of satisfied patient versus 18.5% claiming partial benefits).
Conclusions
Given that many complementary medicine techniques are defined in terms of
a static historical tradition, discussing
recent advances in complementary medicine is almost a contradiction in terms.
None the less, few acquainted with
complementary medicine would deny
that substantive shifts in its scientific
base and organisational structure have
occurred recently.
These shifts might indicate that complementary medicine is becoming more
integrated. Integration means that similar
clinical, scientific, and regulatory standards are being applied across all forms
of health care. Integration has obvious
implications for: 1) access to and availability of care; 2) practitioners agreement
on their respective roles; 3) patients feeling they are receiving care as part of a
coordinated service.
As discussed above, unconventional
therapies represent valuable strategies,
particularly for the treatment of acute
and chronic pain. These can rarely be
exploited in a busy surgery or on a hardpressed understaffed ward, but could,
and should, form the basis of care
within multidisciplinary pain management clinics.
If the principles of alternative therapists could be combined with the effi29
M. Luchetti
sperimentati direttamente. Il 39,8% delle
persone ha espresso un giudizio positivo
sull’utilità di almeno un tipo di terapie
non convenzionali, il 23,1% le definisce
non utili e ben il 34,1% non sa esprimere alcun giudizio. Per chi ritiene utili
le terapie non convenzionali è generale
la tendenza ad attribuire a queste una
minore tossicità rispetto alle terapie tradizionali (71%); ben il 22,6% delle persone ritiene inoltre che siano l’unica
possibilità di trattamento per alcuni tipi
di patologie; il 20,5% attribuisce una
maggiore efficacia rispetto alle terapie
convenzionali; il 13,2% afferma che
queste terapie consentono un miglior
rapporto tra medico e paziente.
La cura di sindromi dolorose è il principale motivo addotto da quanti hanno
fatto ricorso ad agopuntura e trattamenti
manuali, rispettivamente il 59,3% e
63,8%, mentre tra coloro che utilizzano
la fitoterapia una quota rilevante (44,1%)
vi ricorre per migliorare la qualità della
vita. Il ricorso all’omeopatia non appare
associato ad alcuna specifica condizione
patologica. Chi usa rimedi omeopatici
ritiene di poter curare in questo modo
tanto le sindromi dolorose (30%) che
le patologie acute (24%) o croniche
(11,8%) e ben il 28,6% degli utilizzatori
usa trattamenti omeopatici per migliorare la qualità della vita.
È elevato il livello di soddisfazione di
chi ha sperimentato le terapie non convenzionali: quasi il 70% di coloro i quali
hanno fatto uso dei diversi approcci terapeutici dichiara di averne avuto dei benefici. I più soddisfatti sono gli utenti dei
trattamenti manuali (ben il 77,6%), il
17,7% dichiara di aver avuto benefici
solo parziali e soltanto il 3,3 % ritiene
di non avere avuto alcun beneficio. Ele30
cacy of a carefully assessed, evaluated,
and flexible pharmacological regimen,
as well as with other conventional techniques, much of the misery of pain could
be reduced. Perhaps now is the time to
accept the limitations of conventional
medicine and a “one size fits all policy”
and to embrace a comprehensive multidimensional approach to pain management.
Each of us is free to believe or not to
unconventional medicine, according to
his/her own knowledge, experience, sensations. But what none of us should ever
forget is to always keep an open mind!!!
Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore
vata anche la percentuale di soddisfatti
tra coloro che hanno fatto uso di fitoterapia (74,6% di soddisfatti contro 18,8%
di chi dichiara benefici solo parziali).
Poco più basse le percentuali per ciò
che riguarda l’omeopatia (72,9% di soddisfatti contro 18,5% di persone che
dichiarano benefici solo parziali).
Conclusioni
Dato che molte tecniche terapeutiche
non convenzionali sono definite in termini di tradizione storica, necessariamente statica, discutere dei progressi
di queste terapie risulta quasi una contraddizione. Tuttavia, non si può negare
che dei passi sostanziali sono stati fatti
recentemente per quel che riguarda la
loro struttura organizzativa e le loro basi
scientifiche.
Ciò sembrerebbe indicare che le terapie non convenzionali stanno diventando
più integrate. Integrazione vuol dire che
simili standards clinici, scientifici e regolatori vengono applicati in tutte le forme
di scienze della salute. Da tale integrazione deriverebbero: 1) un miglioramento delle possibilità di accesso alle
cure e disponibilità delle stesse per tutti;
2) un accordo tra le varie figure professionali sui rispettivi ruoli; 3) la sensazione da parte del paziente di ricevere le
cure da un servizio coordinato.
Come abbiamo visto, le terapie non convenzionali rappresentano strategie importanti, in particolare per il trattamento del
dolore acuto e cronico. Queste raramente
possono essere intraprese in un reparto di
chirurgia o medicina dove il personale è
quasi sempre scarso e sotto pressione, ma
potrebbero e dovrebbero costituire le basi
della cura in una clinica per il trattamento
multidisciplinare del dolore.
Se i principi delle terapie non convenzionali potessero essere combinati
con l’efficacia di un regime farmacologico attentamente valutato e flessibile,
nonché con l’uso di altre tecniche di
tipo convenzionale, gran parte della sofferenza del dolore potrebbe essere evitata. Forse è tempo di riconoscere i limiti
della medicina convenzionale, in particolare della politica secondo la quale
“una misura va bene per tutti”, e abbracciare un approccio olistico multidimensionale al trattamento del dolore.
Ognuno di noi è libero di credere o
non credere alla medicina non convenzionale, in base alle proprie conoscenze,
esperienze e sensazioni. Ma quello che
nessuno di noi dovrebbe mai dimenticare è di mantenere sempre una mente
aperta!!!
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REVIEW SU INVITO / INVITED REVIEW
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia
intensiva: il punto di vista del nefrologo
A review of acute renal failure in intensive care
unit: the nephrologist’s viewpoint
MARCELLO BECCARI
Struttura Complessa Nefrologia e Dialisi - Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli ed Oftalmico, Milano
Introduzione
Introduction
’insufficienza renale acuta (ARF)
complica di circa il 5% i ricoveri
ospedalieri e del 30% i ricoveri in
terapia intensiva (ICUs).
La ARF è classificata in: 1. azotemia
prerenale (70% circa dei casi), quale
risposta fisiologica all’ipoperfusione
renale, con conservazione dell’integrità
del tessuto renale; 2. azotemia intrinseca
renale (25% circa), provocata dall’ischemia e/o da tossine; 3. azotemia postrenale (5%) (1, 2).
L’azotemia intrinseca si sviluppa in
caso di “vera” e protratta ipovolemia (a
seguito di emorragia, vomito, diarrea,
poliuria grave, ustioni, febbre elevata)
e/o quando oil reale volume circolatorio
è diminuito per lungo tempo (a seguito
cute renal failure (ARF) complicates about 5% of admissions to
hospital and 30% of admissions
to intensive care units (ICUs).
ARF is conveniently classified as: 1.
prerenal azotemia (about 70%), a physiological response to renal hypoperfusion in which the integrity of renal
tissue is preserved; 2. intrinsic renal azotemia (about 25%), induced by ischemia
and/or nephrotoxins; 3. postrenal azotemia (5%) (1, 2).
Intrinsic azotemia develops in cases
of protracted “true” hypovolemia (hemorrhage, vomiting, diarrhoea, diuresis,
burns, hyperpyrexia) and/or protracted
decreased “effective” circulatory volume
(cardiac or liver failure, nephrotic syndrome, sepsis) and can be drug-induced
by NSAIDs, ACEIs and several other
medications. Intrinsic causes are categorized according to the primary site
of injury (tubules, interstitium, vessels
or glomerulus). However, most cases
(around 90%) are classically associated
L
Address for reprints
Indirizzo per la richiesta di estratti
MARCELLO BECCARI
S.C. Nefrologia e Dialisi
A.O. Fatebenefratelli e Oftalmico
Corso di Porta Nuova, 23
20121 Milano, Italia
ACTA ANAESTH. ITALICA
55, 33-78, 2004
A
33
M. Beccari
di scompenso cardiaco o epatico, sindrome nefrosica, sepsi), e può essere
provocata da molti farmaci tra i quali i
NSAIDs e ACELs.
Le cause intrinseche sono definite in
primo danno creato al rene (tubulo,
interstizio, vasi o glomeruli) e in molti
casi (circa 90%) sono associate con una
necrosi acuta del tubulo (ATN).
Nell’azotemia prerenale, la quantità di
urine emesse è scarsa mentre nella ATN è
variabile (sindrome oliguria o non oliguria). Oliguria è arbitrariamente definita
la produzione di una quantità inferiore
a 400ml di urine nelle 24 ore mentre si
parla di anuria se la diuresi si riduce a
meno di 100 ml al giorno.
Tra l’azotemia prerenale e l’azotemia
intrinseca, è riconosciuta sempre più
frequentemente una “sindrome intermedia” frequente nel malato con ARF non
di orgine ischemico o nefrotossica, che
risponde in parte all’infusione di liquidi
e che probabilmente rappresenta una
forma lieve di ATN.
I principali meccanismi patogenetici
chiamati in casusa nella ARF di orgine
ischemica sono:
1. ipoperfusione corticale azotemia
prerenale;
2. ipoperfuisione midollare
sindrome intermedia;
3. ischemia midollare ATN;
4. ischemia corticale
necrosi corticale.
Gli indici urinari che permettono di
distinguere la forma prerenale dalla ATN
sono descritti nella tabella.
L’interpretazione degli indici renali
richiede grande cautela. Il materiale urinario dovrebbe essere raccolto prima del
riempimento volemico e dovrebbe essere
usato soltanto se i campioni di urine e
34
with acute tubular necrosis (ATN) and,
as a result, the term ATN is commonly
employed to denote intrinsic azotemia.
Urine output is low in prerenal azotemia and variable in ATN (oliguric and
nonoliguric pattern).
“Oliguria” is arbitrarily defined as the
production of less than 400 ml of urine
in 24h. The production of less than 100
ml of urine is termed “anuria”.
Between prerenal azotemia and intrinsic azotemia, an “intermediate syndrome” is being increasingly recognized:
patients with non-oliguric ischemic or
nephrotoxic ARF, partial response to
fluids challenge, and probably represents
a milder form of ATN.
Postulated major pathogenetic mechanisms of ischemic ARF are the following:
1. cortical hypoperfusion
prerenal
azotemia;
2. medullary hypoperfusion
intermediate syndrome;
3. medullary ischemia ATN;
4. cortical ischemia
cortical necrosis.
Urinary indexes and findings can help
distinguish prerenal failure from ATN
(see table).
Interpretation of urinary indexes
requires caution. Urine specimens should
be collected before the use of fluid
replacement, and can be used only if urine
and serum samples are obtained before
administation of loop diuretics or mannitol and dopamine, and if underlying
chronic renal failure CRF) and urinary
tract obstruction have been excluded.
Moreover, the urine must not contain
glucose or radiographic contrast material.
About 5 to 20% of oliguric patients
have urinary indices that fall into the
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
U Na (mmol/L)
FE Na *
Prerenal ARF
Intermediate syndrome
ATN (oliguric)
< 20
20-40
> 40
<1
1-2
>2
Urinary specific gravity
> 1020
1010-1020
< 1010
U osm (mosmol/kg H O)
> 500
350-500
< 350
U/P osm
> 1.5
1.1-1.5
< 1.1
U/P creat
> 40
20-40
< 20
U/P urea
>8
3-8
<3
P urea/P creat
> 10
< 10
Urine sediment
Proteinuria
normal or occasional
granular casts
hyaline and granular casts
cellular debris
0+ to 1+
1+ to 2+
* FE Na (% fractional excretion of Na) = the ratio U/P Na to U/P creatinine x 100
In our opinion, calculating FE Na adds little to the urinary concentration of sodium (U Na)
di siero sono stati prelevati prima della
somministrazione di diuretici, mannitolo e dopamina, e quando una preesistente insufficienza renale cronica (CRF)
o un’ostruzione delle vie escretorie urinarie è stata esclusa. Inoltre, le urine non
devono contenere glucosio o materiale
di contrasto radiologico.
Il 5-10% dei malati oligurici presentano indici urinari non chiaramente patologici e quindi caratterizzano la sindrome
intermedia.
Prima dello sviluppo delle terapie dialitiche, le più frequenti cause che portavano a morte il malato con ARF erano
l’uremia, l’iperpotassiemia e il sovraccarico di circolo. Con l’avvento della
dialisi, le più frequenti cause di morte
sono dovute alla sepsi e all’insufficienza
cardiorespiratoria:
La mortalità per ATN permane oltre il
50% e negli ultimi 40-50 anni si è poco
ridotta nonostante il supporto terapeutico avanzato. La persistenza dell’elevata mortalità è legata probabilmente
all’evoluzione della patologia di base che
overlap zone, called intermediate syndrome.
Before the development of dialytic
therapies, the most common causes of
death were uremia, hyperkalemia and
complications of volume overload. With
the advent of dialysis, the most common
causes of death are sepsis and cardiovascular and pulmonary dysfunction.
The mortality rate from ATN continues
to be around or greater than 50% and has
changed little over the past 40-50 years,
despite significant advances in supportive care. The persistence of such high
mortality is probably the evolution of the
disease spectrum underlying the development of ATN (older or more complex
patients, frequently in association with
multiorgan system failure - MOF). Mortality rates differ, however, depending
on tha cause, being approximately 7%
among patients admitted to hospital with
prerenal azotemia, about 15% in obstetrics patients, about 30% in toxin-related
cases, and around 60% after trauma or
major surgery.
35
M. Beccari
hanno portato alla ATN (malati anziani
o con patologie molto complesse, spesso
associate ad insufficienza multiorgano
– MOF). La mortalità differisce in rapporto alla causa, essendo approssimativamente del 7% nei malati ricoverati con
azotemia prerenale, del 15% nelle patologie ostetriche, del 30% nelle tossicosi
e del 60% circa dopo trauma o chirurgia
maggiore.
La ARF per se stessa rappresenta un
fattore di rischio specifico e indipendente per la prognosi negativa (3, 4), ma
quando la ARF si sviluppa in presenza
di una MOF e in special modo in malati
affetti da grave ipotensione e ARDS, la
mortalità aumenta sino al 50-80%. Nei
malati settici la mortalità è del 74.5%
mentre nei non settici è del 45.2% (5).
Dei malati che sopravvivono ad un episodio di ARF in terapia intensiva, tra il
5% e il 30% restano per lungo tempo
in dialisi senza una guarigione completa
(6).
In una indagine condotta in 16 terapie
intensive in Scozia, in un lasso di tempo
di due anni, la mortalità rilevata è stata
del 64% nei malati che hanno ricevuto
sia la terapia di rimpiazzo renale (RRT)
sia la ventilazione artificiale: La mortalità è stata del 64.2% e l’insufficienza
renale finale è stata riscontrata nell’1.6%
dei sopravvissuti alla ARF e nel 33% dei
sopravvissuti per precedente CRF (7).
Indagini diagnostiche nella ARF
Sonografia (US)
Viene principalmente impiegata per
escludere le ostruzioni renali e per evidenziare l’idronefrosi. La certezza diagnostica non è sempre assicurata.
È stata descritta la ARF da ostruzione
36
ARF per se represents a specific and
independent risk factor for poor prognosis (3, 4), but when ARF occurs in the setting of MOF, especially in patients with
severe hypotension or ARDS, the mortality rate ranges from 50 to 80%.
Moreover, mortality was reported
higher in patients with septic ARF
(74.5%) than in those whose ARF did
not result from sepsis (45.2%) (5).
Of patients who survive an episode of
ARF in the ICU, 5% to 30% will remain
on long-term dialysis therapy without
renal recovery (6).
In patients receiving both renal replacement therapy (RRT) and mechanical ventilation in 16 Scottish ICUs over a 2-year
period, the mortality rate was 64.2%,
end-stage renal failure (ESRF) developed in 1.6% of the survivors of ARF
and in 33% of the survivors with preexisting CRF (7).
Imaging techniques in ARF
Sonography US
The generally accepted value of US
is largely to exclude renal obstruction.
US is accurate in detecting hydronephrosis. However, false-negative results may
occur. ARF due to bilateral obstruction
with nondilated urinary tract has been
reported.
The renal size may increase in ATN,
interstitial nephritis and acute glomerular
nephritis. Most patients with nonobstructive ARF have normal renal echogenicity but sometimes hyperechogenicity,
increased parenchymal thickness and
increased corticomedullary differentiation are seen.
Duplex Doppler US
Most patients with ATN reveal mark-
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
bilaterale dei tratti urinari non dilatati. La
dimensione del rene può aumentare nella
ATN, nella nefrite interstiziale e nella
glomerulonefrite acuta. Molti malati con
ARF di origine non ostruttiva hanno
una normale ecogenicità ma qualche
volta possono presentare iperecogenicità,
aumento dello spessore parenchimale e
della differenziazione corticomidollare.
Duplex Doppler ultrasonografia
Molti malati con ATN presentano un
anormale profilo del flusso al Doppler,
un aumento della pulsatilità o una perdita del flusso diastolico, e un elevato
indice resistivo renale (RI). Nell’anziano
disidratato con nefrosclerosi ipertensiva,
di freqeunte riscontro clinico, è presente
un’elevato RI per una preesistente patologia renale. Variazioni nelle curve di
onda del Doppler simili a questa condizione clinica si possono vedere nella
ARDS legata a varie cause che includono la sepsi, l’ipovolemia, la rabdomiolisi, l’assunzione di farmaci tossici e
nella MOF.
Questo tipo di indagine diagnostica è
stato impiegato quale metodica non invasiva nella diagnosi di ostruzione renale
ed un’ importante caduta della RI è stata
segnalata dopo nefrectomia.
Color e Power Doppler US
Entrambe le metodiche permettono
un’ottima valutazione del sistema vascolare renale e facilitano il riconoscimento
di una significativa ma non specifica
riduzione della perfusione renale.
TAC con e senza mezzo di contrasto
L’esame TAC può aggiungere importanti informazioni nella maggior parte
di malati nei quali la sonografia si era
dimostrata non risolutiva.
edly abnormal Doppler flow profiles,
increased pulsatility or loss of the diastolic flow, and an elevated renal resistive
index (RI). However, in elderly dehydrated patients with hypertensive nephrosclerosis, a common situation in clinical
practice, an elevated RI value is usually present, due to preexisting renal
parenchymal disease. Moreover, similar
changes in Doppler waveforms may be
seen from a variety of causes of ARF,
including sepsis, hypovolemia, rhabdomyolysis, nephrotoxic drug intake and
MOF.
Duplex Doppler sonography has been
reported to be a useful noninvasive technique for the diagnosis of renal obstruction, and a significant fall in RI is
reported after nephrostomy.
Color-Power Doppler US
Color Doppler and power Doppler US
equipment allow excellent evaluation of
renal vasculature. A significant, but nonspecific, reduction of renal perfusion is
usually appreciable.
Unenhanced CT
and Contrast-enhanced CT
Unenhanced CT adds important information in the majority of patients with
indeterminate sonograms. Iodinated contrast agents are in general contraindicated in patients with ARF because of
the high risk of exacerbation of renal disease. Contrast-enhanced CT should be
performed only when US, unenhanced
CT and MRI are not available, or their
results are questionable. When contrast
imaging is needed, adequate hydratation
is mandatory, and nonionic low-osmolarity contrast media must be used. Risk
factors for contrast-induced ARF include
preexsisting renal impairment, diabetes
37
M. Beccari
I mezzi di contrasto iodati sono generalmente controindicati nei malati con
ARF per l’alto rishio di peggioramento
della patologia renale. La TAC con
mezzo di contrasto dovrebbero essere
effettuate soltanto quando la US, la
TAC senza mezzo di contrasto e la
Risonanza Magnetica non sono disponibili o quando i loro risultati sono dubbi.
Quando è necessario l’uso del mezzo
di contrasto, è indispensabile effettuare
un’adeguata idratazione e usare possibilmente un contrasto non ionico a
bassa osmolarità.
Fattori di rischio che possono provocare una ARF sono un preesistente
danno renale, il diabete mellito, le
malattie cardiovascolari, l’uso di diuretici, il mieloma multiplo, l’ipertensione,
l’ipeuricemia, la riduzione della massa
circolante e l’età avanzata.
Il meccanismo che crea la tossicità del
mezzo di contrasto non è completamente
conosciuto ma trae origine da differenti
fattori che includono le variazioni emodinamiche renali, la tossicità tubulare e
l’ostruzione intratubulare. In ogni caso,
il meccanismo vascolare sembra che
giochi un ruolo predominante. L’ischemia renale, specialmente se è interessata
la parte midollare, resta quale maggiore
origine della ARF se questa compare a
seguito di somministrazione di mezzo di
contrasto.
Risonanza magnetica
La MRI, nei malati affetti da ARF,
dovrebbe essere preferita alla TAC e a
tutte le altre metodiche che usano mezzi
di contrasto in quanto con l’impiego del
gadolinio non sono stati segnalati danni
da nefrotossicità.
38
mellitus, cardiovascular diseases, use of
diuretics, multiple myeloma, hypertension, hyperuricemia, volume depletion
and advanced age. The mechanism of
contrast nephrotoxicity is incompletely
known, and involves multiple factors
including renal hemodynamic changes,
tubular toxicity and intratubular obstruction. However, the vascular mechanism
seems to play a leading role. Renal
ischemia, especially in the medulla,
remains the main explanation of contrast
medium-induced ARF.
Magnetic Resonance Imaging (MRI)
MRI should be preferred to contrastenhanced CT and other contrastographic
techniques in patients with ARF, because
no significant nephrotoxicity is reported
with the use of gadolinium.
Role of renal biopsy in ARF
In general, renal biopsy is not necessary in the evaluation and therapy
of patients with ARF. However, when
the history, clinical features, and laboratory and radiologic investigations have
excluded prerenal and postrenal causes
and suggest a diagnosis of primary renal
disease other than ischemic or toxinrelated ARF, a kidney biopsy may establish the diagnosis and guide therapy.
Dialisis treatment: open issues
Several key questions have yet to be
answered:
1. when should HD be started?
2. how intensively should patients be
treated? that is, what is the optimal dose
of dialysis? (extrapolation of required
dialysis dose from recommendations in
chronic dialysis is unlikely to be appro-
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
Dialysis technique nomenclature
Abbreviation
Definition
Description
IHD
Intermittent hemodialysis
4 h in alternate-day schedule;
blood flow rate at 250-350 ml/m’;
dialysate flow rate at 500 ml/m’;
solute removal (transport mechanism)
is mainly by diffusion
DD
Daily dialysis
intermittent, 2-3 h, but more frequent than
IHD, by increasing treatment frequency
CAVH
Continuous arteriovenous
hemofiltration
driving force is patient’s blood pressure or
external pump; ultrafiltrate produced is
CVVH
Continuous venovenous
hemofiltration
replaced with a replacement solution;
ultrafiltration in excess of replacement
results in patient volume loss; solute
removal is through convection
HVHF
High-volume hemofiltration
adaptation of CVVH, using ultrafiltration
rates of 2.0 to 4.0 L/h
CAVHD
Continuous arteriovenous
hemodialysis
driving force is patient’s blood pressure or
external pump; dialysate solution is delivered
CVVHD
Continuous venovenous
hemodialysis
across membrane countercurrent
to blood flow at a rate slower (1 to 2 L/h)
than blood flow rate; fluid replacement
isnot routinely administered; solute removal
is by diffusion and convection
SLEDD
Slow extended daily dialysis
intermittent, 6-12 h hemodialysis,
with aslow blood and dialysate flow rate
EDD
Extended daily dialysis
intermittent, 6-8 hemodialysis, with a
low dialysate and blood flow rate
CAVHDF
Continuous arteriovenous
hemodiafiltration
driving force is patient’s blood pressure or
external pump; dialysate solution is
CVVHDF
Continuous venovenous
delivered across membrane countercurrent
to blood hemodiafiltration flow at a rate
slower (1 to 2 L/h) than blood flow rate;
ultrafiltration volumes are optimized to exceed
desired weight loss and enhance solute clearances
from convection; fluid losses are replaced
in part or completely with replacement
solution; solute removal is both diffusive
and convective
CPD
Continuous peritoneal dialysis
fluids from sterile bags are infused into
the peritoneal cavity, at variable volumes;
solute removal by diffusion and convection
39
M. Beccari
Characteristics of various types of renal replacement therapy for ARF
Type
Complexity
Efficiency
Volume control
Use in ICUs
IHD
+
+
+
+++
DD
+
++
++
++
CAVH
++
+(+)
++
–/+
CAVHD
++
++(+)
+++
–/+
CVVH
+(+)
++
++
++
HVHF
++
++(+)
++
+
CVVHD
++
++(+)
+++
+
SLEDD
+(+)
++
++
+
EDD
+(+)
++
++
+
CAVHDF
+++
+++
+++
–/+
CVVHDF
+++
+++
+++
++
+
–/+
–/+
–/+
CPD
Ruolo della biopsia renale nella ARF
La biopsia renale non è necessaria
nella valutazione e nel trattamento del
malato affetto da ARF ed essa può essere
utile per migliorare la diagnosi e a indirizzare la terapia quando l’anamsesi, il
quadro clinico, gli esami di laboratorio e
radiologici hanno escluso una causa prerenale e postrenale.
Trattamento
Parecchie questioni chiave non hanno
ricevuto ancora oggi una risposta ed in
modo particolare:
1. Quando dovrebbe essere iniziata
l’emodialisi?
2. Come dovrebbe essere trattato intensivamente il malato?
3. Quale è la dialisi ottimale?
4. È meglio effettuare un maggior
numero di dialisi?
5. Quale è la migliore membrana dialitica? (cellulosa vs. la sintetica: PAN/
AN-69, PMMA, polysulfone).
40
priate because of the lack of a steady
state)
3. which type of dialysis is best?
(conventional intermittent hemodialysis
- IHD vs continuous renal replacement
therapies - CRRTs)
4. is more HD better?
5. which type of dialysis membrane
is best ? (cellulose vs synthetic noncellulose: PAN/AN-69, PMMA, polysulfone).
Although CRRTs have a theoretical
advantage compared with IHD in critically ill and hemodynamically unstable
patients with sepsis and/or MOF (better
hemodynamic tolerance due to a more
gradual fluid and solute removal), there
are no studies to support a beneficial
effect on mortality compared with IHD.
Peritoneal dialysis techniques continue to occupy a small niche for RRT
in this setting, particularly in pediatric
patients.
J.J. Haitsma, R.A. Lachmann, B. Lachmann
Nonostante le CRRTs abbiano nel
malato critico ed emodinamicamente
instabile per sepsi e/o per MOF (migliore
tolleranza emodinamica per la graduale
rimozione dei liquidi e dei soluti) un vantaggio teorico verso le IHD, non ci sono
studi che supportano gli effetti benefici
sulla mortalità con IHD.
La dialisi peritoneale continua ad occupare una piccola nicchia terapeutica per
la RRT, specialmente nei bambini.
Impiego degli anticoagulanti
nella CRRT
La scelta dell’anticoagulante dovrebbe
avvenire in rapporto alle caratteristiche
del malato, all’esperienza degli operatori, alla facilità della monitorizzazione
e alla tipologia dei farmaci. La scoagulazione sistemica dovrebbe essere effettuata con eparina (dosaggio standard
non frazionato) LMWH, eparinoidi sintetici, prostacicline ed analogi o inibitori
diretti della trombina (irudina, argatrobano, nefamostato mesilato). Non esiste
unanime consenso su quale anticoagulante dovrebbe essere impigato come
prima scelta. L’eparina non frazionata è
ancora il maggior agente anticoagulante
impiegato nei malati dializzati sia cronici sia acuti, che presentano una emostasi e un numero di piastrine normali.
Nei malati che presentano un’auto-scoagulazione o che sono a rischio di sanguinamento, si ritiene che il trattamento
possa essere fatto con successo con qualsiasi anticoagulante (8).
Non è stato ancora completamente
chiarito quando le tecniche di rimpiazzo
renale senza anticoagulanti provochino
il consumo dei fattori della coagulazione o l’alterazione delle piastrine.
Anticoagulation in CRRTs
The choice of anticoagulant should
be determined by patient characteristics, local expertise, ease of monitoring (bed-side vs. specialized
laboratory tests), and pharmacy issues.
Systemic anticoagulation can be performed with heparin (standard unfractioned), LMWH, synthetic heparinoids,
prostacyclin and analogues, or direct
thrombin inhibitors (hirudin, argatroban, nafamostat mesylate). There is
no consensus currently on which anticoagulant should be the first choice.
Standard unfractioned heparin is still
the main antithrombotic agent for
chronic and acute HD patients with
normal hemostasis and normal platelet count. In patients who are autoanticoagulated or are at high risk of
bleeding, consensus exists that treatment can be carried out successfully
without any anticoagulation (heparinfree HD, often combined with saline
flushes, used for short-lasting procedures, although circuit life may be less)
(8). Whether renal replacement therapies (RRTs) without anticoagulation
results in consumption of clotting factors or in platelet dysfunction has not
been investigated. Regional heparinization combined to neutralization with
protamine and regional citrate anticoagulation are optional complicated procedures, with rebound bleeding some
hours after HD is completed (9).
Heparin-coated membranes (nonthrombogenic surfaces) have been shown to
prevent thrombus formation and prolong
filter life, with preservation of platelet
numbers (10, 11).
41
M. Beccari
L’eparinizzazione regionale, unita alla
neutralizzazione con la protamina, e
l’anticoagulazione regionale con citrato
rappresentano delle complicate procedure che possono portare al rischio del
sanguinamento da rebound dopo qualche ora dal termine della dialisi (9). Le
mebrane rivestite d’eparina (superfici
non trombogeniche) si dimostrato utili
nella prevenzione della formazione del
trombo e nel prolungare la durata del
filtro, con riduzione del danneggiamento
delle piastrine (10, 11).
Ruolo dei farmaci vasoattivi:
dopamina a basso dosaggio
Per prevenire e per trattare l’ARF nei
malati critici, è stata in passato largamente usata la dopamina a “dosaggio
renale” compreso tra 0.5 e 5 microgr/kg/
min (in genere 1-3 micrgr) associata o
meno alla dobutamina. Questo dosaggio
è stato a lungo ritenuto utile per provocare la vasodilatazione renale ed aumentare il flusso ematico renale. Studi clinici
controllati non ne hanno confermata la
sua validità e già dal 1994 il suo uso routinario è stato sconsigliato.
Nonostante queste osservazioni (2, 12-16),
la dopamina continua ad essere impiegata in terapia intensiva per i malati
affetti da ARF. Il ritenerla utile (senza
alcuna giustificazione) vale di più, in
questo caso del suo reale valore terapeutico.
Esistono sicure certezze sui suoi effetti
indesiderati quali la tachiaritmia (flutterfibrillazione atriale) ad un aumento dello
shunt polmonare, l’infarto miocardico,
l’ischemia locale e alla necrosi (specialmente se ‘infusione è fatta attraverso
42
Role of vasoactive agents
Low-dose Dopamine
For both prevention and treatment of
ARF in critically ill patients (CIPs),
dopamine at a “renal dose” from 0.5 to
5 (usually, 1-3) mcg/Kg/min, associated
or not with dobutamine, has been widely
used for inducing renal vasodilatation
and increasing renal blood flow. Clinical
studies have not, however, demonstrated
its efficacy, and only since 1994 has
its routine use been not recommended.
Regardless of these repetitive reservations expressed by various authors from
time to time but especially during the
last 10 years (2, 12-16), dopamine continues to be administered quite often in the
ICU to CIPs with ARF. The credence
of evidence presently on hand goes eloquently against the existence of renaldose dopamine and its role as a renal
protective agent. Moreover, legitimate
concerns exist in relation to potential
adverse effects, ranging from tachyarrhythmias (atrial fibrillation-flutter) to
pulmonary shunting, myocardial infarction, local ischemia and necrosis (especially during infusion through peripheral
veins), gut ischemia and necrosis (considered a key determinant of prognosis of
MOF), peripheral vascular ischemia and
digital necrosis, suppression of anterior
pituitary-dependent hormones, decreased
T-cell proliferation, CNS effects, pulmonary hypertension, impaired hypoxic
ventilatory responses, decreased gastric
motility, increased metabolic rate, and
increased weight loss. Additionally,
dopamine accumulates, leading to an
inaptly higher plasma level that could
have both alpha- and beta-agonist effects,
thus losing its so-called renal protective
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
una vena periferica), l’ischemia e alla
necrosi GUT (considerata determinante
nella prognosi della MOF), l’ ischemia
vascolare periferica e la necrosi delle
dita, l’inibizione degli ormoni dell’ipofisi anteriore, la riduzione delle T-cell,
gli effetti negativi sul sistema nervoso
centrale, l’ipertensione polmonare, lo
sviluppo di ipossia, la riduzione della
motilità gastrica, l’aumento del metablismo e la perdita di peso.
Inoltre, quando la dopamina si accumula può raggiungere livelli plasmatici
elevati mostrando effetti alpha e beta
agonisti e perdendo in questo modo il
cosidetto effetto protettivo renale. Dopo
2-3 giorni dall’inizio dell’infusione è
stata dimostrata una tolleranza agli effetti
vasodilatatori che aggiunge altre imprevedibili azioni farmacologiche.
In conclusione, nell’era della medicina
basata sull’evidenza, il fatto che la dopamina a basso dosaggio possa provocare
una vasodilatazione renale deve essere
rivisto stante le gravi complicanze che
possono far seguito al suo impiego.
Vasopressori
Esistono vari dubbi sul loro impiego
nella prima fase della ARF per la paura
che la vasocostrizione renale possa vanificare i benefici derivanti dall’aumento
della pressione del sangue.
Noradrenalina e dopamina ad alti dosaggi
Nei malati con shock settico, caratterizzati da una vasodilatazione sistemica
e dall’alterata autoregolazione renale, la
noradrenalina può migliorare il flusso
ematico renale. Parecchi studi non controllati hanno messo in evidenza un
aumento della diuresi e della filtrazione
effect. A tolerance to vasodilatatory
effects has been demonstrated within 2-3
days of initiating infusion, adding further
unpredictability to its pharmacological
action. In conclusion, in the era of evidence-based medicine, the speculative
viewpoint that low-dose dopamine could
have renal-sparing potential in high-risk
clinical situations does not prove pragmatic and ought to be reconsidered.
Vasopressors
Physicians have always be concerned
about their use for fear that intrarenal
vasoconstriction would abrogate the benefits of increased blood pressure.
Noradrenaline and High-dose dopamine
In patients with septic shock, characterized by systemic vasodilatation and
impaired renal autoregulation, noradrenaline (NOR) may be expected to improve
renal blood flow. Several non-controlled studies have shown an augmented
urine output and glomerular filtration
rate (GFR) (17). The only randomized
trial available reported that NOR administration resulted in higher blood pressure, systemic vascular resistance, and
diuresis than high-dose dopamine (18).
A prospective observational study found
lower mortality in patients treated with
NOR than in those treated with other
vasopressors,
mainly
high-dose
dopamine (19).
Vasopressin
Arginine vasopressin, administered in
two studies, increased blood pressure,
systemic vascular resistance, and cardiac and urine output (20, 21). However,
vasopressor-induced vasoconstriction in
many vascular beds with decreased vis43
M. Beccari
glomerulare a seguito della sua somministrazione (17). L’unico trial randomizzato disponibile riporta che la
somministrazione di noradrenalina procova un elevato aumento della pressione,
delle resistenze vascolari sistemiche e un
aumento della diuresi migliore rispetto
ad un’alto dosaggio di dopamina (18).
Uno studio prospettico ha dimostrao una
minore mortalità nel malati trattati con
noradrenalina rispetto a quelli trattati
con altri vasopressori, inclusa la dopamina ad alte dosi (19).
Vasopressina
In due studi, la vasopressina, derivato
dell’arginina, si è dimostrata utile nell’aumento della pressione ematica, delle
resistenze vascolari, della gittata cardiaca e della diuresi (20, 21). Nonostante
questi due studi, restano sostanziali perplessità sul rischio della riduzione del
flusso renale e viscerale a seguito della
vasocostrizione indotta da questo farmaco sul letto vascolare.
Fenoldopam
L’uso di questo farmaco, selettivo
dopaminergico dei recettori 1 agonisti,
evita la comparsa degli effetti indesiderati della dopamina e degli altri vasopressori. In un pccolo studio su 33 malati
in ventilazione artificiale e PEEP, il
fenodolpam ha mostrato un aumento del
flusso glomerulare e della diuresi (22). In
un recente studio randomizzato, il farmaco si è dimostrato utile per aumentare
il flusso ematico renale senza provocare
ipotensione (23). Comunque, non resta
chiaro se l’aumento del flusso ematico
renale da solo sia sufficiente per migliorare la funzione renale.
44
ceral and renal blood flow remains a current concern.
Fenoldopam
The use of this selective dopaminergic receptor-1 agonist may avoid some of
the negative side effects of dopamine and
other vasopressors. In one small uncontrolled study of 33 patients receiving
mechanical ventilation and positive endexpiratory pressure (PEEP), fenoldopam
was shown to increase both the GFR and
the urine flow (22). In a more recent randomized study, fenoldopam was shown
to increase renal blood flow without
causing hypotension (23). However, it is
unclear whether increases in renal blood
flow alone are adequate to salvage renal
function.
Loop diuretics in CIPs with ARF
High-dose loop diuretics (furosemide,
bumetanide, torasemide) are commonly
used in CIPs with early or established
ARF. The rationale for their use rests on
the assumption that they may (24):
– decreased oxygen consumption in
the tubular cells by inhibiting transcellular sodium transport and thus prevent or
limit ischemic cell injury;
– vasodilate cortical blood vessels and
improve oxygenation;
– increase tubular flow and reduce
intratubular obstruction and backleak of
glomerular filtrate into the renal interstitium by washing out cellular debris and
casts, thereby accelerating resolution of
ARF.
Several studies have pointed out the
limitations of diuretics for prevention
and treatment of patients with ARF.
The loop diuretics may be more effec-
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
Diuretici nelle CIPs con ARF
Alte dosi di diuretici (furosemide,
bumetanide, torasemide) sono comunemente impiegate sia in fase precoce sia a
ARF conclamata. Il razionale per il loro
impiego è legato al fatto che questi farmaci possono ridurre il consumo di ossigeno nelle cellule del tubulo mediante
l’inibizione del trasporto transcellulare
del sodio e quindi possono prevenire o
limitare il danno ischemico cellulare (24).
Inoltre possono dilatare i vasi della corticale e migliorare l’ossigenazione che
provoca un aumento del flusso tubulare,
ridurre l’ostruzione intratubulare e il
filtraggio del filtrato glomerulare nell’interstizio per mezzo del lavaggio dei
detriti cellulari, favorendo la risoluzione
della ARF. Parecchi studi hanno messo
in evidenza il limite dei diuretici nella
prevenzione e nel trattamento del malato
con ARF.
I diuretici possono essere più efficaci
e meno tossici se somministrati in infusione continua piuttosto che in bolo
(25, 26). Recentemente Lassnigg e coll.
Hanno dimostrato che l’infusione continua di furosemide può avere effetti
negativi sulla protezione della disfunzione renale dopo chirurgia cardiaca (16).
Nei malati settici, nonostante non siano
disponibili informazioni precise, i medici
dovrebbero essere scoraggiati nell’usare
i diuretici per prevenire la ARF.
Nei malati con ARF conclamata, i diuretici, se somministrati precocemente,
possono trasformare uno stato oligurico
in uno non oligurico. Anche se l’ARF
senza oliguria sia associata con una bassa
mortalità, si sa poco circa il miglioramento della sopravvivenza quando uno
stato oligurico è trasformato in non oligurico.
tive and less toxic when given as a continuous infusion rather than as a bolus
(25, 26).
Recently, however, Lassnigg et al have
shown that continuous infusion of furosemide was detrimental in the protection
of renal dysfunction after cardiac surgery (16). In septic patients, although no
specific information is available, physicians should be discouraged from using
diuretics in an effort to prevent ARF.
In patients with established ARF, if
administered early, diuretics can convert an oliguric to a nonoliguric state.
Although nonoliguric ARF is generally
associated with a lower mortality rate,
there is little evidence that conversion
from an oliguric to a nonoliguric state
leads to a decrease in mortality. Although
high doses of loop diuretics do not
affect the prognosis, conversion of oliguric ARF to nonoliguric ARF simplifies
patient management (more liberal fluid
intake, easier administration of parenteral
nutrition). However, the conversion does
not alter the natural history of the disease, but instead provides prognostic
information that patients have less
severe renal damage. Hence the use of
diuretics can only be justified to increase
urine output for fluid management, with
no expectation that these agents will
improve outcome (2).
No study to date has shown that diuretic-induced forced diuresis is associated with a higher risk of death or
nonrecovery of renal function in CIPs
with ARF, as the findings reported by
Metha et al (27). These authors concluded
that it is highly unlikely that diuretics
afford ARF patients any material benefits. However, the failure of response
to diuretics and necessity of nephrology
45
M. Beccari
Sebbene le alte dosi di diuretici non
influenzano la prognosi, la conversione
della ARF da oligurica a non oligurica
semplifica il trattamento del malato
(somministrazione di liquidi senza limitazioni, più facile alimentazione parenterale). Comunque, la conversione non
fa variare la storia naturale della malattia, ma al contrario fornisce informazioni
prognostiche circa la gravità del danno
renale, per cui, l’uso dei diuretici può
essere soltanto giustificato per aumentare la diuresi senza però attendersi che
questi farmaci possano migliorare la
sopravvivenza (2).
Non esitono attualmente studi che
dimostrano la diuresi forzata mediante
diuretici è associata ad alta mortalità o a
non guarigione, come riportato da Metha
e coll. (27). Questi autori concludono
che esistono parecchie possibilità per
cui i diuretici non apportino alcun beneficio per il malato.. In ogni caso, la non
risposta ai diuretici e la necessità della
consulenza nefrologica dovrebbero rappresentare un segnale della gravità del
danno renale.
Fintanto che un ampio studio clinico
controllato non potrà adeguatamente
rispondere al quesito se i CIPs sono trattabili con i diuretici, la somministrazione
routinaria di questi farmaci, e in special
modo in questo tipo di malati, deve
essere scoraggiata e il medico dovrebbe
riflettere prima di prescrivere i diuretici
nel trattamento delle CIPs con ARF.
Un tentativo terapeutico che preveda
alte dosi di diuretici in un malato oligurico dovrebbe essere effettuato dopo
una attenta correzione dell’ipovolemia,
dovrebbe essere limitato nel tempo e
in particolare non dovrebbe ritardare un
consulto con un nefrologo esperto in
46
consultation would be markers of severity of renal failure, not lack of utility of
diuretics in all patients. As a possible
explanation of their findings, the authors
suggested that use of diuretics to convert
an oliguric form to a nonoliguric form
of ARF may have delayed the recognition of ARF or underestimated its severity, thus delaying the time required for
obtaining consultation with the nephrologist or initiation of RRT. However, it
is possible that the higher mortality was
not associated with diuretics use but may
have been related to, for example, dialysis therapy. Furthermore, many patients
were not adequately hydrated, despite
receiving diuretics. Finally, since the
mean age and the prevalence of congestive heart failure and respiratory failure were higher among patients who
received diuretics, some of these patients
must have been more ill than those constituting the comparison group, even
though both groups had similar APACHE
II and III scores.
Despite these limitations, the study
by Mehta et al is timely and clinically
important because administration of diuretics to oliguric patients in the ICU is
still a relatively common practice.
Until data from a sufficiently powered clinical trial can properly answer
the question of whether CIPs are harmed
by loop diuretics, the practice of routine
administration of these agents to such
patients should be discouraged, and physicians should think twice before prescribing loop diuretics for CIPs with
ARF. A trial of high-dose loop diuretics
in an oliguric patient should only be
attempted after careful correction of
the volume status, should be limited in
time and, more importantly, should not
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
ARF e posporre la dialisi quando essa è
necessaria (28).
Cause di insufficienza renale acuta in
terapia intensiva
Il quadro clinico della ARF in terapia
intensiva, paragonato ad altri contesti
clinici, è molto differente da quanto
comunemente si ovversa. La CIP sviluppa la ARF principalmente come parte
di una sindrome di disfunzione multiorgano (MODS), mentre la sola ARF si
presenta generalmente nel malati fuori
delle terapie intensive.
ARF nella sepsi
La sepsi è caratterizzata da una risposta infiammatoria generalizzata (SIRS)
e dall’attivazione dei fattori della coagulazione e della fibrinolisi che provoca un
danno endoteliale. Un ampio numero di
mediatori sono liberati nella circolazione
sistemica (citokine, fattori di attivazione
delle piastrine, metabolici dell’acido arachidonico, endotelina 1, componenti del
complemento). L’ipotensione sistemica
che provoca l’ischemia renale è un fattore, ma non il solo, che contribuisce
alla ARF nel malato settico. La vasocostrizione intrarenale, che porta ad uno
squilibrio tra sostanze vasocostrittrici e
vasodilatatrici, provoca una riduzione
del flusso renale e anomalie nella distribuzione del flusso che in modo preminente interessa la midollare più esterna.
Le cellule infiammatorie infiltrano il
rene producendo un danno locale da liberazione di radicali dell’ossigeno e proteasi, e dalla produzione più tradiva delle
citokine. Le turbe della coagulazione e
della cascata del fibrinogeno contribu-
postpone obtaining consultation with a
nephrologist experienced in ARF. Nephrologists and intensivists should also
realize that even successful conversion
of oliguria to diuresis only reflects the
existence of a milder form of ARF, has
no prognostic effect, and does not justify
postponing dialysis when needed (28).
Cause of ARF in the ICUs
The spectrum of ARF in the ICU,
compared with other settings, is indeed
different. CIPs develop ARF predominantly as part of a multiple organ dysfunction syndrome (MODS), whereas
isolated ARF is the usual presentation
for patients outside the ICU.
In India, recently, a one year prospective study was carried out in medical and
surgical ICUs. It showed an incidence
of 8.6% of ARF. This incidence was
highest in medical ICU (17.2%), followed by burns ICU (5.3%), pulmonary
ICU (5.2%), stroke ICU (4.4%), surgical ICU (3.1%) and least in coronary
ICU (1.3%). The ARF was attributable
to medical causes in 68%, followed by
surgery and trauma in 21.2%, burns in
5.6% and pregnancy related in 5.1%.
Septicemia was the commonest cause in
both medical (50%) and surgical (86%)
ICUs. MOF was present in 77.3% of
patients with ARF. Approximately 40%
required dialysis (29).
In Belgium, the incidence of ARF was
investigated in185 sepsis patients admitted in a surgical ICU during a 16-month
period. ARF developed in 16.2% of
the patients, and 70% of these needed
RRT. Age, need for vasoactive therapy,
mechanical ventilation, and RRT, but not
ARF itself, were associated with mor47
M. Beccari
iscono alla trombosi intraglomerulare.
Il danno tubulare porta alla distruzione
delle cellule che occludono il tubulo e
favoriscono le perdite tubulari (ATN).
La guarigione dalla ARF richiede
l’eliminazione delle cellule necrotiche
tubulari e dei detriti, così come la rigenerazione e la riparazione delle cellule
che non sono state lese definitivamente.
I trattamenti non dialitici disponibili
per il trattamento di questo tipo di malati
sono:
1. Liquidi (espansione polemica), vasopressori e diuretici
2. Trattamenti farmacologici specifici
con anti TNF- alpha, inibitori dei fattori
attivanti le piastrine, inibizione della
NO sintasi, antagonisti endoteliali, inibitori del metabolismo dell’acido arachidonico, ANP, inibizione dell’adesione
dei leucociti, fattori di crescita e inibitori della coagulazione quali laproteina
C attivata (33, 34).
Un primo problema è rappresentato
dell’impossibilità di utilizzare modelli
animali per poi poterli confrontare
poi con l’uomo. In secondo luogo, la
ARF nelle CIPs ha carattere eterogeneo legato a sepsi, ischemia, farmaci
nefrotossici e mezzi di contrasto radiologici. Un terzo ovvio problema è il
momento in cui s’interviene: la sepsi
e la ARF sono dei processi dinamici e
conseguentemente le strategie terapeutiche che possono essere appropriate
all’inizio dell’affezione, non lo sono
più in uno stadio più tardivo. Infine, la
complessità e la multifattorialità della
ARF da sepsi può richiedere lo sviluppo d’interventi multigraduati. Il successo della proteina C attivata, in virtù
della sua azione combinata sull’infiammazione, la coagulazione e la cascata
48
tality (30). In Greece, a retrospective 9
year period (1994-2003) study was performed, regarding elective open infrarenal abdominal aortic aneurysm repair.
Patients with preexisting severe cardiac
dysfunction and a list of intraoperative
factors (operative time, aortic clamping
time, suprarenal clamping, blood transfusion, hypotension, emerging oliguria)
were considered criteria for transfer from
the operating room to the ICU. Of 602
patients, 58 (9.6%) were recovered in
the ICU, either immediately or later on.
In this group of subjects, the mean ICU
length of stay was 4.2 days, and the
30 days’ mortality rate was 0.7% (4
patients) (31).
In South Africa, 72 cases of severe
preeclampsia (43% primiparous and 57%
multiparous) admitted to an obstetric
ICU were available for analysis. Only
10% of women required transient dialysis, and there were no cases of chronic
renal failure (CRF) that required chronic
dialysis (32).
ARF in sepsis
Sepsis is characterized by a generalized inflammatory response (SIRS), and
activation of the coagulation and fibrinolytic cascades, resulting in endothelial injury. A broad array of humoral
mediators are released in the systemic
circulation (cytokines, platelet activating factor, arachidonic acid metabolites,
endothelin-1, complement components).
Systemic hypotension, resulting in renal
ischemia, is a contributing – but certainly not the sole – factor in septic ARF.
Intrarenal vasoconstriction, owing to an
imbalance between vasodilatatory and
vasoconstrictory substances, results in a
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
fibrinolitica, illustra chiaramente questo
punto (24).
L’uso dei corticosteroidi nello shock
settico
L’impiego della terapia corticosteroidea nel malato con sepsi e con shock settico ha una lunga e controversa storia.
Iniziali risultati hanno suggerito un
miglioramento della sopravvivenza ma
studi successivi e metanalisi sono falliti
nel dimostrare un reale beneficio sulla
riduzione della mortalità ed hanno suggerito la possibilità che i corticosteroidi
potessero essere dannosi. In ogni caso,
parecchi piccoli studi hanno dimostrato
recentemente che il glucocorticoide può
arrecare un beneficio clinico in specifici
gruppi di malati con infezioni complicate
da ipotensione che non risponde all’infusione di liquidi e da disfunzione multiorgano. In particolare, l’elevata incidenza
dell’insufficienza adrenalina o la perdita delle riserve adrenaliche nella CIPs,
hanno suggerito un’alterazione dell’asse
ipotalamo, ipofisi, surrene, hanno prodotto un effettivo razionale per la somministrazione di basse dosi di corticosteroidi
in queste circostanze cliniche.
In uno studio multicentrico francese
condotto da Annane e coll. (35), a 7
giorni dall’inizio del trattamento con
basso dosaggio con idrocortisone (50
mg iv in bolo ogni 6 ore) e fludrocortisone (50 mcg il giorno in compressa)
ha ridotto significativamente la mortalità nei malati con shock settico e relativa insufficienza surrenalica senza far
aumentare gli effetti secondari.
La possibilità che la terapia cortisonica possa essere dannosa nel malato con
shock settico che mantiene un’adeguata
decline in renal blood flow and abnormalities in blood flow distribution that
predominantly affect the outer medulla.
Inflammatory cells infiltrate the kidney,
causing local damage by release of
oxygen radicals, proteases, and further
production of inflammatory cytokines.
Dysfunction of the coagulation and fibrinolytic cascades contributes to intraglomerular thrombosis. Tubular injury
leads to cell detachment with intratubular obstruction and tubular backleak
(ATN). Recovery from ARF requires
clearance of necrotic tubular cells and
debris, as well as regeneration and repair
of the nonfatally injured cells.
Non-dialytic treatment options are:
– fluids (volume expansion), vasopressors, diuretics
– specific pharmacologic treatment
with anti-TNF-alfa, inhibition of platelet-activating factor, inhibition of NO
synthase, endothelin antagonism, inhibitors of arachidonic acid metabolism,
ANP, inhibition of leukocyte adhesion,
growth factors, and inhibitors of coagulation as activated protein C (33, 34).
A first problem is the failure of animal
models to reproduce human disease. Secondly, ARF in CIPs is notoriously heterogeneous, resulting from a combination
of sepsis, ischemia, nephrotoxic drugs,
and radiocontrast agents. A third obvious
problem is the timing of intervention:
sepsis and ARF are dynamic processes
and, consequently, therapeutic strategies
that are appropriate early in the disease
process may lose their efficacy later on.
Finally, the complex and multifactorial
nature of septic ARF may require the
development of “multitargeted” interventions, The success of activated protein C, by virtue of its combined actions
49
M. Beccari
funzione surrenalica dovrebbe essere
presa in considerazione. In questi malati,
un test di stimolazione alla corticotropina
e non soltanto la valutazione del livello
del cortisolo serico, dovrebbe essere praticato prima di iniziare una terapia combinata con gluco e corticosteroidi.
Se il livello del cortisolo aumenta oltre
a 9 mcg/dl come risposta alla corticotropina, i corticosteroidi non dovrebbero essere iniziati e dovrebbero essere
sospesi per la possibilità d’effetti negativi collaterali (36, 37). In ogni caso, brevi
trattamenti a livelli fisiologici di corticosteroidi sembra arrechino limitati rischi
e dovrebbero essere iniziati mentre il
malato attende i risultati degli esami
intrapresi (37).
L’alto livello di glucosio controllato
con la terapia insulinica è stato recentemente associato ad un miglioramento
della sopravvivenza nelle CIPs (38) e
l’uso terapeutico del corticosteroide può
rendere il controllo della glicemia più
difficile. In ogni modo, data la possibilità della riduzione delle resistenze alle
infezioni, questo trattamento non deve
essere applicato per lungo tempo. L’uso
del cortisone richiede maggiori chiarimenti sia per le possibilità d’impiego sia
per le dosi ottimali da impiegare.
Trattamento delle CIPs con ARF:
tecniche intermittenti e continue
L’ARF rimane un grave problema per i
nefrologi e gli intensivisti anche se l’osservazione che la mortalità si è ridotta
nell’ultimo decennio può creare qualche
illusione. Negli anni le caratteristiche
della ARF sono cambiate, la gravità della
patologia di base e l’età del paziente
50
on the inflammatory, coagulation, and
fibrinolytic cascades, clearly illustrates
this point (24).
Corticosteroids in septic shock
The use of corticosteroid therapy in
patients with sepsis and septic shock
has a long and controversial history.
Early reports suggested that survival was
improved, but subsequent studies and
meta-analyses failed to show a mortality benefit and have even indicated
that steroid therapy may be harmful.
However, several small studies have
suggested recently that glucocorticoids
might afford clinical benefit to rigorously characterized groups of patients
with infection complicated by hypotension unresponsive to fluids and by organ
dysfunction. In particular, the high incidence of acquired adrenal insufficiency
or lack of adrenal reserve in CIPs, suggesting an altered hypothalamic-pituitary-adrenal axis, has provided a strong
rationale for the administration of lowdose corticosteroids in this setting.
In a multicentre trial from France by
Annane and colleagues (35), a 7-day treatment with low doses of hydrocortisone
(50 mg iv bolus every 6h) and fludrocortisone (50 mcg tablet one daily) significantly reduced the risk of death in
patients with septic shock and relative
adrenal insufficiency without increasing
adverse events. However, the possibility
that steroid therapy may be detrimental
in patients with septic shock who maintain adequate adrenal reserve should be
considered. A corticotropin stimulation
test, and not simply a random serum cortisol level, should be obtained in such
patients before beginning combined glu-
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
sono aumentate mentre terapie e diagnostiche più sensibili hanno permesso una
sopravvivenza più prolungata dei malati
affetti dalla patologia.
Nella pratica clinica si è rilevato una
variazione del “case mix” e quindi
è diventato più difficile trattare ARF
“pure” mentre i clinici si sono dovuti
confrontare con gravi MOF che includono insufficienza cardiaca, respiratoria, epatica e gastrointestinale associate
all’insufficienza renale.
Infatti, è mutata nel tempo la causa
di morte per questo questi malati non
muoiono più per iperpotassiemia, edema
polmonare e crisi ipertensive ma di
sepsi, scompenso cardiorespiratorio e
altre complicanze.
Malati con patologie multirogano sono
trattati sempre più spesso in terapia
intensiva con tecniche dialitiche continue o intermittenti. La mortalità in ogni
caso resta alta ma la situazione sta cambiando da quando le tecniche dialitiche
sono state introdotte più largamente nella
pratica clinica.
Sono possibili tre principali trattamenti:
1. La dialisi intermittente (IHD)
2. Le tecniche di CRRT
3. Le emodialisi ibride intermedie
(EDD, SLEDD).
cocorticoid and mineralocorticoid therapy. If serun cortisol levels increase by
more than 9 mcg/dl in response to
corticotropin, corticosteroids should not
be initiated or must be discontinued,
given the possibility of an adverse effect
(36, 37). However, short-term treatment
with physiologic levels of corticosteroids
appears to carry few risks and should
be initiated while the patient awaits the
results of diagnostic tests (37).
Tight glucose control with intensive
insulin therapy has been shown recently
to be associated with improved survival
in CIPs (38), and the therapeutic use
of corticosteroids may make attaining
this level of glucose control more difficult. Moreover, given the possibility
of decreased resistance to infection, this
treatment should not be used for prolonged periods. Additional investigations
characterizing more precisely the patient
subgroups or specific clinical situations
likely to benefit from steroid therapy, the
optimal dose of corticosteroids, and the
precise composition (glucocorticoid to
mineralocorticoid ratio) require clarification.
1. La dialisi intermittente (IHD)
giornaliera o a giorni alterni.
È un trattamento intensivo, applicato
per 2-5 ore ad intervalli variabili (3-7
volte la settimana, giornalmente o a
giorni prestabiliti). La più parte delle
metodiche sono basate sull’impiego di
membrane a bassi flussi, con alto flusso
ematico (Qb 250-350 ml/min) ed alto
dializzato (Qd 500 ml/min) che necessita
ARF remains, and will continue to
remain, a significant problem for many
nephrologists and intensivists. However,
the observation that mortality rates have
improved little over the past decades
may be somewhat misleading, because
over the years the spectrum of causes
of ARF has changed, the severity of
underlying illness and patient ages have
increased, and aggressive diagnostic and
Dialytic management of CIPs with
severe ARF
Intermittent vs Continuous techniques
51
M. Beccari
direttamente di un prodotto dializzante,
un modulo di trattamento dell’acqua e
un monitoraggio della dialisi. La dialisi
a giorni alterni rimane la più praticata ed
è quella maggiormente applicata negli
USA (39-40) cui spesso si fa riferimento.
I malati anurici normovolemici, stabili
emodinamicamente, sono stati trattati
con successo mediante dialisi giornaliera con bicarbonato standard (DD) (41,
42
). La IHD può potenzialmente provocare un’intolleranza emodinamica, uno
scarso controllo dei liquidi e metabolico, ma riduce l’impegno dei medici
e degli infermieri permettendo il trattamento contemporaneo di altri malati e
riducendo i bisogni del singolo. Comunque, è stato notato che la tolleranza
alla dialisi nella CIP è sostanzialmente
migliorata dopo la realizzazione di linee
guida che derivavano dal trattamento del
dializzato cronico (43).
2. CRRT
È una metodica molto costosa, applicata in modo continuo (da 24 a 72 ore,
per un lungo periodo) a basso flusso
ematico (Qb 200 ml/min), in larga parte
come terapia che si realizza attraverso
una membrana ad alto flusso, che necessita della sostituzione dei liquidi per
mezzo di contenitori speciali, richiede
l’immobilità del malato e la scoagulazione continua. Sono necessari alti
volumi di ultrafiltrato per garantire un
adeguato controllo metabolico, facendo
aumentare il rischio nel calcolo del bilancio idrico. I rischi maggiori sono dovuti
alla necessità di dosare perfettamente i
farmaci e alla possibilità di effetti indesiderati da lattato contenuto nei liquidi
di rimpiazzo.
52
therapeutic procedures have resulted in
a prolongation of previous fatal disease
states. Nowadays many patients are
older, have multiple co-morbid conditions, and frequently have more than one
organ failure. Therefore, there has been
a change in the patient case mix in clinical practice. Thus it is becoming less
common to manage “clean” ARF and
more commonly the clinician is faced
with MOF – any combination of respiratory, cardiac, neurological, hepatic, or
gastrointestinal failure with renal failure. In fact, changes have been observed
in cause of death over time; that is,
patients are no longer dying of hyperkalemia, pulmonary edema, and hypertensive crises, but are dying of sepsis,
cardiorespiratory failure, and other complications. These patients are not dying
of renal failure or its complications, but
“with renal failure”, although replacement therapies do not reverse all the
effects of renal failure and patients may
still be dying partially of renal failure,
which itself seems to increase the risk of
death.
These patients are more frequently
managed in the ICU with either intermittent or continuous dialytic techniques. The overall mortality rate in
CIPs with ARF requiring RRT has
barely improved and remains distressingly high after the early dramatic gains
when acute HD was introduced into
clinical practice.
Three treatment options are available:
1. classic Intermittent Hemodialysis
(IHD);
2. CRRT techniques;
3. Intermediate hybrid modalities
(EDD, SLEDD).
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
Il trattamento continuo appesantisce
notevolmente il carico di lavoro degli
operatori sanitari e può interferire negativamente con l’organizzazione della
terapia intensiva. Ciò spiega il perchè dell’attuale sviluppo di tecniche di CVVHD
ad alti volumi che risultano molto efficienti ma molto complesse e costose.
Il mutare gli accessi da artero-venoso a
veno-venosi, entrambi usati per la CRRT,
hanno imposto lo sviluppo di apparecchiature molto sofisticate (pompe per
il sangue e i dialisati, rilevatori di perdite di aria e di liquidi, monitor di pressione per questo molti dei vantaggi della
CRRT (impiego di personale non specializzato e semplicità d’uso) sono stati
perduti (44).
Le CIPs con ARF in terapia intensiva
possono essere trattate sia con la IHD
sia con la CRRT. Le terapie intermittenti sono maggiormente impiegate negli
Stati Uniti, mentre le modalità CRRT
sono più impiegate in Australia e alcuni
paesi dell’Unione Europea. In Inghilterra, le tecniche continue sono maggiormente impiegate nelle terapie intensive,
più comunemente quelle che prevedono
la CVVH con una ultrafiltrazione di 2.0
L/h, ed il 28% delle terapie intensive
usano un HF come trattamento complementare nello shock settico (45).
3. Modalità “ibride “ intermedie
(dialisi a bassa efficienza).
Recentemente, a seguito di quanto
detto in precedenza, sono state sviluppate “tecniche ibride” che combinano i
vantaggi della CRRT e la classica IHD.
Le CRRTs forniscono la clearance dei
soluti e le basse frequenze di ultrafiltrazione sono mantenute per lunghi periodi,
risultando in un miglioramento della sta-
1. Intermittent classic IHD (alternateday or daily dialysis-DD)
It is an intensive treatment, performed
for 2-5 h at variable intervals (3-7
times per week), daily or in conventional alternate-day schedule, mostly as a
mainly “diffusive” therapy across a lowflux membrane, with a high blood (Qb
250-350 ml/min) and high dialysate flow
(Qd 500 ml/min), which necessitates online dialysate production, a water-treatment module and a dialysis monitor.
Alternate day HD remains world-wide
the standard therapy in both ICU and
non-ICU settings and the most commonly used modality of RRT in North
America (39, 40).
Normovolemic hemodynamically stable
anuric patients were also treated successfully with short (3 hours) standard
bicarbonate daily dialysis (DD) (41, 42).
IHD nature can potentially lead to
hemodynamic intolerance, poor fluid
control and low metabolic control, but
reduces the burden for the nursing/
medical staff, and creates time for other
diagnostic/therapeutic out-of-unit procedures, often needed in this type of
patient. Moreover, it should be noted
that the hemodynamic tolerance of IHD
in CIPs was substantially improved after
implementation of guidelines derived
from chronic hemodialysis (dialysate
sodium modeling, ultrafiltration profiling, cooling of dialysate at 34.5°-36°C,
and higher ionized calcium concentration in the dialysate) (43).
2. CRRT
This is a more expensive technique,
performed continuously (from 24 to 72
hours, over a long time) at lower blood
flow rates Qb 200 ml/min), mostly as
53
M. Beccari
bilità emodinamica e in un maggior controllo dei soluti specialmente nei malati
iperazotemici. Di contro, la elevata clearance dei soluti durante IHD permettere
di interrompere la terapia rapidamente
senza compromettere l’efficacia dialitica
e limita i periodi di restrizione all’accesso del malato.
Le singole metodiche sono state combinate al fine di realizzare modelli nei quali
la IHD è effettuata mediante le comuni
apparecchiature dialitiche a flusso ematico e tempi di dialisi ridotti per trattamenti intermittenti ma prolungati.
Due tecniche sono state descritte:
1. Dialisi giornaliera a lento flusso
intermittente (SLEDD) (46-49);
2. Tecniche dialitiche estese (EDD)
(50-52).
Queste due tecniche possono essere
considerate un compromesso accettabile
nel malato anurico, ipovolemico e relativamente stabile emodinamicamente.
Nelle tecniche SLEDD e EDD, il classico approccio dialitico è applicato a
basso flusso ematico e dializzante per
un lungo periodo (6-12 ore per giorno).
Queste modalità offrono maggiore stabilità emodinamica, migliore correzione
dell’ipervolemia e una migliore clearance rispetto alla classica e breve IHD.
Il costo è minore rispetto la CRRT in
quanto si usa la stessa apparecchiatura
che si impiega per la IHD.
Sfortunatamente non sono disponibili
studi comparativi tra le due metodiche
rispetto agli altri approcci per questo
la SLEDD e la EDD devono attendere
ancora per essere considerate delle vere
nuove strategie.
54
“convective” therapy across a high-flux
membrane, which necessitates substitution fluids in bags, immobilization of
the patient and continuous anticoagulation. For adequate metabolic control,
high ultrafiltrate volumes are needed,
increasing the risk of errors in fluidbalance calculations. Difficulty in drug
dosing and possible side effects from
lactate-containing replacement fluids
are potential risk factors. Moreover, its
continuous nature has a heavy impact
on the workload of the staff, and may
disturb the already complex ICU organization. These drawbacks explain the
evolution over recent years from very
low efficiency, but easy-to-perform and
cheap CAVH to highly efficient, but
technically more complex and expensive high volume CVVHD treatment.
Changes from arteriovenous to venovenous access, together with the array
of CRRT modalities, have necessitated
the introduction of more sophisticated
equipment (blood and dialysate pumps,
air-leak detectors, pressure monitors,
blood leak detectors, and some of the
main advantages of CRRT (the use of
non-dialysis personnel and its simplicity) have been lost with these innovations (44).
CIPs with ARF in ICU may be treated
both with IHD and CRRT techniques.
Intermittent therapies are more frequently used in United States, while
CRRT modalities are more wide-spread
in Australia and in some European countries. In the United Kingdom, continuous
techniques are used by the majority of
ICUs, most commonly by CVVH with
an ultrafiltration rate of 2.0 L/h, with
28% of units using HF as adjuvant treatment in septic shock (45).
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
Tecniche CRRT
Sono state introdotte da Kramer nel
1997 per rimuovere il liquido extracellulare nei malati con edema refrattario
ai diuretici (53). Kramer descrisse un
metodo chiamato CAVH che derivava
dalla possibilità di impiegare l’arteria al
posto della vena femorale.
Le tecniche continue sono a bassa efficienza per questo il trattamento deve
essere continuo per essere adeguato. Le
CRRTs hanno parecchi vantaggi sulla
IHD nelle CIPs con ARF: migliore controllo metabolico, miglioramento dialitico che permette di rimuovere l’edema
in qualsiasi momento (miglior controllo
dei volumi), supporto nutrizionale più
aggressivo, migliorata stabilità emodinamica, graduale e continua rimozione dei
liquidi e dei soluti, rimozione delle citokine e altri mediatori nella sepsi e nella
MOF (54-57).
Le complicanze da CRRT, spesso
anche gravi, sono segnalate della tabella
1 e 2.
Le CRRTs hanno allargato le possibilità di trattamento del singolo rene a
quello di protezione di tutti gli organi
(58) ma resta ancora non chiaro il perchè
del miglioramento della sopravvivenza.
Esistono differenti opinioni su quale
forma di dialisi è da preferire in questa
categoria di malati. In ogni caso è da
confermare il benficio derivante dalla
CRRT nel miglioramento della sopravvivenza dei malati affetti da ARF in terapia intensiva.
Uno dei maggiori vantaggi della CRRT
è la presunta capacità dei filtri di rimuovere ed assorbire le citokine e gli altri
agenti mediatori dell’infiammazione nel
malato settico. Un recente studio ha
dimostrato che non esiste correlazione
3. Intermediate “hybrid” modalities
(sustained low efficiency dialysis)
Owing to the above-mentioned issues, it
is not surprising that “hybrid techniques”
have recently emerged that combine the
advantages of CRRT and classic IHD.
CRRTs provide low solute clearances
and rates of ultrafiltration which are
maintained for long periods, resulting
in improved hemodynamic stability and
superior solute control in even severely
azotemic patients. Conversely, the high
solute clearances during IHD allow interruptions to therapy to be easily offset
without compromise to the dialysis dose,
and convenient periods of unrestricted
access to the patient. Therapeutic components of both modalities have been
combined in the development of new
hybrid therapies, in which HD is delivered by conventional dialysis machines
with reduced blood and dialysis flow
rates, for intermittent but prolonged treatments.
Two techniques have been described:
1. intermittent sustained slow-extended
daily dialysis (SLEDD) (46-49);
2. extended daily dialysis (EDD) tecniques (50-52).
These two techniques may be considered an acceptable compromise in
anuric, hypervolemic and hemodynamically relatively stable patients.
In one report on EDD using low dialysate and blood flow rates, median treatment time per day was 7.5 hours (range,
6 to 8 hours), and authors found that
EDD was well tolerated, eliminated the
need for constant supervision, offered
many of the same benefits provided by
CVVH, and was technically easier to
perform (50).
55
M. Beccari
tra i mediatori rimossi e quelli presenti
nel sangue. Inoltre, la rimozione delle
citokine e degli altri fattori (e.g. interleukina 10, interleukina-1, recettori delle
necrosi tumorali) era uguale (59).
È da tenere presente che, la possibilità di rimuovere i mediatori non
specifici espone al rischio che anche
altre sostanze nutritive, quali albumina,
ormoni, vitamine, tracce d’elementi e
antibiotici, possono essere dializzate con
effetti negativi sul malato (24).
La CVVH non migliora la perfusione
splancnica nei malati settici ed instabili
emodinamicamente (60). Probabilmente
la migliore dialisi per i malati con ARF
in terapia intensiva deriva non tanto
dalla metodologia applicata ma dall’esperienza di chi la applica (44).
Le più gravi forme di ARF si riscontrano nelle terapie intensive dove oltre
il 25% dei malati sviluppa una ARF. La
mortalità raggiunge il 75-90% nei malati
con sepsi e del 35-45% dei malati che
non la sviluppano. La maggioranza di
questi malati non muore direttamente per
insufficienza renale ma per co-morbidità
associate (44).
Riguardo al miglioramento della
sopravvivenza, due metanalisi hanno
concluso che ci sono dati insufficienti
per stabilire la superiorità della CRRT
verso la IHD in pazienti affetti da CIPs
non selezionate (67, 68), eccetto alla ripresa
della funzione renale (68).
Perché la mortalità per CIPs rimane elevata anche dopo la dimissione dalla terapia intensiva, la sopravvivenza dovrebbe
essere valutata alla dimissione dall’ospedale o forse anche più tardi. Dall’altro
lato la guarigione renale è importante
perché permette al paziente di sospen56
In SLEDD and EDD techniques, a
classical dialysis hardware is applied at a
low blood and dialysate flow over a prolonged period of time (6-12 h per day).
These modalities offer greater hemodynamic stability, better correction of
hypervolemia and better clearances than
classical shorter IHD. The cost is lower
than for CRRT because the same machine
is applied as for IHD. Unfortunately,
no controlled studies that compare these
modalities with the other approaches are
available and, hence, more extended and
controlled studies should be undertaken
to validate SLEDD and EDD as new
strategies.
CRRT techniques
CRRTs were introduced by Peter Kramer
(Gottingen, Germany) in 1997 as a means
of removing extracellular fluid in patients
with edema refractory to diuretic agents
(53). Kramer described a new technique
called CAVH. The system originated from
an accidental puncture of the femoral artery
instead of the femoral vein.
Continuous techniques are mostly
rather low-efficiency techniques, and
therapy needs to be continuous in order
to be adequate. CRRTs have several theoretical advantages over IHD in CIPs
with ARF: superior metabolic control,
increased delivered dose of dialysis,
ability to remove fluids at any time
(better control of volumes), aggressive
nutritional support, improved hemodynamic stability, gradual and continuous
removal of fluid and solutes, removal of
cytokines and other inflammatory mediators in sepsis and MOF (54-57).
On the other hand, CRRT complications are not negligible (Table 1 and 2).
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
dere la terapia dialitica che riduce la qualità della vita.
Gli ulteriori e recenti sviluppi della
CRRT meritano una particolare attenzione specialmente nelle sepsi e nello
shock settico: emofiltrazione ad alto
volume (HVHF) (70,71). Questa metodica è un adattamento della CVVH ma
impiega una ultrafiltrazione di 2-4L/h,
sembra necessitare minor impiego di
vasopressori (72) e appare legata ad una
migliore sopravvivenza (73).
Due meetings internazionali sono stati
tenuti negli USA e in Europa sul trattamento renale e la terapia intensiva nefrologica dove sono stati presentati i dati
di un’indagine condotta tra nefrologi e
intensivisti (75).
– La terapia anticoagulante e gli accessi
arteriosi sono tra i più problematici nonostante nuove apparecchiature e membrane sono state poste sul mercato.
– La CRRT è usata spesso anche in
assenza di ARF per il controllo dei
liquidi, per lo scompenso cardiaco, per
l’ARDS e la sepsi.
Le cause dell’ARF sono state divise in
quattro ampi gruppi: 1. Mediche (ischemica, tossica, da mezzo di contrasto, da
farmaci, GN); 2. Chirugiche, 3. Ustioni,
4. Altre (trauma, shock, sepsi e MOF).
La CRRT è raramente impiegata per
il trattamento dell’ARF isolata mentre
spesso è impiegata in caso di complicanze associate. L’applicazione della
CRRT avviene tramite un accesso vascolare veno-venoso e mediante l’uso di
membrane sintetiche ad alto flusso (polisulfonati, AN 69). Soltanto pochi istituti
impiegano macchine complete per CRRT
e la terapia varia da istituto ad istituto.
Per le specifiche delle Consensus Conferences vedi il relativo testo in inglese.
TABLE 1. – Potential “technical” complications
from CRRT.
– vascular access malfunction
– circuit clotting
– catheter and circuit kinking
– line-catheter disconnection
– insufficient blood flow
– air embolism
– fluid balance errors
– loss of efficacy
TABLE 2. – Potential “clinical” complications
from CRRT.
– bleeding
– hematomas
– thrombosis
– infection and sepsis
– allergic reactions
– hypothermia
– nutrient losses
– insufficient blood purification
CRRTs have opened the door to the
concept that targeting renal support as
the only goal of extracorporeal blood
purification may be a simplicistic view
of our therapeutic aims. It has been
argued that it is now time to move from
the simple goal of achieving adequate
renal support to a multi-organ support
therapy (58).
In spite of this, it is not clear whether
these improvements result in a decreased
mortality rate. A considerable controversy exists as to which specific form of
dialytic support should be preferred in
this group of subjects. However, to date
a final proof that CRRTs improve outcome in ARF on the ICU has still to
be provided. It may be that “renal fail57
M. Beccari
Non c’è certezza sul momento di applicazione della RRT (sia intermittente sia
continua) e quando sospenderla. Probabilmente un inizio precoce migliora
l’esito finale (76-80). La più importante
questione che resta aperta con questa
metodica è quella della caratterizzazione
dei malati da trattare e le specifiche tecniche più sensibili.
Nonostante molti medici preferiscano
la CRRT alla IHD nella CIP con ARF,
non ci sono al momento dati sicuri per
motivare questa scelta (81). Entrambi i
metodi hanno vantaggi e svantaggi e
molte questioni resteranno insolute per
ancora altri anni. Il confronto tra la IHD e
la CRRT deve considerare: 1. l’efficacia
nell’ottenere un bilancio dei soluti e dei
liquidi in modo da mantenere la stabilità
emodinamica; 2. gli effetti sullo stato
nutrizionale, 3. L’impatto sulla mortalità, 4.la guarigione renale, 5. l’impatto
sull’outcome finale, 6. le complicanze
legate alle procedure, 7. i costi.
Attualmente la scelta della IHD e
della CRRT sono largamente basate sulla
disponibilità della CRRT e non su evidenze cliniche specifiche. La terapia è
molto legata alle preferenze dell’operatore. Probabilmente la IHD e la CRRT
dovrebbero esser viste quali “tecniche
complementari” da usare in modo intercambiabile in rapporto alle varie circostanze. La quantità di trattamenti dialitici
dovrebbe essere impostata in rapporto
alle esigenze facendo riferimento specifico ai vantaggi e svantaggi legati alla
singola metodica (84, 85).
Accessi vascolari
Dal bisogno urgente di eseguire la dialisi in caso di ARF consegue la neces58
ure as such” does not contribute sufficiently importantly to death in this
type of patient and that the patients are
too severely ill to benefit. One of the
most frequently mentioned advantages
of CRRT is the presumed capacity of
filters to remove and adsorb cytokines
and other agents that play a role in
the inflammatory status of the septic
ARF patient. However, a recent study
demonstrated that removal of substantial amounts of inflammatory mediators
(e.g. tumour necrosis factor alpha, interleukin 1 beta, interleukin 6) does not
have an impact on their serum concentration. In addition, removal of proinflammatory and natural anti-inflammatory
cytokines or factors (e.g. interleukin 10,
interleukin-1 receptor antagonist, soluble tumour necrosis factor receptor) was
equivalent (59).
Moreover, any attempt to substantially
increase nonspecific mediator removal
will almost certainly deplete valuable
nutrients, albumin, hormones, vitamins,
trace elements, and antibiotics, with
potential detrimental effects for the
patient (24).
CVVH did not improve parameters of
splanchnic regional perfusion in hemodynamically unstable septic shock patients
(60).
It is probable that, in ensuring optimal
dialysis treatment for the ARF patient in
the ICU, the skills and the experience
of the staff who perform dialysis are
more important than the applied dialysis
modalities (44).
The most serious forms of ARF are
found in the ICUs, where up to 25%
of patients develop ARF. Mortality rates
rise up to 75-90% in patients with sepsis
and 35-45% in those without. The major-
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
sità di posizionare un catetere venoso
centrale (CVC). I CVC sono in genere
costruiti con polimeri (es. polivinilcloruro-PVC, politene tetrafluoroetilenePTFE, polietilene-PE, poliuretano-PU,
silicone elastomero) ed hanno proprietà
specifiche (resistenza, morbidità, emocompatibilità). I più utilizzati sono costituiti da poliuretano o da silicone. I CVC
rigidi o semi rigidi si possono facilmente introdurre tramite incannulazione
percutanea di vena con una guida di
metallo morbido (metodo Seldinger). I
CVC semirigidi in poliuretano si rammorbidiscono a temperatura corporea,
perdono alcune proprietà meccaniche
aggressive, e sono una scelta abbastanza
ragionevole per un uso a breve termine
sino a 2 settimane. I CVC di silicone
morbido sembrano essere la migliore
indicazione per la RRT prolungata di 2-4
settimane o più. I CVC di silicone morbido sono probabilmente più difficili da
inserire ma offrono un maggior vantaggio grazie alle possibilità di tunnellizzazione. La maggior parte dei cateteri
di silicone sono prodotti con un sistema
di ancoraggio sottocutaneo (cuffia di
Ducron). Questo sistema riveste diversi
obiettivi che comprendono la stabilizzazione del catetere nel tunnel sottocutaneo, l’aumento della distanza tra la
pelle a contatto con il catetere e il punto
di inserzione della vena, il miglioramento della posizione de tessuto intorno
al catetere, ed infine la possibilità di
creare una barriera contro le infezioni da
catetere.
Tradizionalmente i cateteri possono
essere inseriti attraverso la vena:
1. Femorale;
2. Succlavia;
3. Giugulare interna.
ity of these subjects do not die directly
from renal failure, but from their comorbid conditions (44). The outcome of
patients who are admitted to the ICU
because of ARF is also better than that
in patients who develop ARF as a complication of a nonrenal comorbid condition during their stay on the ICU. Thus,
attention should be paid to the prevention of ARF in patients already in the
ICU.
In most studies, more unstable patients
tend to be treated with CRRT rather than
IHD, making true comparisons of outcomes difficult (40, 61).
Mehta et al. (62) found increased ICU
and in-hospital mortality in patients
treated with CVVH, but despite randomization, patients treated with CRRT
had significantly greater severity of illness scores, concluding that the differences in mortality were related to
nonrenal disease. Of note is the important crossover: 18% crossed from IHD
to CRRT and 20% crossed from CRRT
to IHD.
Two large observational studies including 349 (63) and 587 (61) patients reported
higher crude mortality rates with CRRT
than with IHD, as patients with an
adverse prognosis were more likely to
receive CRRT.
In Japan, on the contrary, the survival
rate was significantly higher in the
CVVHDF group of patients, compared
to IHD treated individuals (64).
In Croatia, no difference was found
in survival, comparing patients treated
with IHD and CRRT, even in a subgroup
of patients with sepsis and septic shock
(65).
In the Netherlands, a prospective, randomized trial was performed comparing
59
M. Beccari
Vena femorale
L’incannulamento è stato descritto per
la prima volta da Shaldon nei primi anni
’60. Il punto di inserzione è localizzato
approssimativamente a 1-2 cm sotto l’arcata crurale, 1 cm medializzato dall’arteria femorale. La loro punta deve essere
posizionata nel lume centrale della vena
cava inferiore e una lunghezza di 25-35
cm fornisce ottime prestazioni di flusso.
Il CVC femorale costringe a letto il
malato, e sono frequenti le complicanze
da trombosi e infezioni. Il loro uso
deve essere limitato a non oltre 2 settimane. Per alcuni autori, la vena femorale dovrebbe essere la prima scelta
naturale in presenza di problemi respiratori (edema polmonare, insufficienza
respiratoria), quando l’accesso toracico
appare rischioso e quando le condizioni
del malato richiedono una prolungata
permanenza a letto (coma, assistenza
ventilatoria, ferite multiple).
Vena succlavia
In generale, l’incannulamento tramite
vena succlavia dovrebbe essere evitato
per l’elevato rischio di stenosi e/o trombosi della vena succlavia stessa o dei
rami affluenti (vena cava superiore, vena
anonima, tronco brachio- encefalico),
che potrebbe eventualmente determinare
problemi di accesso in caso di HD cronica che potrebbe essere necessaria in
seguito. L’incannulamento della vena
succlavia dovrebbe essere considerato
come seconda scelta di accesso angiologico, in assenza di altre alternative.
L’approccio alla vena succlavia destra è
preferibile per ridurre la distanza tra il
punto di inserzione e l’atrio destro. La
vena succlavia sinistra è più difficile da
incannulare ed è esposta ad un rischio
60
the effects on survival and recovery of
renal function of 3 different doses of
CRRT therapy performed at different
times in 106 ventilated CIPs with oliguric ARF. Three group pf patients were
treated respectively with early (7 h on
average) high-volume CVVH (72-96 L
per 24 h), early low-volume CVVH
(24-36 L per 24 h), and late (42 h) lowvolume CVVH (24-36 L per 24 h). Survival at 28 days and recovery of renal
function were not improved using high
ultrafiltrate volumes or early initiation
of CVVH (66). Regarding improvement
in the survival rate, two meta-analyses
concluded that there is insufficient evidence to establish superiority of CRRT
over IHD in relatively unselected CIPs
(67, 68), except in terms of restitution of
renal function (68). In Kellum’s metaanalysis of 13 studies published between
1977 and 1998 (67), the author stratified
patients according to disease severity and
concluded that, when patients with similar baseline severity of illness are compared, mortality was lower in patients
treated with CRRT. Moreover, because
the mortality rate of CIPs remains elevated long after leaving the ICU, outcomes should be assessed at hospital
discharge, or perhaps even later. On the
other hand, renal recovery is important
clinically because it enables patients to
discontinue dialysis therapy, a treatment
associated with significant impairment
in health-related quality of life. In addition, even mild chronic renal insufficiency is associated with adverse patient
outcomes and high health care costs,
suggesting that the relative incidence
of any sustained renal impairment is
potentially relevant. So, even a slight
difference in renal recovery between
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
maggiore di trombosi branchioencefalica. Inoltre, le vene succlavia sinistra
e giugulare sono le più inappropriate
posizioni per creare un flusso di sangue
adeguato. Infine, l’incannulazione della
vena succlavia sinistra è più prona a
complicanze quali lo pneumotorace.
Vena giugulare interna
Negli ultimi 20 anni questa via di
accesso vascolare è divenuta più popolare in condizioni acute. La scelta della
cateterizzazione del lato destro è legata
alle caratteristiche anatomiche. La giugulare interna sinistra è più difficile da
incannulare e comporta maggiori rischi
di trombosi.
A causa delle differenze anatomiche
tra le vene giugulari destra e sinistra, in
circa il 15% dei malati, possono essere
impiegati con sicurezza metodi ad ultrasuoni per localizzare le vene prima di
ogni tentativo di puntura.
Nell’adulto si preferisce un catetere di
15-20 cm inserito nella vena giugulare
interna destra. Il corretto punto di posizionamento è essenziale per prevenire
complicanze meccaniche e malfunzionamenti del catetere. La posizione più
sicura per il punto distale sembra sia
localizzata idealmente nella vena cava
superiore, 1-2 cm sopra l’atrio destro.
L’accesso vascolare per ARF può
essere ottenuto tramite:
– un (o due) catetere a lume singolo
(SLC);
– un (o due) catetere a lume doppio
(DLC);
– a volte da un catetere a lume triplo.
Il SLC si può applicare solo se l’apparecchiatura per la dialisi consente di
operare in modalità “ago singolo”. Altrimenti un DLC è sempre necessario per
therapies might significantly influence
the overall cost-effectiveness of each
dialytic modality. Because available data
are insufficient to draw firm conclusions, it is important for future studies to
explore the impact of dialytic modality
on renal recovery from ARF in both the
short and long term.
Moreover, a daily, 3 h HD session
significantly reduced the mortality rate
compared with every other day HD in
ARF patient in the ICU (41).
It is not entirely clear whether one
modality of CRRT is superior to another.
A study comparing the efficacy of CVVH
with CVVHDF found that metabolic
parameters were better controlled in the
CVVH group (69).
A recently developed modification
of CRRT techniques deserves further
attention, especially in severe sepsis or
septic shock: high-volume hemofiltration (HVHF) (70,71). HVHF is an adaptation of CVVH, using ultrafiltration
rates of 2 to 4 L/h. HVHF has been
shown to decrease vasopressor requirements (72). A prospective cohort analysis of 306 patients treated with HVHF
found a lower observed mortality rate
than that predicted by illness severity
scores (73).
A randomized trial in 425 CIPs with
ARF compared three different ultrafiltration rates, 20-35-45 ml/h per Kg of
body weight, and survival was respectively 41%-57%-58% (74). In contrast,
a randomized trial in 106 severely ill
ventilated and oliguric patients found no
difference in time to renal recovery or
28-day mortality between early-started
HVHF (48.2 ml/h per Kg), early-started
low-volume hemofiltration (20.1 ml/h
per Kg), and late-started low-volume
61
M. Beccari
la CRRT. Il SLC ha un diametro minore
rispetto al DLC ed è meno traumatico
per la parete venosa. Il SLC determina
una recircolazione di circa il 15-20%.
Oltre alle complicanze correlate all’inserzione (puntura arteriosa, pneumotorace, emotorace, etc.), un “precoce”
malfunzionamento del CVC è generalmente causato da problemi meccanici
conseguenti a malposizionamento della
punta (risucchio della parete venosa),
restringimenti. ecc. Di contro, un non
funzionamento “ritardato” (dopo oltre 2
settimane) è spesso causato da problemi
trombotici (trombosi del lume del catetere, trombosi della vena incannulata,
deposito esterno di fibrina sulla punta
del catetere). Il CVC interno può essere
riaperto con metodi meccanici (brusch)
e chimici (fibrinolisi con urochinasi o
streptochinasi e rt-PA).
Benefici derivanti dallaCRRT
nel trattamento renale
Si può pensare che il beneficio che
deriva dalla dialisi non sia solamente
legato al supporto renale. In specifiche
circostanze la terapia è applicata non
specificamente per migliorare l’urea clearance (90) ma per rimuovere i mediatori
dell’infiammazione, ridurre la temperatura corporea, migliorare l’acidosi lattica
e favorire il riempimento intravascolare.
CRRT può essere utile nei malati con
ARDS perchè fornisce una sufficiente
ultrafiltrazione, nei pazienti traumatizzati per rimuovere la mioglobina, nei
malati con edema cerebrale per stabilizzare la pressione intracranica evitandone
le fluttuazioni e nei malati ipercatabolici
per facilitare la nutrizione (91).
62
hemofiltration (19.0 ml/h per Kg) (66).
Two international meetings were carried out in the US and Europe on renal
replacement therapy and critical care
nephrology, and responses from 345
mostly nephrologist (57%) or intensivist (34%) physicians from different centers in a wide variety of countries were
reported (75). Most institutions rely on a
cooperation between nephrology wards
and ICUs. Anticoagulation and arterial
vascular access still represent a major
concern of CRRT techniques, while new
machines and membranes are considered
major advances in the field. CRRT are
frequently used even in the absence of
ARF (52% of the responders), the prevalent use being for fluid control, congestive heart failure, ARDS and sepsis.
The causes of ARF were divided into
four large groups: 1. medical (ischemic,
toxic, contrast, drugs, GN); 2. surgical;
3. burns; 4. others (trauma, shock, sepsis,
MOF). CRRT is rarely used for the treatment of isolated ARF (7%), while 41%
use it for all cases and 36% only for ARF
with complicating features. When CRRT
is applied, vascular access is mostly
single veno-venous, and synthetic highflux membranes (polysulfone; AN 69)
are most frequently used. Only 46% of
institutions use complete machines for
CRRT. The intensity of therapy (weekly
urea Kt/V) varies significantly from
institution to institution. Complications
were reported to be mostly “technical”:
filter clotting (31%), vascular access dysfunction (18%), low ultrafiltration rates
(12%), nursing care-related problems
(11%), fluid balance errors (8%) and
machine malfunction (7%). The most
frequent clinical complications were
hypotension (22%), bleeding (21%), low
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
Plasmafiltrazione e sepsi
La classica plasmafiltrazione è effettuata mediante filtri a membrana a larghi
pori e il filtrato plasmatico è rimpiazzato
da plasma fresco e/o soluzioni di elettroliti e proteine. La plasmafiltrazione può
eliminare le grandi molecole circolanti
ed è stata e può essere proposta nel trattamento di supporto dei malati con gravi
infezioni al fine di ridurre le endotossine
(92). Il metodo e l’indicazione meritano
ulteriori conferme cliniche su numeri
maggiori di malati.
Plasmaferesi e scambiatori di plasma
nella sepsi
Il decorso clinico e il risultato finale,
nella sepsi, dipendono dall’interazione
tra I mediatori e proprietà infiammatorie e antiinfiammatorie. Negli ultimi
15 anni sono state intraprese due strategie per neutralizzare gli effetti nocivi
dei mediatori dell’infiammazione. La
prima è rivolta alla somministrazione di
sostanze che blocchino la liberazione dei
mediatori stessi ma gli studi clinici non
ne hanno ancora confermato l’efficacia.
La seconda mira alla rimozione di essi
mediante le tecniche utilizzate per il trattamento della ARF.
Le metodiche depurative possono
essere utili: 1. I mediatori sono presenti
nel sangue in alta concentrazione; 2. il
peso molecolare dei mediatori e il loro
passaggio attraverso le membrane filtranti; 3. le caratteristiche dei mediatori
che ne permettono l’assorbimento sulle
membrane filtranti. In ogni caso anche
questa ipotesi di trattamento deve essere
controllata a distanza e sufficientemente
validata.
efficiency (16%), need to change treatment (7%), hematoma or thrombosis at
access site (6% each), or catheter-related
infections (5.5%). Parenteral nutritional
support was used in 69% of patients,
despite its costs and growing evidence
of the superiority of enteral nutrition.
Finally, hypotension most commonly
occurs on “going on the pump” when
100-150 ml of blood is quickly removed
from the systemic circulation and
replaced with saline in a patient with a
vasopressor-dependent circulation. There
are simple steps to prevent such hypotension. The blood path should be started
at low flow rates (50 ml/min for the
first 5 min). A bolus of colloid fluid
(200 ml) should be infused beginning
1-2 min before initiating blood flow. The
vasopressor dose should be temporarily
increased by 10%-15%, also 1-2 min
before the start of blood flow through
the filter.
Uncertainty also exists as to when to
begin RRT (either intermittent or continuous), and when to stop. Probably, erlier
initiation of RRT may improve the outcomes (76-80).
Perhaps the most pressing clinical
question regarding the use of CRRTs is
that of determining what patient and/or
environmental characteristics make these
techniques desiderable. Thus, a large
prospective randomized controlled trial
of CRRT versus IHD in ICU patients
with ARF is urgently needed. This
study should feature careful “phenotyping” of patients, stratified randomization of subgroups (e.g., severity of
illness), standardization of dialytic treatment (including drug use, nutrition, and
non-renal organ support). Of note, the
consistent difference in baseline sever63
M. Beccari
Ruolo dei nefrologi
in terapia intensiva
Differenti modelli operativi e cooperativi sono stati proposti e tutti mirano
ad una stretta collaborazione col nefrologo non solo nelle situazione in cui la
sua competenza è assoluta ma anche in
tutti I casi in cui è possibile prevenire
o sospettare lo sviluppo di una insufficienza renale conclamata.
Il ritardo nel loro coinvolgimento è
stato associato ad un chiaro aumento
non solo della morbilità ma anche della
mortalità. Il tutto è legato al fatto che
gli intesivisti molto spesso hanno una
grande esperienza nel trattamento dell’insufficienza respiratoria e cardiocircolatoria ma che non hanno ricevuto un
adeguato insegnamento in campo nefrologico.
Indici di gravità e risultati finali
È indispensabile lo sviluppo di adeguati indici di valutazione al fine di poter
fornire un giudizio predittivo quanto mai
accurate e si possano sviluppare le collaborazioni necessarie in tempi utili.
I vari fattori che possono influenzare
il decorso clinico e l’esito finale di un
malato di terapia intensive devono essere
analizzati e I punti oscuri devono essere
adeguatamente chiariti. La possibilità di
disporre di indici di valutazione validati
può permettere di uniformare I trattamenti evitando situazioni a “macchia di
leopardo” che poco giovano al trattamento dei malati veramente acuti.
L’APACHE score è il più usato attualmente nelle sue varie versioni e le
indicazioni fornite dalla sua corretta
applicazione possono fornire indicazioni
utili sia alla prognosi sia ai trattamenti.
64
ity of illness, where CRRT patients are
sicker, raises concern that physicians
involved in the study may be reluctant
to ramdomize sicker patients to IHD (9).
One of the main pitfalls of a prospective evaluation of this problem might be
appropriate randomization in CIPs. For
example, treating physicians might be
reluctant to start CRRT in patients with
bleeding tendency, or IHD in a hemodynamically unstable population. As a
consequence, a selection bias can inevitably be expected at enrolment. For comparative outcome studies, the optimal
concept would probably be an intentionto-treat approach, with patients who are
not able to start the strategy to which
they were randomized being counted
as failures of the strategy. However, a
large number of withdrawals would be
expected.
Although physicians intuitively prefer
CRRT to IHD in CIP with ARF, current
evidence is insufficient to draw strong
conclusions regarding the choice of mode
of RRT (81). Each of these methods
have their specific advantages and carry
their own morbidity. Several issues are
still open and will be matters of controversy in the coming years. Comparisons
of IHD with CRRT must consider results
in the following categories: 1. efficiency
to achieve solute and fluid balance and
to maintain hemodynamic stability, 2.
the effect on nutritional status, 3. the
impact on mortality rate (primary endpoint), 4. the impact on renal recovery,
5. the impact on overall patient outcome,
6. procedure-related complications (secondary end-points), and 7. the costs. A
wider application of CRRT in the fields
of sepsis and MOF requires further experience and evidence for clinical benefit.
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
N.B. Il lavoro è stato formulato dall’Autore in inglese e a questo testo è
necessario fare riferimento per una sua
completa lettura. La traduzione italiana
è stata fatta a grandi linee e ha escluso
le parti più sperimentali e a carattere
maggiormente specialistico per poter
migliorare la leggibilità e l’interesse del
lettore.
It is disappointing that CRRT has been
a therapeutic option in critical care medicine for 25 years without comprehensive
evaluation of its definitive benefits. A
definitive comparison of CRRT and IHD
would require at least 660 patients in
each arm, thus it is questionable whether
such sufficiently large randomized trials
will be conducted at al. (67).
Currently the choice of IHD or CRRT
is largely based on the availability of
CRRT and not on evidence-based indications. Therapy selection seems to be
also dependent upon the preference of
the care provider, ie, nephrologist or
intensivist/anesthesiologist. Given the
lack of superiority of one mode of RRT
over the other, one could conclude that
most patients should be treated with the
less expensive form, and most reports
suggest that CRRT is at least twice
as expensive as IHD. Even in patients
with nonoliguric ARF, once the diagnosis is established, it is probably better
to start dialysis too early rather than too
late (82), also because there can be little
doubt that acutelly ill patients require
more treatment than stable chronic
patients. Kresse et al. reported that
mortality in patients treated with CRRT
was higher than mortality in patients
treated with IHD, but these results were
biased by a preferred use of CRRT
in severely ill patients with an unstable circulatory system. Moreover, early
onset of RRT (both IHD and CRRT)
reduced the mortality of ICU patients
with ARF, independently of underlying
diseases (83).
Both IHD and CRRT should probably be regarded as “complementary
techniques”, to be used interchangeably,
according to circumstances. While await65
M. Beccari
ing scientific criteria for the initiation of
RRT in ARF patients, it seems reasonable to prefer prevention of physiological
derangements to their post-hoc correction. This would mean early initiation
of RRT as renal support rather than its
initiation as RRT for uremic complications. The amount of dialysis (adequate dialysis dose) should preferably
be prescribed on an individualized basis,
especially when considering that the
delivered dialysis dose may make a difference (prescribed dose is usually less
than the delivered dose) (84, 85).
Vascular access
Because of the urgent need for dialysis in ARF, the central venous catheter
(CVC) is an indispensable way of creating vascular access. CVCs are usually
made of polymers (e.g., polyvinylchloride-PVC, polytetrafluoroethylene-PTFE,
polyethylene-PE, polyurethane - PU, silicone elastomer) with specific properties
(resistance, softness, hemocompatibility).
The most frequently utilized CVCs are
made of PU or silicone. Rigid and semirigid CVCs are easily introduced by percutaneous vein cannulation over a soft
metallic guide wire (Seldinger method).
Semirigid PU CVCs soften up at body
temperature, losing some mechanical
aggressiveness, and are a fairly reasonable choice for short-term use, up to
2 weeks. Soft silicon CVCs appear the
best indication for prolonged RRT of
2-4 weeks or more. They are possibly
more difficult to insert, but offer a major
advantage through their tunnelization
possibility. Most of these silicone rubber
cathethers are manufactured with a subcutaneous anchoring system (Ducron
66
cuff). It serves different objectives,
including stabilization of the catheter in
the subcutaneous tunnel, enlarging the
distance of the catheter skin emergence
and the vein insertion site, the promotion
of tissue scarring around the catheter,
and finally providing a barrier against
catheter infection.
Traditionally, indwelling catheters can
be inserted in the:
1. femoral vein
2. subclavian vein
3. internal jugular vein
Femoral vein
The cannulation was first described by
Shaldon in the early 1960s. The insertion site is located approximately 1-2 cm
below the crural arcade, 1 cm medially
apart from the femoral artery. Their
tip must be positioned in the central
lumen of the inferior vena cava and a
length of 25-35 cm provides optimal
flow performance. Femoral CVCs make
the patient bedridden, and are frequently
complicated by thrombosis and infection. Their usage must be restricted to
2 weeks. For some authors, the femoral
vein should be the first natural choice
in presence of respiratory conditions
(pulmonary edema, respiratory failure),
when thoracic access appears risky or
when the patient’s condition requires a
prolonged stay in bed (coma, ventilatory
assistance, multiple injuries).
Subclavian vein
In general, subclavian insertion sites
should be avoided. Because of the
increased risk for stenosis and/or thrombosis of the subclavian vein or effluent
branches (superior vena cava, innominate
vein, brachiocephalic truncus), which
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
eventually may lead to access problems
should chronic HD become necessary
later. Subclavian vein cannulation should
be considered a second choice angioaccess, in the absence of other alternatives.
The right subclavian approach is preferable to reduce the distance from the
insertion site to right atrium. The left
subclavian vein is more difficult to cannulate and is exposed to a higher risk of
left brachiocephalic thrombosis. Moreover, the left subclavian and jugular veins
are the most inappropriate positions for
the creation of an adequate blood flow.
Furthermore, the cannulation of the left
subclavian vein is more prone to complications such as pneumothorax.
Internal jugular vein
Over the last 20 years, it has become
more popular in acute conditions. Catheterizing the right side is an anatomical
preference. The left side is more difficult
to cannulate and bears a higher risk of
thrombosis. Because of the anatomical
variations of the right and left jugular
veins in about 15% of patients, ultrasound
methods may be used safely to locate the
vein prior to any attempt at venipuncture.
When all these arguments are taken
together, the preferable device in an adult
patient is a 15-20 cm catheter inserted in
the right internal jugular vein. Moreover, a correct positioning tip is essential to prevent mechanical complications
and catheter dysfunction. The safest spot
for the distal tip seems to be located ideally in the superior vena cava, 1-2 cm
above the right atrium.
Vascular access for ARF can be
obtained with:
– one (or two) single lumen catheter
(SLC);
– one double lumen catheter (DLC);
– sometimes, one triple-lumen catheter.
An SLC is applicable only if the dialysis machine allows one to proceed in
a “single needle” dialysis mode. In contrast, a DLC is always necessary for
CRRT. SLCs have smaller diameters
than DLCs, and are less traumatic for
the venous wall. SLCs result in a recirculation of approximately 15-20%. The
impact of recirculation on adequacy,
however, is only partial and has less relative impact than blood flow rate. In addition, recirculation also occurs, albeit to a
lower extent, in DLCs.
Tunnelled silastic/silicone catheters
with felt cuff can also be used, and
achieve higher blood flows. The placement is more troublesome however,
especially in patients with throbocytopenia and coagulation disorders. In addition, it is less easy to exchange these
catheters in case of infection.
Besides the insertion-related CVC
complications (arterial puncture, pneumothorax, hemothorax, etc), “early”
CVC dysfunction is usually related to
mechanical problems due to malpositioning of the tip (sucking the vein
wall), kinking, stricture, etc. Converserly, “late” dysfunction (after more than
2 weeks) is often caused by thrombotic
problems (thrombosis of the catheter
lumen, thrombosis of the cannulated
vein, external fibrin sheath on the CVC
distal end, endoluminal fibrin sheath).
The CVC interior may be reopened by
mechanical (brush) or by chemical methods (fibrinolysis by urokinase or streptokinase or rt-PA).
67
M. Beccari
Biocompatible vs Bioincopatible
dialyser membranes
In recent years, nephrologists have witnessed intense controversy as to whether
or not so-called biocompatible dialyser
membranes are superior to bioincompatible ones. In general, the complement-activating capacity of a dialysis
membrane can be taken as an index of
bioincompatibility. Complement activation leads to neutrophil activation and
infiltration into the kidney. By releasing
vasoconstrictors and damaging oxygen
radicals, activated leucocytes may prolong renal damage, hence the view that
the use of bioincompatible membranes
might delay recovery from ARF. There
are data in favour (86) and against this
view (87). A study larger than any of those
conducted previously demonstrated that
recovery of renal function and survival
were not different between the groups
of patients dialysed using biocompatible
and bioincompatible membranes (88),
while a recent meta-analysis revealed
better survival of patients who were dialysed with synthetic membranes (89).
Benefits of CRRT
beyond renal replacement
Speculative is the possibility that the
benefits of dialysis may not be limited
to providing renal replacement. There
may be a difference between a “renal”
dose of dialysis and a “septic” dose
of dialysis, the latter of which may
have added benefits in addition to urea
clearance (90). Such beneficial effects of
CRRT include removal of inflammatory
mediators, reduction of core body temperature, improvement of lactic acidosis,
and continuous intravascular refilling.
68
In addition, CRRT may improve benefits in patients with adult respiratory
distress syndrome (ARDS) by allowing
efficient ultrafiltration, in patients with
crush injuries by removing myoglobin,
in patients with cerebral edema by
reducing fluctuations in intracranial
pressure, and in hypercatabolic patients
by allowing increased nutrition.
Dunham (91) found that in patients with
MOF and ARF, use of CRRT resulted
in better outcomes than IHD, but in
patients with MOF without ARF there
was little evidence that CRRT influenced survival.
Plasmafiltration in sepsis
Classical plasmafiltration (PF) is
carried out with filters containing
large-pore membranes, whereby the
plasmafiltrate is replaced by fresh-frozen plasma and/or protein-electrolyte
solutions. PF has the potential to eliminate molecules with a much larger
molecular weight than hemofiltration,
and has been applied for the supportive treatment of patients with severe
infections, with the rationale of removing endotoxins (92). Hence, such an
approach might improve the outcome
of ARF patients as far as their renal
problem is sepsis-related. However,
most studies were small and uncontrolled. Recently, a randomized study
of continuous PF in sepsis showed that
short-term mortality was not affected,
but a trend towards fewer failing organs
was observed (93). In conclusion, the
impact of PF on incidence, severity
and duration of ARF needs further
evaluation.
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
Plasmapheresis and plasma exchange
in sepsis
In sepsis, both clinical course and outcome depend on the interaction between
mediators with inflammatory and antiinflammatory properties. In the past 15
years, 2 strategies have been developed to
neutralize the actions of the inflammatory
mediators in this setting. The first one
involves the administration of substances
able to prevent the release of the mediators, but clinical trials repeatedly failed to
demonstrate any substantial positive effect
on the survival. The second approach
is based on the removal of the sepsis
mediators from the bloodstream of CIPs
with ARF by means of CRRT techniques.
These extracorporeal depurative modalities are valuable, provided that: 1. the
mediators are present in the bloodstream
in relevant concentration, 2. the size and
molecular weight (MW) of mediators lies
within the cut-off value of the membrane
used, 3. their chemicophysical properties
allow their adsorption on the surface of
the filter. However, this treatment may
be ineffective. In early cases, failure may
occur because the burst of the mediators
has not yet occurred, in late cases because
irreversible end-organ damage could have
already occurred. Both conditions are
hard to assess in the clinical setting since
the blood concentration of mediators can
be considered the tip of an iceberg, poorly
reflecting what is going on at tissue
level. Again, clinical investigations are
somewhat puzzling. The blood concentration of sepsis mediators decreased in
some studies but remained stable or even
increased in others, owing to several factors (heterogeneity of the treated patients,
timeframe and duration of the treatment,
different membranes, or volume of fluid
exchanged). Two strategies appear feasible to increase the elimination of sepsis
mediators:
– use of CRRTs
– use of plasmapheresis (PP) (94-96)
or plasma exchange (PE) (97, 98), which
allows the removal of substances whose
MW exceeds the cut-off of the membranes commonly used in CRRT.
PE is basically a one-step procedure,
consisting of the separation of the blood
in cells and plasma. The former are
returned to the patient, and the latter is
discarded and substituted with plasmaexpanders, albumin or fresh-frozen plasma,
in order to supply the lost substances
(hormones, immunoglobulins, coagulative factors, etc).
PP, on the contrary, is a double-step procedure, allowing the selective removal
of determined components. Plasma perfuses columns containing different types
of beads, able to absorb more or less
selectively the target substance(s). The
processed plasma is successively reinfused, thus reducing or totally abolishing the need for replacement fluids.
Hence, although in the scientific literature the terms PE and PP have been (and
currently are) often used as synonyms,
profound differences exist between the
two techniques.
Clinical results have often been inconclusive for both the techniques, due
to different reasons, and mortality did
not differ between treatment and control groups. More evidence from large
randomized trials would be desiderable
before these techniques could be recommended as a treatment modality in
sepsis, and new absorptive devices might
show a more efficient or more specific
removal pattern.
69
M. Beccari
Coupled plasmafiltration-absorption
Coupled plasmafiltration-adsorption , a
feasible and safe extracorporeal treatment
with substantial removal of both inflammatory and anti-inflammatory mediators,
exerted a remarkable improvement in
hemodynamics, pulmonary function, and
outcome in septic shock patients with or
without concomitant ARF (99-101).
Absorption in endotoxic shock
Endotoxin removal by hemoperfusion
To improve the efficiency of absorption
and avoid the rapid saturation of the classical hemofiltration membrane, several
adsorptive devices binding endotoxins
have been developed: activated charcoal,
polyethylenimine, and polymyxin B.
In Japan, Toraymyxin, an extracorporeal column device for direct hemoperfusion, was approved as an absorbent
device for the treatment of sepsis in
1994. Toraymyxin removes endotoxin
from the blood of patients who have
developed severe sepsis and/or septic
shock, caused by gram-negative bacteria. It consists of polystyrene-based fiber
to which polymyxin B, an antibiotic, is
covalently bound.
Through its clinical application over
10 years, Toraymyxin has been demonstrated to be an effective treatment
for sepsis and septic shock, improving
hemodynamic parameters (102-105).
Role of nephrologist in ICU
Since up to two-thirds of CIPs with
ARF requiring dialysis die in hospital, it
is appropriate to question whether they
receive the most appropriate care in the
most appropriate unit.
70
Most institutions have developed critical care units with either an “open”
or a “closed” organizational model. In
the closed system, widespread in Australia, a critical care specialist (intensivist) may treat patients with ARF without
the attendance of a nephrologist, while
in the open system, more common in
the USA and Europe, critical care specialists are available to provide expertise via consultation (nephrologist and
others) (106-108).
Delayed nephrology consultation was
associated with increased morbidity and
mortality, whether or not RRT was
ultimately required (109). Using observational data, however, one cannot determine whether these findings reflect
residual confounding selection bias,
adverse effects of delayed recognition of
ARF, or the benefits of nephrology consultation.
Only the unique but integrated contributions of the intensivist and nephrologist
should enhance ICU patient outcomes.
The intensivist possesses the skills and
expertise especially regarding cardiovascular and respiratory functions, but in the
United States only 2.7% of all intensivists
have received sustained, substantial nephrology training. On the other hand, in the
ICU setting, CIP often develop complications requiring the nephrologist’s unique
expertise, and the nephrologist is the most
experienced to determine when a patient
has uremic symptoms or other indications
for dialysis.
In conclusion, in the ICU a close
collaboration between the intensivist
and nephrologist is mandatory. Morever,
patients with multiple comorbid conditionds need the supervision of a “principal coordinating” physician.
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
Severity scores and outcome
Another field where improvement is
desiderable is the development of predictive scores of outcome. If one has the
expectation that any severity score will
govern the application or not of therapy,
one has a completely erroneous concept
of scoring. Scoring systems were developed and meant to be used as a tool in
understanding outcomes of patients, or
in evaluating outcomes among various
therapies.
A number of factors affect the final
outcome of ARF patients in ICU and,
obviously, it is often not the ARF per se
that leads to death, but a host of associated factors. There has always been a
trend for patients with ARF to perform
worse than predicted on general scores.
Another problem with the scores is their
use of a single day’s data for the prediction of an entire ICU course of activity, not showing a trend of patient status
through time. Moreover, scores which
are not updated and reviewed periodically may also create false outcome
expectations.
Several predictive scoring systems
(APACHE, ATN-FSI, SAPS II-Simplified Acute Physiology Score, SOFASepsis-related sequential Organ Failure
Assessement, OSF-Organ System Failure, ARF-OSF easy score, SHARF-Stuivenberg Hospital ARF scores, etc) are
available but they have often been developed in a retrospective manner and most,
if not all, have been evaluated in a prospective way. They measure the severity of impairment in ICU patients, but
underestimate the risk of mortality of
patients with ARF because the proportion of the score allocated to renal failure is minimal, which de-emphasizes the
independent mortality risk of ARF (110).
The APACHE (Applied Physiology
and Chronic Health Evaluation) scales
are the most widely known and used
general scoring system. This system has
gone through several generations, with
a variety of indicators having been used
as the basis for the score. In APACHE
I, there were 34 physiological variables
scored on a 0-4 basis constituting the
acute physiology score. In addition to
these, a measure of the chronic health
status is added to complete the score.
Renal parameters consisted of BUN,
serum creatinine and total urine output
per day. APACHE II used logistic regression analysis to reduce the original panel
down to 12 variables, and the only renal
indicator was serum creatinine. Even
with the reformulation of the original
renal factors for the APACHE III rendition, renal failure is still considered a
relatively low impact mortality factor.
Although APACHE scores have been
developed to compare patient’s condition
on admission to ICU, in many studies
of ARF these scores are only calculated
when ARF develops or when dialysis
is started and, moreover, several points
refer to parameters that might change due
to renal disease per se (111-113). APACHE
III scores could be more helpful in
predicting the expected course in ICU
patients (112, 114, 115) and, when determined
at the time of initiation of RRT, were
found to be a statistically significant predictor of patient survival (116).
Recently, other scoring systems have
been developed: the ATN-FSI (114) and
the ARF-OSF easy score (117). The
latter new model has the advantage of
semplicity. The required data are easily
determined at the bedside and no fur71
M. Beccari
ther calculations are needed. Previously
described indices require both a programmable calculator and knowledge of many
correlation coefficients of varying mathematical precision. The number and categorization of variables in APACHE III
itself have nowadays increased, thereby
enhancing its statistical power but reducing its simplicity.
In conclusion, obtaining reliable predictive indices of outcome that have
been developed specifically for patients
with ARF remains problematic. One of
the truly difficult issues in the practice
of acute nephrology is determining who
should and who should not receive supportive therapy. Independently of any
score system, aggressive treatment for
all severely ill patients who need dialysis
was recommended recently (118). It must
be remembered that scores are based
upon populations of patients, not individual responses. Thus, if some patients
are in the high-risk population, they will
probably have a poor outcome, but not
always. In this scenario, the high-risk
patient should be offered therapy, but
with the realization that outcome will
most likely not be positive. Thus, if there
is further deterioration in the overall
status of the patients, therapy cessation
can be carried out.
Red blood cell transfusions in CIPs
Optimizing (almost always, reducing)
the frequency of red blood cell transfusion (RBCT) is a goal of modern
blood management (119). The primary
driving force during the past 15 years
has been safety. Blood transfusion has
many known adverse effects: potential
transmission of infectious disease (HCV,
72
HIV, HBV, BSE, and so on), allergic
reaction, febrile nonhemolytic reactions,
RBC alloimmunization, leukocyte/
platelet alloimmunization, acute hemolytic reactions, delayed hemolytic reactions, and acute lung injury.
During the past decade the safety of
the blood supply with regard to infectious disease transmission has greatly
improved. In the United States, after
screening the blood supply with the new
nucleic acid amplification (PCR) tests,
the estimates of residual units of infected
blood donated by repeat donors were 1
per 1.935 million for hepatitis C and
1 per 2.135 million for HIV. But even
these low rates are not good enough
because the goal is achieving an “almost
zero”– risk blood supply (120).
A review of the available data showed
no evidence for maintaining Hb concentration at 10 g/dl or hematocrit at 30%,
the so-called 10/30 rule, and subsequent
new guidelines urged a lower threshold.
The Transfusion Requirement in Critical Care (TRICC) trial found that ICU
patients experienced no advantage from
a transfusion threshold to keep their Hb
concentration above 10 g/dl compared
with a threshold to keep Hb concentration above 7 g/dl (121). When compared,
the rates of death from all causes at 30
days and the severity of organ dysfunction, a restrictive strategy (to maintain
Hb level between 7.0 and 9.0 g/dl) was
at least as effective as and possibly superior to a liberal (Hb level between
10.0 and 12.0 g/dl) transfusion approach
in CIPs with normovolemia, with the
possible exception of patients with
active coronary ischemic syndromes
(acute myocardial infarction and unstable angina). Hence, the authors rec-
Revisione dell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva: il punto di vista del nefrologo
ommended that these patients should
receive red-cell transfusions when their
Hb level falls below 7.0 g/dl.
In another recent study (122) evaluating
transfusion practices in European ICU
patients in 1999, 2 years after the TRICC
study was published, the mean Hb level
before transfusion among patients who
were not actively bleeding was 8.5 g/dl,
strongly suggesting that clinicians have
not incorporated the results from the
TRICC trial into practice.
Notwithstanding the fact that a lower
transfusion threshlod is safe, the predominant current transfusion threshlod
in the United States and Europe is still
about one Hb at 8.5 g/d.
Moreover, the study by Vincent et al
and the TRICC study observed a significant association between RBCT and
increased mortality. It is possible that
some factors related to the processing
(leukofiltration) and a prolonged storage of blood products may have important clinical consequences, such as a
decline in gastric pH, pneumonia, and an
increased risk of death (123).
Erythropoietin in CIPs
Erythropoietin (EPO), which stimulates red blood cell production and
thereby reduces the need for transfusion, has been proposed as a possible
alternative to blood transfusion for some
patients (124,125). Open questions are:
– is EPO administration cost-effective
versus blood transfusion?
– does EPO improve clinical outcome?
In conclusion, it is time to devote more
effort in defining how to optimally use
blood transfusions and drugs such as
EPO to minimize mortality and morbid-
ity and maximize outcomes in specific
patient populations (120).
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ARTICOLO ORIGINALE / ORIGINAL ARTICLE
Midazolam vs Propofol nella sedazione controllata
del paziente per settoplastica ambulatoriale
Midazolam versus Propofol for patient-controlled
sedation in ambulatory septoplasty
VAROL ÇELIKER, ELIF BASGÜL,
SENNUR
UZUN
,
,
and ÜLKÜ AYPAR
Hacettepe University Faculty of Medicine, Department of Anaesthesiology and Intensive Care, Ankara-Turkey
Riassunto. – Obiettivo: lo scopo di questo studio è determinare quale farmaco, tra Midazolam e Propofol, sia più indicato, per quel che riguarda livello di sedazione, profilo emodinamico e soddisfazione
del paziente e del chirurgo, per la sedazione controllata dal paziente durante intervento chirurgico
di settoplastica. Disegno: studio clinico prospettico randomizzato. Situazione e pazienti: sono stati
presi in considerazione 30 pazienti maschi con ASA I-II (20-45 anni), sottoposti ad intervento chirurgico ambulatoriale di settoplastica. A tutti i pazienti è stata somministrata una dose ev di Fentanyl 1
mcg/kg. Per la sedazione è stato impiegato un apparecchio (Abbott, APM) per l’analgesia controllata
dal paziente. Le dosi di carico e di bolo del Propofol e del Midazolam erano rispettivamente di 0.7 mg
/kg – 0.25 mg/kg e di 0.03 mg/kg – 5 mcg/kg. L’intervallo minimo consentito tra due somministrazioni
era di 5 minuti. Dosi supplementari di Fentanyl (1 mcg/kg) sono state somministrate in base ai livelli
di sedazione. I livelli di sedazione sono stati individuati in 4 differenti tempi durante la chirurgia (1:
sveglio, ansioso; 2: sveglio, non ansioso; 3: sedato, eloquio confuso; 4: occhi chiusi, risposta allo stimolo verbale). I livelli di soddisfazione del paziente e del chirurgo sono stati valutati in base a scala
analogica visiva (VAS 0-10). Risultati: non si sono rilevate significative differenze in termini di livelli
di sedazione, parametri emodinamici, soddisfazione del paziente e del chirurgo. La richiesta di boli
supplementari di Fentanyl è stata maggiore nei pazienti trattati con Midazolam (p<0.05). Conclusioni:
il Propofol è sicuro, mantiene soddisfacenti condizioni intraoperatorie e riduce la necessità di boli supplementari di Fentanyl nella chirurgia ambulatoriale per settoplastica.
Parole chiave: settoplastica, sedazione paziente-controllata, midazolam, propofol, fentanyl.
Abstract. – Objective: The aim of this study was to determine which drug, propofol or midazolam,
was more suitable for patient-controlled sedation in septoplasty operations with respect to sedation
level, patient and surgeon satisfaction and haemodynamic profile. Design: Prospective randomized
Address for reprints
Indirizzo per la richiesta di estratti
SENNUR
UZUN, MD
,
Hacettepe University Faculty of Medicine, Department of Anaesthesiology and Reanimation
Hacettepe, Ankara, TR-06100, Turkey
Tel: + 90-312-3051207 - Fax: + 90-312-3109600
E-Mail: [email protected]
ACTA ANAESTH. ITALICA
55, 79-89, 2004
79
V. Çeliker, E. Basgül,
S.
,
, Uzun and Ü. Aypar
controlled clinical study. Setting and patients: Thirty male patients, ASA I-II (20-45 years), undergoing
ambulatory septoplasty were recruited. All patients received 1 µg.kg–1 intravenous fentanyl. A patientcontrolled analgesia device (Abbott, APM) was used. The loading and bolus doses of propofol and
midazolam were 0.7 mg·kg–1 / 0.25 mg.kg–1 and 0.03 mg·kg–1 / 5 µg·kg–1, respectively. Lockout intervals were 5 minutes. An additional dose of fentanyl (1 µg·kg–1) was added according to sedation level.
Sedation level was assessed at four different times during surgery (1: awake, anxious; 2: awake, not
anxious; 3: sedated, speech blurred; 4: eyes closed, responds to verbal stimulus). Patient and surgeon
satisfaction was determined by a visual analogue scale (0-10). Results: There were no significant differences in terms of sedation level, patient and surgeon satisfaction or haemodynamic parameters. Bolus
demand and the need for additional fentanyl were higher in the midazolam group (p < 0.05). Conclusions: Propofol is safe and provides good intraoperative conditions and reduces the need for additional
fentanyl in ambulatory septoplasty operations.
Key words: Septoplasty, patient-controlled sedation, midazolam, propofol, fentanyl.
Introduzione
Introduction
a sedazione cosciente permette
al chirurgo di effettuare procedure chirurgiche mantenendo i riflessi protettivi da parte del paziente
(1). In combinazione con l’anestesia
locoregionale, è una sicura alternativa
all’anestesia generale per il controllo
del dolore perioperatorio e dell’ansia nei
pazienti sottoposti a chirurgia ambulatoriale (2).
Il propofol è un anestetico endovenoso a breve durata con un rapido picco
d’azione, rapida emivita di eliminazione
e inattivazione dei metaboliti (3). Il Midazolam ed il Propofol vengono utilizzati
dai dentisti e dai chirurghi maxillo-facciali per la sedazione del paziente durante
la rimozione del 3º molare. Anche se
maggiormente utilizzata in odontoiatria,
la sedazione controllata dal paziente può
essere impiegata anche in sala operatoria (4-7). Questo studio confronta il Midazolam ed il Propofol, entrambi associati
a Fentanyl, come agenti sedativi durante
interventi chirurgici ambulatoriali di settoplastica. Abbiamo valutato i livelli
di sedazione, i livelli di soddisfazione
del paziente e del chirurgo con questo
metodo di sedazione, il ricordo da parte
onscious sedation is a method
that allows the surgeon to perform a procedure during which
the patient retains protective reflexes
(1). In combination with local anaesthesia, it is a safe alternative to general
anaesthesia for the control of perioperative pain and anxiety in outpatient surgery (2).
Propofol is a short-acting intravenous
anaesthetic with a rapid onset of action,
short elimination half-life and inactive
metabolites (3). Most studies advocate
the use of propofol for general anaesthesia, but a few reported that propofol can
be used for conscious sedation during
outpatient surgical procedures.
Midazolam and fentanyl are used by
many oral and maxillofacial surgeons
for sedation during the removal of third
molars. Although usually used in dentistry, patient-controlled sedation can also
be used in the operating room (4-7). This
study compared midazolam with propofol, each in combination with fentanyl,
as sedative agents during outpatient septoplasty operations. We measured the
sedation level, the satisfaction level of
the patient and surgeon with the sedation
L
80
C
Midazolam vs Propofol nella sedazione controllata dal paziente per settoplastica ambulatoriale
dei pazienti delle infiltrazioni nasali di
anestetico locale, gli effetti collaterali ed
i parametri emodinamici.
method, recall of the local injection to
the nose, side effects and hemodynamic
parameters.
Materiali e metodi
Material and Method
Dopo approvazione del comitato etico
è stato ottenuto il consenso informato da
parte di 30 pazienti tra i 20 ed i 45 anni
con ASA I-II, sottoposti ad intervento
chirurgico ambulatoriale in elezione per
settoplastica. La randomizzazione è stata
eseguita mediante schede computerizzate.
I gruppi sono stati suddivisi come
segue:
– Gruppo 1 (n=15): sedazione controllata dal paziente (PCS) con Midazolam.
– Gruppo 2 (n=15): sedazione controllata dal paziente (PCS) con Propofol.
Non è stata somministrata alcuna premedicazione. I pazienti sono stati istruiti
sull’uso del dispositivo di somministrazione della PCS. I monitoraggi di routine
utilizzati comprendevano ECG, saturimetria e pressione sanguigna. A tutti i
pazienti è stato posizionato un catetere
venoso 22 gauge sul dorso della mano
per l’infusione di soluzione fisiologica.
Come analgesico è stato somministrato
Fentanyl 1 mcg/kg all’inizio dell’intervento chirurgico. Successivamente sono
state somministrate dosi di 1 mcg/kg in
base ai livelli di sedazione del paziente.
Durante l’intervento chirurgico i pazienti
sono stati assistiti dall’anestesista nel
caso insorgessero eventuali effetti collaterali (sovradosaggio, bradicardia,
ipertensione, ipotensione, apnea e desaturazione). Per la somministrazione dei
farmaci analgesici è stato utilizzato un
dispositivo per l’analgesia controllata
dal paziente (Abbott patient-controlled
After ethics committee approval, informed consent was obtained from 30 male
patients aged 20-45 years, ASA I-II,
about to undergo ambulatory septoplasty operation under elective conditions.
A computer based randomisation chart
was used for the randomisation.
The groups were as follows:
– Group I (n=15): Patient controlled
sedation (PCS) with midazolam.
– Group II (n=15) : PCS with propofol.
No premedication was administered.
Patients were instructed in the use of the
device for PCS. Routine monitoring with
ECG, pulse oxymeter and blood pressure was carried out. A 22-gauge intravenous (IV) catheter was placed in a
vein at the dorsum of the hand and attached to normal saline of 9‰.
For analgesia, 1 µg·kg–1 fentanyl was
administered at the start of surgery. Subsequently 1µg·kg–1 was added according to the sedation level of the patient.
Patients were assisted by an anaesthetist
in case of possible side effects (oversedation, bradycardia, hypertension, hypotension, apnoea and desaturation) during
the operation. The patient controlled
analgesia device (Abbott patient-controlled analgesia delivering system machine,
APM) was used for drug administration.
The lockout interval was set to 5 minutes.
Dosing regimes for PCS were as follows:
– Group I (Midazolam): loading dose
0.03 mg·kg–1; bolus dose 5 µg·kg–1.
81
V. Çeliker, E. Basgül,
S.
,
, Uzun and Ü. Aypar
analgesia delivering system machine,
APM). L’intervallo minimo consentito
tra due somministrazioni era impostato a
5 minuti.
I regimi di dosaggio per la PCS erano
i seguenti:
– Gruppo 1 (Midazolam): dose di
carico 0.03 mg/kg; dose bolo 5 mcg/kg.
– Gruppo 2 (Propofol): dose di carico
0.7 mg/kg; dose bolo 0.25 mg/kg.
L’anestesia locale è stata eseguita dal
chirurgo con 5-15 cc di Prilocaina 2%
5 minuti dopo la somministrazione della
dose di carico.
I parametri emodinamici (ECG, saturimetria, pressione arteriosa non invasiva, frequenza respiratoria), sono stati
registrati a sei differenti momenti: livelli
basali prima dell’inizio della sedazione,
appena subito dopo la dose di carico,
dopo l’anestesia locale del naso, all’inizio dell’intervento chirurgico, 30 minuti
dopo, e alla fine dell’intervento.
I livelli di sedazione del paziente sono
stati valutati dallo stesso anestesista a
quattro differenti momenti (prima dell’inizio dell’intervento, 5 e 30 minuti
dopo l’inizio e al termine della chirurgia), secondo la seguente scala:
– Livello 1: sveglio e ansioso.
– Livello 2: sveglio, non ansioso.
– Livello 3: sedato, eloquio confuso.
– Livello 4: occhi chiusi, esegue gli
ordini semplici.
Alla fine dell’intervento chirurgico
è stata utilizzata una scala analogico
visiva (VAS: 0-10), per misurare la soddisfazione del chirurgo riguardo alla
metodica. Ciascun chirurgo non era a
conoscenza del metodo utilizzato. La
stessa scala di misura è stata utilizzata
per misurare i livelli di soddisfazione
del paziente, a distanza di 2-3 ore dalla
82
– Group II (Propofol): loading dose
0.7 mg·kg–1; bolus dose 0.25 mg·kg–1.
Five minutes after the loading dose
was delivered, local anaesthesia to the
nose was performed by the surgeon with
5-15 cc prilocaine 2 %.
Haemodynamic measurements (ECG,
pulse oxymeter, non-invasive blood pressure, respiration rate) were recorded at
six different times: basal level before the
onset of sedation, just after the sedation
drug loading dose, after the local anaesthesia to the nose, at the start of the operation, 30 minutes later and at the end of
the operation.
The patient’s sedation level was assessed by the same anaesthetist at four different times (before the onset of the
operation, 5 and 30 minutes after the
start and at the end of the operation)
according to the following scale (9):
Level 1: Awake and anxious.
Level 2: Awake, not anxious.
Level 3: Sedated, blurred speech.
Level 4: Eyes are closed, obeys orders.
After the end of the operation, a visual
analogue scale (VAS) (0-10 ) was used to
measure the surgeon’s satisfaction with
the method. Each surgeon was blind to
the drug used. The same scale was used
to measure the patient’s satisfaction, 2-3
hours later, before discharge, in a blinded manner as well.
Patients were also asked if they remembered the local anaesthetic drug injection. This was asked before discharge
and was graded as follows: 0, no pain; 1,
mild pain; and 2, moderate pain.
Student’s t-test and Spearman Correlation test were used for statistical analysis. The results are given as mean ± SD,
95% confidence interval. A P value <
0.05 was considered significant.
Midazolam vs Propofol nella sedazione controllata dal paziente per settoplastica ambulatoriale
fine dell’intervento prima della dimissione. Alla dimissione, ai pazienti è stato
domandato se ricordavano il momento
della somministrazione dell’anestetico
locale valutando come segue: 0, nessun
dolore; 1, dolore medio; 2, dolore moderato.
Sono stati utilizzati per l’analisi statistica il t-test di Student ed il test di correlazione di Spearman. I risultati sono stati
riportati come media ± SD, con intervallo di confidenza al 95%.
Un valore di P < 0.05 è stato considerato significativo.
Risultati
I dati demografici sono riportati in
tabella 1. Non vi sono significative differenze tra i gruppi per età e peso.
La durata media degli interventi è stata
di minuti 59.3 nel gruppo Midazolam
e 58.3 nel gruppo Propofol (p < 0.05).
L’anestetico locale usato dal chirurgo è
Results
The demographic data are shown in
table 1. There were no significant differences between the groups with respect
to age or weight.
Mean operating time was 59.3 minutes
in the midazolam group and 58.3 minutes in the propofol group (p < 0.05).
Total local anaesthetic used by the surgeons was 9.9 cc in the midazolam group
and 9.3 cc in the propofol group (p <
0.05).
Sedation level during the operation
was not statistically different between
the groups at any time point (mean
values for midazolam versus propofol
respectively, after the onset of the operation: 2.13 ± 0.4 vs 2.33 ± 0.6; after 5
minutes: 2.07 ± 0.3 vs 2.13 ± 0.3; after
half an hour: 1.93 ± 0.4 vs 1.93 ± 0.5;
at the end of the operation: 1.87 ± 0.3 vs
1.67 ± 0.5).
Patient and surgeon satisfaction, assessed by visual analogue scale (0-10) after
TABELLA 1. – Caratteristiche demografiche. / TABLE 1. – Demographic characteristics.
Numero di pz
Number of pts
Età
Age
Peso
Weight
Sesso (M/F)
Sex (M/F)
Midazolam
15
32,8 ± 10,8
74,8 ± 14,2
15 / 0
Propofol
15
33,3 ± 11,2
70,8 ± 21,2
15 / 0
Valori medi (± SD); nessuna differenza statisticamente significativa tra i gruppi.
Mean values (± SD); no significant differences between the groups.
TABELLA 2. – Soddisfazione del paziente e del chirurgo verso il metodo e il farmaco usati. / TABLE 2. –
Patient and surgeon satisfaction of the method and drug used.
Soddisfazione paziente (0-10)
Patient satisfaction (0-10)
Soddisfazione chirurgo (0-10)
Surgeon satisfaction (0-10)
Midazolam
8,3 ± 1,6
8,4 ± 2,3
Propofol
8,0 ± 1,6
8,4 ± 1,7
Valori medi (± SD); nessuna differenza statisticamente significativa tra i gruppi.
Mean values (± SD); no significant differences between the groups.
83
V. Çeliker, E. Basgül,
S.
,
, Uzun and Ü. Aypar
stato in totale 9.3 cc per il gruppo Midazolam e 9.3 cc per il gruppo Propofol (p
< 0.05).
In nessun momento dell’intervento i
livelli di sedazione sono risultati statisticamente differenti tra i due gruppi
(valori medi Midazolam vs Propofol
rispettivamente: dopo l’inizio dell’operazione 2.23 ± 0.4 vs 2.33 ± 0.6; dopo
5 minuti 2.07 ± 0.3 vs 2.13 ± 0.3; dopo
30 minuti 1.93 ± 0.4 vs 1.93 ± 0.5; alla
fine dell’intervento 1.87 ± 0.3 vs 1.67 ±
0.5).
Il livello di soddisfazione del paziente
e del chirurgo, valutata con scala analogico visiva (0-10) dopo l’intervento
chirurgico, non ha evidenziato differenze statisticamente significative tra i
due gruppi (Tab. 2). Ventuno dei trenta
pazienti hanno affermato che avrebbero
preferito la tecnica con sedazione controllata dal paziente anche per altri interventi similari. Il consumo supplementare
di Fentanyl è stato maggiore nei pazienti
del gruppo Midazolam (p < 0.05). La
dose totale di Fentanyl impiegato nel
gruppo Midazolam è stata di 117.7 ±
37.2 mcg e nel gruppo Propofol 84.7 ±
29.2 mcg (p < 0.05). Questa differenza
può essere attribuita al lento manifestarsi dell’effetto del Midazolam. Questo
punto verrà trattato più dettagliatamente
nella sezione discussione.
In termini di parametri emodinamici,
non si sono rilevate statisticamente
differenze di frequenza respiratoria e
pressione sanguigna tra i due gruppi.
Comunque, in momenti diversi si sono
evidenziate differenze tra i due gruppi
per quanto concerneva la frequenza cardiaca e la saturazione d’ossigeno. La frequenza cardiaca nel gruppo Midazolam
è variata dopo la dose di carico. Sebbene
84
the operation, was not statistically different
between the groups (Table 2). Twenty-one
of the 30 patients stated that they would
prefer the patient-controlled sedation technique for a similar operation.
Additional fentanyl consumption was
higher in the midazolam group (p <
0.05). Total fentanyl dose used in the
midazolam group was 117.7 ± 37.2 µg
and 84.7 ± 29.2 µg in the propofol group
(p < 0.05). This difference can be attributed to the slow onset time of midazolam. This will be dealt with in detail in
the discussion section.
In terms of hemodynamic and respiratory parameters, there were no statistically significant differences in
respiratory rate and blood pressure
between the groups. However, heart
rate and O2 saturation showed differences between the groups at different
times. Heart rate in the midazolam
group changed after the loading dose.
Despite being expected to decrease it
increased (p<0.05), and this continued
until the end of the operation. However, in the propofol group heart rates
did not change very much (p>0.05),
staying very stable throughout the operation (Fig. 1).
We observed a decrease in O2 saturation after the local injection to the nose
in the midazolam group (p < 0.05).
There was also a decrease in propofol
group but it was not significant. After
30 minutes and at the end of the operation, there was a difference in O2 saturations between the groups. The decrease
in O2 saturation in the midazolam group
was much higher than that in the propofol group (Fig. 2). This could be because
of the fentanyl dose used in this group (p
< 0.05).
Midazolam vs Propofol nella sedazione controllata dal paziente per settoplastica ambulatoriale
Midazolam
Propofol
Time of measurement
Fig. 1. – La frequenza cardiaca nel gruppo midazolam è aumentata significativamente dopo la somministrazione della dose di carico (* p < 0.05).
Fig. 1. – Mean heart rate in midazolam group increased after the delivery of the loading dose (* p <
0.05).
Midazolam
Propofol
Time of measurement
Fig. 2. – La saturazione di O2 nel gruppo midazolam è diminuita significativamente dopo l’iniezione di
anestetico locale, a mezz’ora e alla fine dell’inervento (* p < 0.05), ma non è mai scesa al di sotto di
88%.
Fig. 2. – Mean O2 saturation in midazolam group significantly decreased after the local anaesthetic
injection, at half an hour and at the end of the operation (* p < 0.05) , but was never below 88%.
85
V. Çeliker, E. Basgül,
S.
,
, Uzun and Ü. Aypar
TABELLA 3. – Dosi bolo di farmaco richieste dal paziente e dosi somministrate. / TABLE 3. – Patient
demand and delivered bolus dose of drugs.
Dosi bolo richieste
Patient demand of bolus
Dosi bolo somministrate
Delivered bolus dose
Midazolam
44,8 ± 41,3*
5,3 ± 2,8*
Propofol
21,1 ± 17,5
4,1 ± 2,7
Valori medi (± SD). Le dosi richieste dal paziente e le dosi somministrate sono significativamente più
elevate nel gruppo midazolam, * (p < 0.05).
Mean values (± SD). Patient demand of the drug bolus and delivered dose were significantly higher in
midazolam group, * (p < 0.05).
ci si aspettasse una sua diminuzione,
essa invece è aumentata (p < 0.05), fino
al termine dell’intervento. Nel gruppo
Propofol la frequenza cardiaca non è
cambiata di molto (p < 0.05), rimanendo
stabile per tutta la durata dell’intervento
(Fig. 1).
È stata osservata una diminuzione dei
valori di saturazione dell’ossigeno nei
pazienti del gruppo Midazolam dopo
l’infiltrazione del naso con anestetico
locale (p < 0.05). Vi è stata una diminuzione anche nel gruppo Propofol, ma
non significativa. E stata riscontrata differenza nella saturazione di ossigeno tra i
due gruppi dopo 30 minuti e alla fine dell’intervento. La diminuzione della saturazione di ossigeno è stata più marcata
nel gruppo Midazolam rispetto al gruppo
Propofol (Fig. 2). Questo potrebbe essere
dovuto alle maggiori dosi di Fentanyl
utilizzate in questo gruppo (p < 0.05).
Come mostrato in tabella 3, le richieste supplementari di farmaco e le dosi di
bolo somministrate erano differenti nei
due gruppi (p < 0.05).
Non vi sono state differenze statistiche
tra i due gruppi per quanto riguarda il
ricordo delle iniezioni di anestetico locale
al naso. 16 pazienti non hanno ricordato
l’infiltrazione, 13 pazienti hanno riferito dolore medio all’infiltrazione ed un
86
Patient demand and delivered bolus
doses of the drugs were statistically different between the groups, as shown in
table 3 (p < 0.05).
Recall of the local anaesthetic injection to the nose was not statistically
different between the groups. Sixteen
patients did not remember the injection,
13 patients referred mild pain and 1
patient referred moderate pain. There
was no difference between the groups
in terms of pain recall.
Discussion
The patient-controlled infusion method
has been in use for many years, especially in the field of postoperative analgesia, and has been successfully used to
produce sedation during surgical procedures (5, 8-10).
The advantages of this method are its
safety and the possibility for the patient
to titrate sedation according to individual requirements. It is safe because
the patients have to be awake and able
to press the button to activate the infusion. Patient-controlled sedation enables
the patient to titrate the total maintenance dose to match individual needs.
The requirement for each patient varies
according to the degree of anxiety and
Midazolam vs Propofol nella sedazione controllata dal paziente per settoplastica ambulatoriale
paziente dolore moderato. Non vi sono
state differenze tra i due gruppi in termini di ricordo del dolore.
Discussione
Il metodo dell’infusione controllata
dal paziente viene usato da molti anni,
specialmente nel campo dell’analgesia
post-operatoria, ed è stato utilizzato
con successo per ottenere la sedazione
durante procedure chirurgiche (5, 8-10). I
vantaggi di questo metodo sono la sua
sicurezza e la possibilità per il paziente di
determinare la sedazione a seconda delle
esigenze individuali. È sicura perché i
pazienti devono essere svegli per poter
premere il bottone che attiva l’infusione.
La sedazione controllata dal paziente
consente ai pazienti di somministrarsi
la dose totale di mantenimento in base
alle necessità individuali. Le richieste
per ciascun paziente variano a seconda
del grado di ansia ed in base alle differenze farmacodinamiche e farmacocinetiche.
Nel nostro studio, la soddisfazione del
paziente nei riguardi della tecnica di
sedazione controllata, è stata elevata in
entrambi i gruppi, in accordo con quanto
dimostrato da Rudkin et al. (5). Il punteggio VAS riportato dai paziente e dai
chirurghi non differiva tra i due gruppi.
La PCS, oltre a produrre una effettiva
e sicura sedazione intraoperatoria adeguata alle necessità individuali, permette anche una precoce dimissione del
paziente, e può in tal modo diminuire i
costi.
Abbiamo osservato in questo studio
che la richiesta di dosi di bolo di farmaco
e le dosi erogate dal dispositivo sono
state maggiori nei pazienti del gruppo
pharmacokinetic and pharmacodynamic
differences.
In our study, patient satisfaction with
the patient-controlled technique was high
in both groups, in accordance with what
shown by Rudkin et al. (5). The VAS
scores reported by the patient and the
surgeon did not differ between the two
groups.
PCS, in addition to its ability to provide effective and safe intra-operative
sedation that matches individual patient
requirements, can also allow to discharge
the patient early and therefore may
diminish the costs.
Patient demand for bolus doses of
the drug and the dose delivered by the
machine were high in the midazolam
group in our study. This is likely to be
related to its slower onset of effect.
Evidence of variable delayed onset of
effect with midazolam includes work
with the processed electroencephalogram
(EEG), which has been used to measure
central nervous system drug effects (11).
Although sedation levels were similar in
the two groups, this increase in demand
raises the possibility that differences
between the drugs for dose-dependent
anxiolysis, other mood alterations or
analgesia may be responsible for this
difference (5).
The lock-out interval was set to 5
minutes since that is the minimum lockout period for the APM device, and
taking into account the relatively slow
action of midazolam, which may lead to
a ‘stacking effect’ over a period of time,
when a further increment may cause a
delayed overdose (5).
Amnesia was a significant feature in
both groups. This is advantageous in that
unpleasant events are forgotten by the
87
V. Çeliker, E. Basgül,
S.
,
, Uzun and Ü. Aypar
Midazolam. Ciò è probabilmente dovuto
al suo inizio d’azione più lento. L’evidenza di un ritardo variabile nell’inizio
dell’effetto con il Midazolam è riportata
da lavori in cui è stata utilizzata l’elettroencefalografia (EEG) per misurare gli
effetti dei farmaci sul sistema nervoso
centrale (11). Sebbene i livelli di sedazione fossero similari nei due gruppi,
questa richiesta superiore nel gruppo
Midazolam suggerisce la possibilità che
una differenza tra i due farmaci nella
ansiolisi dose-dipendente, o alterazioni
dell’umore o l’analgesia possano essere
responsabili della differenza (5).
L’intervallo di tempo minimo tra due
somministrazioni è stato impostato a 5
minuti dal momento che questo è il
minimo periodo di “lockout” per il dispositivo APM, e tenuto conto della azione
relativamente lenta del Midazolam, che
potrebbe condurre ad un “effetto accumulo” in un certo periodo di tempo, per
cui un ulteriore aumento potrebbe portare ad overdose (5).
L’amnesia è stata una caratteristica
significativa in entrambi i gruppi. È un
vantaggio che gli eventi negativi vengano dimenticati dai pazienti. Nessuno
dei pazienti ricordava di aver percepito
alcun dolore importante durante l’iniezione di anestetico locale. Un effetto
amnesico è comune a tutte le benzodiazepine, compreso il Midazolam (12).
I cambiamenti di pressione sistolica
media e di frequenza respiratoria non
erano significativi in ciascun gruppo a
diversi momenti di misura. In entrambi
i gruppi le pulsazioni medie sono rimaste
nel range della norma. Lo stimolo dovuto
probabilmente all’iniezione di anestetico
locale ha aumentato momentaneamente
nel gruppo Midazolam le pulsazioni.
88
patient. None of the patients remembered any severe pain during the injection
of local anaesthetic. An amnestic effect
is common to all benzodiazepines, including midazolam (12).
Changes in the mean systolic blood
pressure and respiration rate were not
significant in either group at different
measurement times. The mean pulse rate
remained within the normal range in
both groups. Stimulation due to the local
anaesthetic injection probably accounts
for the temporary rise in the pulse rate
in the midazolam group. This can be
explained by the insufficient analgesic
effect of this drug (12), and may also
account for the increased need for additional fentanyl in the midazolam group.
In conclusion, PCS appears to be a
satisfactory technique for ambulatory
septoplasty procedures. In this setting
Propofol seems to be safe and to provide better intraoperative conditions than
midazolam, reducing the need for additional fentanyl.
This study compared propofol and
midazolam in terms of patient-controlled
sedation in septoplasty operations under
the supervision of an anaesthetist. Further studies in different settings should
be planned to assess the feasibility of
PCS with other anaesthetic drugs and for
other surgical procedures.
Midazolam vs Propofol nella sedazione controllata dal paziente per settoplastica ambulatoriale
Questo potrebbe essere dovuto ad un
insufficiente effetto analgesico di questo
farmaco (12), e spiegherebbe l’aumentato
bisogno di Fentanyl nel gruppo Midazolam.
In conclusione, la PCS sembra essere
una tecnica soddisfacente per gli interventi di settoplastica ambulatoriali. In
quest’ottica il Propofol sembra essere
sicuro e determina migliori condizioni
intraoperatorie rispetto al Midazolam,
riducendo la richiesta di dosi supplementari di Fentanyl.
Questo studio ha comparato il Propofol ed il Midazolam come farmaci
per la sedazione controllata dal paziente
in interventi chirurgici di settoplastica
con supervisione anestesiologica. Ulteriori studi in diverse situazioni dovrebbero essere effettuati per verificare la
possibilità di utilizzare la PCS impiegando altri farmaci anestetici e durante
altre procedure chirurgiche.
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89
CASI CLINICI / CASE REPORTS
Movimenti di massa del tronco e degli arti inferiori
in un paziente con morte cerebrale
Descrizione di un caso e revisione della letteratura
Massive jerkings of the trunk and of the lower
limbs in a brain dead patient
A case report and review of the literature
GIORGIO BERLOT, FABRIZIO MONTI (*), ARIELLA TOMASINI,
UMBERTO LUCANGELO
Università di Trieste, Dipartimento di Scienze Chirurgiche Generali, Anestesiologiche e Medicina Intensiva
U.C.O. Anestesia Rianimazione e Terapia del Dolore
(*) Università di Trieste, Dipartimento di Neuroscienze
Riassunto. – Obiettivo: descrivere il caso clinico di un paziente con l’elettroencefalogramma isoelettrico in seguito ad un danno cerebrovascolare che presentò dei movimenti massivi al tronco e agli arti
inferiori dopo minime stimolazioni mentre era sottoposto alle procedure di accertamento di morte cerebrale. Sede: una terapia intensiva multidisciplinare di 11 posti letto. Procedure: sono descritti e discussi
l’iter diagnostico che include la TC cranio, l’EEG, i potenziali evocati del tronco e l’angiografia cerebrale. Conclusioni: il verificarsi di movimenti in pazienti con morte cerebrale può indurre perplessità
sulla loro origine e sul loro significato. Possono essere utili ulteriori approfondimenti di questi casi per
evitare problemi etici sia ai parenti che al personale medico di questi pazienti.
Parole chiave: morte cerebrale, segno di Lazzaro.
Abstract. – Objective: to describe the case of patient with an isoelectric electroencephalogram following a cerebrovascular accident who presented massive movements of his trunk and legs in response
to minimal stimulations while undergoing a formal procedure for the declaration of brain death.
Design: The history as well the procedures are described. Setting: a multidisciplinary university 11-bed
ICU. Interventions: the diagnostic work up, which included TC scan, EEG, brainstem evoked potentials and angiography are described and discussed. Conclusions: the occurrence of movements in brain
dead patients may represent an upsetting circumstances. In order to avoid any ethical dilemma for the
relatives as well as for the caregivers, more investigations, although not strictly necessary, could be
advisable.
Key Words: Brain death, jerkings, Lazarus’sign
Indirizzo per la richiesta di estratti
Address reprint:
Prof. GIORGIO BERLOT
U.C.O. Anestesia Rianimazione e Terapia del Dolore - Ospedale di Cattinara
Strada di Fiume 447 - 34100 Trieste - Tel. +390403994540 - Fax +39040912278
E-Mail: [email protected]
90
ACTA ANAESTH. ITALICA
55, 90-95, 2004
Movimenti di massa del tronco e degli arti inferiori in un paziente con morte cerebrale
Introduzione
Introduction
ebbene i criteri richiesti per la diagnosi di morte cerebrale (MC) nei
pazienti adulti varino nei diversi
paesi, alcuni di questi, quali la mancanza
di responsività agli stimoli, la cessazione
della respirazione spontanea e dei riflessi
del tronco, in assenza di effetti farmacologici e/o di ipotermia sono comuni
a tutte le legislazioni (1). In pazienti
con morte cerebrale sono stati descritti
riflessi spinali ed altri automatismi, e
la loro presenza può creare degli stress
emozionali sia nei parenti che nel personale medico, soprattutto quando sono iniziate le procedure per l’espianto d’organi.
In casi più rari questi movimenti appaiono essere più complessi e coinvolgono
maggiore massa muscolare mimando
risposte finalistiche. In questo articolo gli
autori descrivono il caso di un paziente
in BD che presentò la contrazione degli
arti inferiori e del tronco in risposta alla
flessione della testa.
lthough the criteria requested for
the diagnosis of brain death (BD)
in adult patients vary among
different countries, common features
include the complete unresponsiveness,
the cessation of the spontaneous breathing and the lack of brainstem reflexes,
in the absence of the effects of drugs
and/or hypothermia (1). Spinal reflexes
and other automatisms have been described in brain dead subjects, and their presence can create emotional distress both
in the relatives and in the caregivers,
especially when an organ harvesting procedure is scheduled. In rather uncommon cases, these movements appear
more complex and involve large muscle
masses, giving the impression of almost
purposeful responses. Here we report
a case of a BD patient who presented
sudden and massive jerkings of the legs
and of the trunk in response to head
movements.
Caso clinico
Case description
Un uomo di 32 anni venne accolto nel nostro
reparto di terapia intensiva con un Glasgow Coma
Score (GCS) = 3 in seguito ad un’importante
emorragia sopratentoriale con inondazione massiva ventricolare. Fu immediatamente posizionato
un drenaggio ventricolare, ma le condizioni cliniche non migliorarono; anzi, nelle ore seguenti il
paziente divenne emodinamicamente instabile e
vi fu la comparsa di diabete insipido, che richiesero la somministrazione di farmaci vasopressori
e di vasopressina. Ventiquattro ore più tardi il
GCS risultava invariato, i riflessi del tronco
non più elicitabili, il test dell’apnea divenne positivo; la registrazione dell’elettroencefalogramma
(EEG) amplificato dimostrò un tracciato isolettrico. In accordo alla corrente legislazione italiana, la morte cerebrale in un adulto può essere
dichiarata quando l’EEG rimane isoelettrico per
sei ore, in assenza di attività respiratoria sponta-
A 32 year-old-man was admitted to our Intensive Care Unit with a Glasgow Coma Score
(GCS) = 3 due to a large supratentorial haemorrhage and a massive intraventricular bleeding. A
ventricular drainage was immediately positioned,
but the neurologic conditions did not change;
conversely, in the next few hours the patient
became hemodinamically unstable and a diabetes insipidus appeared, requiring the administration of vasoactive agents and arginin-vasopressin.
Twenty-fours hours later, the GCS was unchanged, the brainstem reflexes were not elicitable,
the apnea test was positive; a maximally amplified electroencephalogram (EEG) was then recorded which resulted isoelectric. According to the
current Italian law, in a adult patient the BD can
be diagnosed when the EEG remains isoelectric
for six hours, in the absence of either spontaneous
breathing and brainstem reflexes, provided that
S
A
91
G. Berlot, F. Monti, A. Tomasini, U. Lucangelo
nea e di riflessi spinali, e in assenza di farmaci
sedativi, di miorilassanti e/o di ipotermia. Quando
tali criteri furono riscontrati, si avviò la procedura
formale per la dichiarazione di avvenuta morte
cerebrale, e venne richiesto il consenso ai parenti
per il prelievo d’organi. Immediatamente prima
della registrazione del secondo EEG, si osservò la
comparsa di ripetute importanti flessioni degli
arti inferiori associate alla estensione bilaterale
dei piedi e alla flessione del tronco in seguito
movimenti di estensione e rotazione del capo per
per l’applicazione degli elettrodi EEG. L’EEG
registrato nell’intervallo tra queste contrazioni si
mantenne isoelettrico e il test non si modificò. I
movimenti perdurarono durante l’intero periodo
di osservazione, anche se la loro intensità diminuì
quando in seguito all’applicazione ripetuta degli
stimoli, e continuarono fino alla fine delle sei ore
di osservazione. Per soddisfare le richieste dei
parenti ed eliminare ogni dubbio furono eseguite
(a) la registrazione dei potenziali evocati uditivi
(BAEP) e di quelli somatosensoriali (SSEP) che
dimostrarono l’assenza del II BAEP attraverso
l’onda V (Fig.1), la conservazione dell’onda N13
e la scomparsa delle onde SSEP corticali; e (b)
la TC spirale del cranio dopo somministrazione
di mezzo di contrasto che dimostrò l’assenza di
flusso ematico intracerebrale. Una volta che la
the effects of sedatives, neuromuscolar blocking
agents and/or hypothermia can be reliably excluded. Since all these criteria had been fulfilled,
a formal procedure for the diagnosis of BD was
implemented, and the relatives were requested
the consensus for an organ harvesting procedure.
Immediately prior the recording of the second
EEG, repeated brisk flexions of both legs associated with the bilateral extension of the feet and
flexion of the trunk appeared when the head was
extended and tilted to apply the scalp electrodes.
The EEG, recorded in between these jerkings,
was isoelectric and the apnea test remained positive. The movements persisted throughout the
observation period, even if their intensity tended
to diminish when the trigger stimuluses were
applied repeatedly, and continued until the end
of the six hours. To satisfy the relatives’ requests
and to ban any doubt, other investigations were
carried out, including (a) the recording of the
brainstem auditory evoked potentials (BAEP) and
of the somatosensorial evoked potentials (SSEP),
which demonstrated the absence of BAEP II
through V waves (Fig. 1), the preservation of
the N13 wave and the loss of SSEP cortical
waves, respectively; and (b) a helical CT scan of
the brain after the administration of iv. contrast,
which demonstrated the absence of the intracere-
Fig. 1. – Potenziali evocati acustici del tronco cerebrale. Prima e seconda linea: lato sinistro; terza e
quarta linea: lato destro. Ogni traccia rappresenta la media di 1500 stimoli uditivi (click) presentati a
11,1 Hz e a 100 dB.
Fig. 1. – Brainstem auditory evoked potentials: first and second line: left side; third and fouth line: right
side. Each trace is the average of 1500 clicks presented at 11.1 Hz and 100 dB.
92
Movimenti di massa del tronco e degli arti inferiori in un paziente con morte cerebrale
diagnosi di MC fu confermata anche da questi
accertamenti, si ottenne il consenso dei parenti e
si procedette al prelievo d’organi.
Discussione
Diversi tipi di movimento sono compatibili con la diagnosi di MC, dai
movimenti fini delle dita a più rari
automatismi complessi (2). Queste risposte appaiono piuttosto eterogenee dal
momento che (a) esse possono originare
dal C1 e inferiori; (b) possono coinvolgere un numero variabile di metameri;
e, (c) possono verificarsi sia spontaneamente che dopo l’applicazione di diversi
stimoli quali dolorifici, motori (movimenti del cap), tracheali (aspirazione)
etc (3, 4). Tra questi movimenti il segno di
Lazzaro è particolarmente pronunciato
e consiste, nella sua forma completa,
nel sollevamento di entrambe le braccia
con la flessione dei gomiti, a volte associato con la rotazione e l’adduzione delle
spalle e la pronazione degli avambracci
(5). Sono stati descritti numerosi altri
movimenti limitati, inclusi la flessione
spontanea delle dita, la flessione delle
gambe, il riflesso di prono-estensione
degli arti superiori, le risposte flessorie
plantari e le miochimie facciali (2, 6, 7). La
comparsa di riflessi spinali e di automatismi in corso di MC può essere attribuita
principalmente alla perdita di controllo
da parte di centri cerebrali localizzati nel
tronco cerebrale e nella corteccia filogeneticamente recenti su altri più arcaici.
Altri movimenti più semplici possono
anche rappresentare le distruzione della
rete neuronale con il conseguente prevalere di vie spinali che rilasciano spontaneamente impulsi nervosi (3). Questi
movimenti compaiono tra le 2 e le 20 ore
di MC, una volta risoltasi la fase di shock
bral blood flow. Once the diagnosis of BD had
been confirmed well beyond the already strict
legal criteria, the relatives’consensus was obtained and the organ-harvesting procedure was carried out.
Discussion
Movements of various entity, ranging
from minor finger jerks to rather complex automatisms and reflexes involving
the limbs are compatible with the diagnosis of BD (2). These responses appears rather heterogeneous, as (a) they can
originate from the C1 level downward;
(b) can involve a variable number of
spinal segments; and (c) can occur either
spontaneously or after the application
of various triggers, including noxious
stimulations, head movements, tracheal
suctioning etc (3, 4). Among all, the Lazarus’sign is particularly striking, as it
consists, in its complete form, in the raising of both arms with the flexion of
the elbows, possibly associated with the
rotation and adduction of the shoulders
and the pronation of the forearms (5).
Several other more limited movements
have been described, including the spontaneous jerks of the fingers, the triple
flexions of the limbs, the pronationextension reflex of the upper limbs, the
flexor plantal responses and facial myokimias (2, 6, 7). The appearance of spinal
reflexes and automatisms in BD can
be primarily attributed to the escape
of phylogenetically older spinal regions
from the control of more recently developed centres located either in the brainstem and in the neocortex, whereas other
simpler movements merely represent the
disintegration of the neuronal network
with the subsequent spontaneous firing
of remnant viable spinal neurons and/or
irradiation phenomena (3). The time93
G. Berlot, F. Monti, A. Tomasini, U. Lucangelo
spinale (3). Anche nel nostro paziente tali
movimenti comparvero quando l’EEG
era già isoelettrico, ossia circa dopo 24
ore dal danno cerebrale iniziale, e diventarono meno evidenti con la ripetizione
dello stimolo e con il decremento della
temperatura corporea; a tele proposito è
ipotizzabile che l’ipotermia abbia comportato una progressiva ridotta perfusione delle aree spinali coinvolte. Le
indagini diagnostiche supplementari condotte sul nostro paziente meritano qualche commento dal momento che possono
apparire ridondanti, inutili e dispendiose.
Sicuramente la diagnosi di MC deve
essere accertata senza alcun dubbio per
le conseguenze etiche, mediche e legali
che possono derivare da una situazione
di incertezza, soprattutto quando sono
avviate le procedure per il prelievo d’organi (8). Nel nostro caso, i movimenti
osservati sembrano solo in parte essere
causati da riflessi del tronco: alcuni
movimenti del tronco e delle spalle possono originare da centri sopraspinali e in
loro presenza, la diagnosi di MC non può
essere stabilita o esclusa fino a quando
non è identificata l’esatta loro origine.
Nel tentativo di eliminare ogni dubbio
sulla diagnosi, sono stati eseguiti sia i
BAEP che i SSEP; queste indagini hanno
dimostrato avere un importante valore
prognostico e diagnostico e sebbene esse
possano fornire risultati discordanti e
varabili durante il decorso clinico (9),
l’assenza di entrambi i segnali indica
l’interruzione delle vie nervose che connettono la periferia al tronco e alla corteccia cerebrali. Per quanto riguarda gli
SSEP, la perfusione del midollo allungato
da parte dei vasi extracranici potrebbe
essere responsabile della persistenza dell’onda N13 nonostante la totale assenza
94
frame of appearance of these movements
varies from 2 to 20 hours, once the
phase of spinal shock following BD has
been overcome (3). Actually, also in our
patient the described movements appeared when the EEG was already isoelectric, that is about 24 hours after the
initial insult, but became feebler either
when the stimuluses were repeatedly
applied and with the decrease of the
body temperature; this latter finding probably reflects a progressively reduced
perfusion of the involved spinal areas.
The supplementary investigations performed worth some comments, as they can
appear redundant, useless and both timeand resources-consuming. Actually, the
diagnosis of BD must be certain beyond
any reasonable doubt due to the relevant
ethical, medical and legal consequences
deriving from even a marginal degree of
uncertainty, and this especially applies
when an organ harvesting procedure is
schedulable (8). In our case, there was
much concern among the attending staff
that brainstem reflexes could account for
at least part of the observed phenomena:
actually, some movements involving the
trunk and the shoulder can originate
from sopraspinal centres and, in their
presence, the diagnosis of BD cannot be
established or excluded until their source
is definitely identified. In order to eliminate any possible doubt on the diagnosis we recorded both BAEP and SSEP;
these investigations have been demonstrated valuable prognostic and diagnostic tools and, although they can carry
conflicting results in case of discordance
and vary during the clinical course (9),
the absence of both of them indicates
the interruption of the nervous pathways
connecting the periphery to the brain-
Movimenti di massa del tronco e degli arti inferiori in un paziente con morte cerebrale
di flusso ematico intracranico dimostrato
dalla angioTC cerebrale.
Conclusione
Nonostante alcune variazioni dovute alle
diverse legislazioni, la diagnosi di BD si
basa sulla mancanza di risposta agli stimoli
e sull’assenza della respirazione spontanea per mancanza di controllo del tronco
cerebrale. Sebbene la presenza di riflessi
spinali e di automatismi non esclude tale
diagnosi, è raccomandabile eseguire ulteriori indagini di quelle richieste dalle procedure legali, in modo da rassicurare i
parenti dei pazienti che osservano movimenti in un soggetto dichiarato clinicamente morto e in modo da confermare la
correttezza della diagnosi.
References
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New Engl J Med 2001; 344: 1215-1221.
2. Saposnik G, Bueri JA, Maurino J, Saizar R,
Garretto NS.“Spontaneous and reflex movements in brain death” Neurology 2000; 54:
221-223.
3. Spittler JF, Wortmann D, von During M,
Gehlen W. “Phenomenological diversity of
spinal reflexes in brain death” Eur J Neurol
2000; 7: 315-321.
4. Turmel A, Roux A, Bojanowsky MW. “Spinal
man after declaration of brain death” Neurosurgery 1991; 28: 298-302.
5. Bueri J, Saposnik G, Maurino J, Saizar R, Garretto NS. “Lazarus’sign in brain death” Mov
Disord 2000; 15: 583-586.
6. Awada A. “Automatismes réflex inhabituels
aprés mort cérébrale” Rev Neurol (Paris) 1995;
151: 586-588.
7. Saposnik G, Maurino J, Saizar R. “Facial myokymia in brain death” Eur J Neurol 2001; 8:
227-230.
8. Van Norman GA. “A matter of life and death”
Anesthesiology 1991; 91: 275-280.
9. Facco E, Munari M “The role of evoked potentials in severe head injury” Intens Care Med
2000; 26: 998-1005.
stem and to the cortex. As far as the
SSEP are concerned, the blood supply to
the medulla oblungata from extracranial
vessels could account for the persistence
of the N13 wave despite the absence
of intracranial blood flow demonstrated
with the CT angiography.
Conclusions
Despite some variations due to different legislations, the diagnosis of BD
is based on the unresponsiveness, the
absence of the brainstem reflexes of
the spontaneous breathing. Although the
presence of spinal reflexes and automatisms does not exclude this diagnosis,
when they are particularly pronounced it
could be worthwhile to extend the investigations beyond the legal requirements
in order either to reassure the relatives
who see movements in a patient decleared BD and to confirm the correctness of
the diagnosis.
95
ARGOMENTI ATTUALI / CURRENT TOPICS
Addio alla dopamina a dosaggio renale?
A farewell to renal-dose dopamine?
MARCO LUCHETTI, MASSIMO BERTOLINI, GIUSEPPE MARRARO
S.C. Anestesia & Rianimazione, A.O. “Fatebenefratelli & Oftalmico” Milano - Italia
Introduzione
Introduction
er molti anni la dopamina è stata
considerata un farmaco essenziale
in terapia intensiva, per i suoi effetti
cardiovascolari e ancor più per il suo
presunto effetto protettivo sulla funzione
renale e sulla perfusione splancnica.
La dopamina a basso dosaggio (2-5
mcg/kg/min) aumenta il volume urinario ed è usata abitualmente in maniera
profilattica per prevenire l’insufficienza
renale acuta, sebbene non esista una
chiara evidenza dei suoi benefici. Si ipotizza che essa protegga il vulnerabile
tubulo prossimale che è il segmento del
nefrone a più alto consumo di energia. A
basse dosi la dopamina vasodilata la circolazione intra-renale, inibisce l’attività
della Na/K ATPasi a livello del tubulo
prossimale e può ridurre lo squilibrio tra
energia richiesta ed energia fornita provocato dall’ipoperfusione.
L’ipotesi rimane comunque non dimostrata, nonostante i trials effettuati in
or many years, dopamine was considered an essential drug in the
intensive care unit for its cardiovascular effects and, even more, for its
supposedly protective effects on renal
function and splanchnic mucosal perfusion.
Low dose intravenous dopamine (2-5
mcg/kg/min) increases urine volume and
is commonly used prophylactically to
prevent acute renal failure although
clear evidence of benefit is absent. Dopamine is hypothesized to protect the vulnerable proximal tubule which is the
most energy-consumptive segment of the
nephron. At low doses, dopamine vasodilates the intra-renal circulation, inhibits
proximal tubular Na/K ATPase activity
and may reduce the mismatch between
energy supply and demand which results
from hypoperfusion.
The hypothesis remains unproven
despite trials in relatively homogeneous
patient groups, such as those undergoing
cardiopulmonary bypass surgery, major
vascular surgery or radiocontrast interventions. This lack of evidence in part
reflects the use of imprecise measures
of renal function and inadequate monitoring of systemic haemodynamics.
P
Indirizzo per la richiesta di estratti
Address for reprints
MARCO LUCHETTI, MD
S.C. di Anestesia e Rianimazione
Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli e Oftalmico
Corsa Porta Nuova, 23 - 20121 Milano - Italia
E-Mail: [email protected]
96
F
ACTA ANAESTH. ITALICA
55, 96-105, 2004
Addio alla dopamina a dosaggio renale?
gruppi di pazienti relativamente omogenei, quali quelli sottoposti a by-pass
cardiopolmonare, chirurgia vascolare
maggiore o procedure con radiocontrasto. Questa mancanza di evidenza in
parte è dovuta all’uso di misure di funzione renale imprecise o al monitoraggio
inadeguato dell’emodinamica sistemica.
Negli ultimi anni diversi studi di metaanalisi e revisione sistematica hanno concluso che la dopamina a basso dosaggio
è inefficace nella prevenzione e nel trattamento dell’insufficienza renale acuta così
come nella protezione dell’intestino.
Riportiamo, qui di seguito, i riassunti
di sei lavori recentemente pubblicati sull’argomento: i primi tre sono tratti dai
maggiori studi che criticano l’uso della
dopamina a basso dosaggio, gli altri tre
invece sono studi recenti che ancora
riportano risultati positivi dal suo uso.
1.
Lancet 2000; 23-30; 356 (9248): 2139-43.
Low-dose dopamine in patients with early
renal dysfunction: a placebo-controlled
randomised trial. Australian and
New Zealand Intensive Care Society
(ANZICS) Clinical Trials Group.
Bellomo R, Chapman M, Finfer S, Hickling K,
Myburgh J.
BACKGROUND: Low-dose dopamine is commonly administered to critically ill patients in the
belief that it reduces the risk of renal failure by
increasing renal blood flow. However, these effects
have not been established in a large randomised
controlled trial, and use of dopamine remains controversial. We have done a multicentre, randomised,
double-blind, placebo-controlled study of low-dose
dopamine in patients with at least two criteria for
the systemic inflammatory response syndrome and
clinical evidence of early renal dysfunction (oliguria or increase in serum creatinine concentration).
METHODS: 328 patients admitted to 23 participating intensive-care units (ICUs) were randomly
assigned a continuous intravenous infusion of lowdose dopamine (2 microg kg(-1) min(-1)) or pla-
In the last few years, several metaanalysis and systematic review studies
have concluded that low dose dopamine
is ineffective for prevention and treatment of acute renal failure and for protection of the gut.
The following pages contain summaries of six papers recently published on
the topic: the first three summaries are
from some of the major studies criticizing the use of low-dose dopamine, the
other three ones instead are from recent
articles that still report good results from
its use.
1.
Lancet 2000; 23-30; 356 (9248): 2139-43.
Low-dose dopamine in patients with early
renal dysfunction: a placebo-controlled
randomised trial. Australian and
New Zealand Intensive Care Society
(ANZICS) Clinical Trials Group.
Bellomo R, Chapman M, Finfer S, Hickling K,
Myburgh J.
BACKGROUND: Low-dose dopamine is commonly administered to critically ill patients in
the belief that it reduces the risk of renal failure
by increasing renal blood flow. However, these
effects have not been established in a large randomised controlled trial, and use of dopamine
remains controversial. We have done a multicentre, randomised, double-blind, placebo-controlled study of low-dose dopamine in patients with
at least two criteria for the systemic inflammatory response syndrome and clinical evidence
of early renal dysfunction (oliguria or increase
in serum creatinine concentration). METHODS:
328 patients admitted to 23 participating intensive-care units (ICUs) were randomly assigned
a continuous intravenous infusion of low-dose
dopamine (2 microg kg(-1) min(-1)) or placebo
administered through a central venous catheter
while in the ICU. The primary endpoint was
the peak serum creatinine concentration during
the infusion. Analyses excluded four patients
with major protocol violations. FINDINGS: The
groups assigned dopamine (n=161) and placebo
(n=163) were similar in terms of baseline cha-
97
M. Luchetti, M. Bertolini, G. Marraro
cebo administered through a central venous catheter
while in the ICU. The primary endpoint was the
peak serum creatinine concentration during the
infusion. Analyses excluded four patients with
major protocol violations. FINDINGS: The groups
assigned dopamine (n=161) and placebo (n=163)
were similar in terms of baseline characteristics,
renal function, and duration of trial infusion. There
was no difference between the dopamine and placebo groups in peak serum creatinine concentration during treatment (245 [SD 144] vs 249 [147]
micromol/L; p=0.93), in the increase from baseline to highest value during treatment (62 [107] vs
66 [108] micromol/L; p=0.82), or in the numbers
of patients whose serum creatinine concentration
exceeded 300 micromol/L (56 vs 56; p=0.92) or
who required renal replacement therapy (35 vs 40;
p=0.55). Durations of ICU stay (13 [14] vs 14 [15]
days; p=0.67) and of hospital stay (29 [27] vs 33
[39] days; p=0.29) were also similar. There were
69 deaths in the dopamine group and 66 in the placebo group. INTERPRETATION: Administration
of low-dose dopamine by continuous intravenous
infusion to critically ill patients at risk of renal failure does not confer clinically significant protection from renal dysfunction.
Questo è uno studio multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato verso placebo,
che analizza l’uso della dopamina a basso dosaggio su un ampio campione di pazienti adulti
(n=328) affetti da sindrome da risposta infiammatoria sistemica e iniziale disfunzione renale. Nessuna differenza è stata riscontrata tra il gruppo
trattato con dopamina e quello trattato con placebo rispetto a tutti i parametri studiati. Anche
la durata della degenza in terapia intensiva e
in ospedale erano simili. Gli Autori concludono
che la dopamina a basso dosaggio non conferisce
alcuna protezione significativa nei confronti della
disfunzione renale in pazienti critici a rischio di
insufficienza renale.
2.
Intensive Care Med 2001; 27 (1): 206-10.
Low-dose dopamine in neonatal and pediatric
intensive care: a systematic review.
Prins I, Plotz FB, Uiterwaal CS, van Vught HJ.
OBJECTIVES: To assess the current use of lowdose dopamine (< 5 microg/kg per minute) to
improve renal function and urine volume (UV) in
neonatal (NICU) and pediatric (PICU) intensive
98
racteristics, renal function, and duration of trial
infusion. There was no difference between the
dopamine and placebo groups in peak serum creatinine concentration during treatment (245 [SD
144] vs 249 [147] micromol/L; p=0.93), in the
increase from baseline to highest value during
treatment (62 [107] vs 66 [108] micromol/L;
p=0.82), or in the numbers of patients whose
serum creatinine concentration exceeded 300
micromol/L (56 vs 56; p=0.92) or who required
renal replacement therapy (35 vs 40; p=0.55).
Durations of ICU stay (13 [14] vs 14 [15] days;
p=0.67) and of hospital stay (29 [27] vs 33 [39]
days; p=0.29) were also similar. There were 69
deaths in the dopamine group and 66 in the placebo group. INTERPRETATION: Administration
of low-dose dopamine by continuous intravenous
infusion to critically ill patients at risk of renal
failure does not confer clinically significant protection from renal dysfunction.
This is a multicentre, randomised, double-blind,
placebo-controlled study of low-dose dopamine
performed on a large sample of adult patients
(n=328) with systemic inflammatory response
syndrome and early renal dysfunction. No difference was found between the dopamine and placebo groups with regard to all the parameters
studied. Durations of ICU and hospital stay
were also similar. The Authors conclude that lowdose dopamine does not confer any significant
protection from renal dysfunction in critically ill
patients at risk of renal failure.
2.
Intensive Care Med 2001;27(1):206-10.
Low-dose dopamine in neonatal and pediatric
intensive care: a systematic review.
Prins I, Plotz FB, Uiterwaal CS, van Vught HJ.
OBJECTIVES: To assess the current use of
low-dose dopamine (< 5 microg/kg per minute) to
improve renal function and urine volume (UV) in
neonatal (NICU) and pediatric (PICU) intensive
care units, and to assess the available evidence to
support this practice. DESIGN: A written survey
was used to assess the current use of low-dose
dopamine among all 19 NICUs and PICUs in the
Netherlands. In addition, a review of the literature
of clinical intervention studies in which low-dose
dopamine was administered to improve renal function and UV was performed. METHODS: The
clinical intervention studies focused on preterm
Addio alla dopamina a dosaggio renale?
care units, and to assess the available evidence to
support this practice. DESIGN: A written survey
was used to assess the current use of low-dose
dopamine among all 19 NICUs and PICUs in the
Netherlands. In addition, a review of the literature
of clinical intervention studies in which low-dose
dopamine was administered to improve renal function and UV was performed. METHODS: The
clinical intervention studies focused on preterm
neonates, critically ill infants and children, and
those who underwent cardiac surgery. Either creatinine clearance or glomerular filtration rate and
increase in UV were used to measure renal function improvement. RESULTS: Our survey showed
that among the 19 NICUs and PICUs, dopamine
is regularly used either to improve renal function
(n = 7) or to enhance UV (n = 13). The literature
review identified seven clinical studies. Of these
only one was a randomized controlled trial in preterm neonates, and this showed no positive correlation between renal function and UV. The other
studies were uncontrolled experiments in preterm
infants that claimed positive effects on UV (n = 5)
and creatinine clearance (n = 2). CONCLUSIONS:
The widespread use today of low-dose dopamine
in Dutch NICUs and PICUs is not supported in the
literature. Evidence from well performed clinical
studies to support the use of low-dose dopamine
for improving renal function and UV in critically ill
neonates and children is largely insufficient. In view
of adverse effects, the use of low-dose dopamine in
neonatal and pediatric intensive care patients should
be reconsidered.
Questa revisione sistematica analizza l’uso della
dopamina a basso dosaggio nelle unità di terapia
intensiva neonatale e pediatrica dei Paesi Bassi.
I risultati dello studio mostrano che, attualmente,
l’evidenza a supporto dell’uso della dopamina a
basso dosaggio per migliorare la funzione renale
e la diuresi in neonati e bambini critici è insufficiente. Gli Autori concludono che l’uso della dopamina a basso dosaggio in questa popolazione di
pazienti dovrebbe essere riconsiderato.
3.
Crit Care Med 2001; 29 (8): 1526-31.
Use of dopamine in acute renal failure: a
meta-analysis.
Kellum JA, M Decker J.
OBJECTIVE: To determine whether low-dose
dopamine administration reduces the incidence
neonates, critically ill infants and children, and
those who underwent cardiac surgery. Either creatinine clearance or glomerular filtration rate
and increase in UV were used to measure renal
function improvement. RESULTS: Our survey
showed that among the 19 NICUs and PICUs,
dopamine is regularly used either to improve
renal function (n = 7) or to enhance UV (n = 13).
The literature review identified seven clinical studies. Of these only one was a randomized controlled trial in preterm neonates, and this showed no
positive correlation between renal function and
UV. The other studies were uncontrolled experiments in preterm infants that claimed positive
effects on UV (n = 5) and creatinine clearance
(n = 2). CONCLUSIONS: The widespread use
today of low-dose dopamine in Dutch NICUs and
PICUs is not supported in the literature. Evidence
from well performed clinical studies to support
the use of low-dose dopamine for improving renal
function and UV in critically ill neonates and children is largely insufficient. In view of adverse
effects, the use of low-dose dopamine in neonatal and pediatric intensive care patients should be
reconsidered.
This systematic review addresses the use of
low-dose dopamine in Dutch neonatal and pediatric intensive care units. The results from the
study show that, to date, the evidence supporting
the use of low-dose dopamine for improving renal
function and urine output in critically ill neonates
and children is insufficient. The Authors conclude
that the use of low-dose dopamine in neonatal
and pediatric intensive care patients should be
reconsidered.
3.
Crit Care Med 2001; 29 (8): 1526-31.
Use of dopamine in acute renal failure:
a meta-analysis.
Kellum JA, M Decker J.
OBJECTIVE: To determine whether low-dose
dopamine administration reduces the incidence
or severity of acute renal failure, need for dialysis, or mortality in patients with critical illness.
DATA SOURCES AND STUDY SELECTION:
We performed a MEDLINE search of literature
published from 1966 to 2000 for studies addressing the use of dopamine in the prevention
and/or treatment of renal dysfunction. DATA
EXTRACTION: Data were abstracted regarding
99
M. Luchetti, M. Bertolini, G. Marraro
or severity of acute renal failure, need for dialysis, or mortality in patients with critical illness.
DATA SOURCES AND STUDY SELECTION:
We performed a MEDLINE search of literature
published from 1966 to 2000 for studies addressing the use of dopamine in the prevention
and/or treatment of renal dysfunction. DATA
EXTRACTION: Data were abstracted regarding
design characteristics, population, intervention,
and outcomes. Results of individual randomized
clinical trials were pooled using a fixed effects
model and a Mantel-Haenszel weighted chisquare analysis. DATA SYNTHESIS: We identified a total of 58 studies (n = 2149). Of these,
outcome data were reported in 24 studies (n =
1019) and 17 of these were randomized clinical
trials (n = 854). Dopamine did not prevent mortality, (relative risk, 0.90 [0.44-1.83]; p =.92),
onset of acute renal failure (relative risk, 0.81
[0.55-1.19]; p =.34), or need for dialysis, (relative risk, 0.83 [0.55-1.24]; p =.42). There was
sufficient statistical power to exclude any large
(>50%) effect of dopamine on the risk of acute
renal failure or need for dialysis. CONCLUSIONS: The use of low-dose dopamine for the
treatment or prevention of acute renal failure
cannot be justified on the basis of available evidence and should be eliminated from routine clinical use.
Questa meta-analisi rivisita la letteratura pubblicata nelle ultime decadi, alla ricerca di studi
che valutino l’uso della dopamina nella prevenzione e/o trattamento della disfunzione renale. I
risultati ottenuti dimostrano che la dopamina non
previene la mortalità, né l’insorgenza di insufficienza renale acuta, né la necessità di trattamento dialitico. Gli Autori concludono che lo
stato attuale delle conoscenze non giustifica l’uso
della dopamina a basso dosaggio per il trattamento o la prevenzione dell’insufficienza renale
acuta.
4.
J Nephrol 2001; 14 (5): 397-402.
Low dose dopamine infusion reduces renal
tubular injury following cardiopulmonary
bypass surgery.
Sumeray M, Robertson C, Lapsley M,
Bomanji J, Norman AG, Woolfson RG.
BACKGROUND: The use of dopamine to
protect the kidneys against hypoperfusion injury
100
design characteristics, population, intervention,
and outcomes. Results of individual randomized
clinical trials were pooled using a fixed effects
model and a Mantel-Haenszel weighted chisquare analysis. DATA SYNTHESIS: We identified a total of 58 studies (n = 2149). Of these,
outcome data were reported in 24 studies (n =
1019) and 17 of these were randomized clinical
trials (n = 854). Dopamine did not prevent mortality, (relative risk, 0.90 [0.44-1.83]; p =.92),
onset of acute renal failure (relative risk, 0.81
[0.55-1.19]; p =.34), or need for dialysis, (relative risk, 0.83 [0.55-1.24]; p =.42). There was
sufficient statistical power to exclude any large
(>50%) effect of dopamine on the risk of acute
renal failure or need for dialysis. CONCLUSIONS: The use of low-dose dopamine for the
treatment or prevention of acute renal failure
cannot be justified on the basis of available evidence and should be eliminated from routine clinical use.
This meta-analysis reviews the literature
published in the last decades for studies addressing the use of dopamine in the prevention and/or
treatment of renal dysfunction. The results obtained showed that dopamine did not prevent mortality, onset of acute renal failure, or need for
dialysis. The Authors conclude that the available
evidence does not justify the use of low-dose
dopamine for the treatment or prevention of acute
renal failure.
4.
J Nephrol 2001; 14 (5): 397-402.
Low dose dopamine infusion reduces renal
tubular injury following cardiopulmonary
bypass surgery.
Sumeray M, Robertson C, Lapsley M, Bomanji
J, Norman AG, Woolfson RG.
BACKGROUND: The use of dopamine to protect the kidneys against hypoperfusion injury
remains controversial with little clinical evidence
of benefit and increasing concerns regarding
safety. In this double-blind, prospective, randomised study, we investigated the effect of
dopamine infusion (2.5 microg/kg/min) on glomerular filtration rate (GFR) and tubular injury
in patients undergoing routine cardiopulmonary
bypass (CPB). METHODS: Forty eight patients
were randomly assigned to receive intravenous
dopamine or saline from induction of anaesthe-
Addio alla dopamina a dosaggio renale?
remains controversial with little clinical evidence of benefit and increasing concerns regarding safety. In this double-blind, prospective,
randomised study, we investigated the effect of
dopamine infusion (2.5 microg/kg/min) on glomerular filtration rate (GFR) and tubular injury
in patients undergoing routine cardiopulmonary
bypass (CPB). METHODS: Forty eight patients
were randomly assigned to receive intravenous
dopamine or saline from induction of anaesthesia until 48 hours post-operatively. There were
no differences in mean age, bypass time or
pre-op creatinine in the 36 patients (33 men)
who completed the study. 51Cr-EDTA GFR
(ml/min/1.73 m2) was measured pre-operatively and on day 5 only. Urinary markers of
tubular injury (albumin, N-acetyl glucosaminidase, NAG; retinol binding protein, RBP) were
measured pre-operatively, and on days 1, 2 and
5. RESULTS: GFR was preserved equally in
both groups. All patients demonstrated significant tubular injury but urinary levels of NAG
and RBP were lower in the dopamine group
(41%, p=0.057 and 41%, p=0.007, respectively) on the first post-operative day. CONCLUSION: We conclude that low dose dopamine
infusion may reduce renal tubular injury following CPB in patients with normal or near
normal baseline renal function.
Questo è uno studio prospettico, randomizzato, in doppio cieco, controllato, che analizza
l’effetto della dopamina sulla filtrazione glomerulare e sul danno tubulare in 48 pazienti sottoposti a by-pass cardiopolmonare d’elezione
(CPB). Gli Autori concludono che la dopamina
non influenza negativamente la funzione renale
nel gruppo di pazienti a basso rischio analizzato. I risultati suggeriscono che la dopamina
è in grado di ridurre la disfunzione tubulare
e il danno indotto dal CPB. Quale che sia il
meccanismo di questo danno tubulare, l’inibizione del consumo di ATP a livello dell’epitelio tubulare prossimale indotta dalla dopamina
sembra offrire una certa protezione. Sebbene
questa protezione possa non essere clinicamente rilevante in questo gruppo a basso
rischio, secondo gli Autori, essa potrebbe essere
di maggior valore in pazienti ad alto rischio
sottoposti a chirurgia cardiovascolare maggiore.
sia until 48 hours post-operatively. There were no
differences in mean age, bypass time or pre-op
creatinine in the 36 patients (33 men) who completed the study. 51Cr-EDTA GFR (ml/min/1.73
m2) was measured pre-operatively and on day 5
only. Urinary markers of tubular injury (albumin,
N-acetyl glucosaminidase, NAG; retinol binding
protein, RBP) were measured pre-operatively, and
on days 1, 2 and 5. RESULTS: GFR was preserved equally in both groups. All patients demonstrated significant tubular injury but urinary levels
of NAG and RBP were lower in the dopamine
group (41%, p=0.057 and 41%, p=0.007, respectively) on the first post-operative day. CONCLUSION: We conclude that low dose dopamine
infusion may reduce renal tubular injury following CPB in patients with normal or near
normal baseline renal function.
This is a prospective, randomized, doubleblind, controlled study addressing the effect of
dopamine infusion on glomerular filtration rate
and tubular injury in 48 patients undergoing routine cardiopulmonary bypass. The Authors conclude that dopamine does not deleteriously affect
renal function in this low-risk group of patients.
The data obtained suggests that dopamine can
directly reduce tubular dysfunction and injury
induced by CPB. Whatever the mechanism of this
tubular insult, the inhibition of proximal tubular
epi-thelial ATP consumption by dopamine seems
to offer some protection. Although not clinically
important in this low risk group, this protection
may be of greater value in higher risk patients
who undergo major cardiovascular surgery.
5.
Surg Endosc 2002; 16 (9): 1297-301.
Role of dopamine in renal dysfunction during
laparoscopic surgery.
Perez J, Taura P, Rueda J, Balust J, Anglada T,
Beltran J, Lacy AM, Garcia-Valdecasas JC.
BACKGROUND: Sympathetic vascular insult
and hemodynamic changes represent the most
reliable explanation of renal impairment resulting
from acute intraabdominal pressure. We evaluated
the effects of low-dose dopamine administration
during a long-lasting surgical laparoscopic procedure. METHODS: For this study 40, patients
submitted to a colorectal laparoscopic procedure
with 15 mmHg of intraabdominal pressure were
randomly allocated to two groups: 20 receiving
101
M. Luchetti, M. Bertolini, G. Marraro
5.
Surg Endosc 2002; 16 (9): 1297-301.
Role of dopamine in renal dysfunction
during laparoscopic surgery.
Perez J, Taura P, Rueda J, Balust J, Anglada T,
Beltran J, Lacy AM, Garcia-Valdecasas JC.
BACKGROUND: Sympathetic vascular
insult and hemodynamic changes represent the
most reliable explanation of renal impairment
resulting from acute intraabdominal pressure.
We evaluated the effects of low-dose dopamine administration during a long-lasting surgical laparoscopic procedure. METHODS: For
this study 40, patients submitted to a colorectal laparoscopic procedure with 15 mmHg of
intraabdominal pressure were randomly allocated to two groups: 20 receiving 2 mg/kg/min
of dopamine and 20 receiving the same perfusion of saline. Hemodynamic parameters, renal
function, urinary output, and creatinine clearance, were studied. RESULTS: The hemodynamic parameters were similar in both groups.
The urinary output decreased during the intraoperative period only in the saline group (p =
0.4). Then 2 h postoperatively, it increased in
both groups, and no statistically significant differences were found between the groups. The
creatinine clearance decreased in both groups
during the intraoperative time, but it was worse
in the saline group (-28 +/- 120 vs -194 +/- 106;
p = 0.022). During the postoperative period,
both groups showed improvement, but in control group the values remained lower than at
baseline (p = 0.04), and significantly lower
than in the dopamine group (230 +/- 337 vs
100 +/- 192; p = 0.012). CONCLUSIONS: An
intrabdominal pressure of 15 mmHg induces a
time-limited renal dysfunction, and low doses
of dopamine could prevent this undesirable
effect.
Questo è uno studio randomizzato, controllato
che valuta l’effetto della dopamina a basso dosaggio in 40 pazienti sottoposti a procedure laparoscopiche colorettali. Sulla base dei risultati
ottenuti, gli Autori concludono che una pressione intra-addominale di 15 mmHg provoca una
disfunzione renale limitata nel tempo e che la
dopamina a basso dosaggio sembra prevenire
questo effetto indesiderato.
102
2 mg/kg/min of dopamine and 20 receiving the
same perfusion of saline. Hemodynamic parameters, renal function, urinary output, and creatinine
clearance, were studied. RESULTS: The hemodynamic parameters were similar in both groups.
The urinary output decreased during the intraoperative period only in the saline group (p = 0.4).
Then 2 h postoperatively, it increased in both
groups, and no statistically significant differences were found between the groups. The creatinine clearance decreased in both groups during
the intraoperative time, but it was worse in the
saline group (–28 ± 120 vs –194 ± 106; p =
0.022). During the postoperative period, both
groups showed improvement, but in control group
the values remained lower than at baseline (p =
0.04), and significantly lower than in the dopamine group (230 ± 337 vs 100 ± 192; p = 0.012).
CONCLUSIONS: An intrabdominal pressure of
15 mmHg induces a time-limited renal dysfunction, and low doses of dopamine could prevent
this undesirable effect.
This is a randomized, controlled study evaluating the effect of low-dose dopamine in 40 patients
submitted to a colorectal laparoscopic procedure.
Based on the results obtained, the Authors conclude that an intrabdominal pressure of 15 mmHg
induces a time-limited renal dysfunction, and that
low dose dopamine seem to prevent this undesirable effect.
6.
J Surg Res 2003; 112 (1): 43-8.
Use of creatinine clearances to monitor
the effect of low-dose dopamine in critically ill
surgical patients.
Eachempati SR, Reed RL 2nd.
INTRODUCTION: Despite uncertain evidence
of its efficacy, “low-dose dopamine” (2-5 microg/
kg/min) has often been used to augment renal perfusion in critically ill surgical patients. The 2-h
creatinine clearance (CC) has been shown to be a
monitor of renal function in critically ill patients.
We therefore studied the use of sequential CC
determinations to monitor the effect of low-dose
dopamine (LDD) in surgical intensive care unit
(SICU) patients. We hypothesized that sequential
CC measurements could demonstrate whether
individual patients had positive responses in renal
function to LDD. METHODS: Data were prospectively collected for patients on LDD in a
Addio alla dopamina a dosaggio renale?
6.
J Surg Res 2003; 112 (1): 43-8.
Use of creatinine clearances to monitor
the effect of low-dose dopamine in critically ill
surgical patients.
Eachempati SR, Reed RL 2nd.
INTRODUCTION: Despite uncertain evidence
of its efficacy, “low-dose dopamine” (2-5 microg/
kg/min) has often been used to augment renal perfusion in critically ill surgical patients. The 2-h
creatinine clearance (CC) has been shown to be a
monitor of renal function in critically ill patients.
We therefore studied the use of sequential CC determinations to monitor the effect of low-dose dopamine (LDD) in surgical intensive care unit (SICU)
patients. We hypothesized that sequential CC measurements could demonstrate whether individual
patients had positive responses in renal function to
LDD. METHODS: Data were prospectively collected for patients on LDD in a university SICU.
CC were recorded for these patients immediately
before and after the institution of LDD or before
and after the cessation of LDD. APACHE II scores,
gender, urine creatinine, age, blood pressure, heart
rate, and urine output (UO) were also recorded for
these patients; P < 0.05. RESULTS: Twenty-four
pairs of CC values were observed during the study.
The mean APACHE II score for the patients was
15.1. In 10 cases after initiation of LDD, the mean
CC increased from 52.5 ± 23.7 ml/min to 68.1 ±
33.8 ml/min (P = 0.056). UO also increased from
48.0 ± 27 to 75.9 ± 49 ml/h (NS). In 14 cases after
discontinuation of LDD, CC decreased from 85.6
± 36.3 ml/min to 63.6 ± 45.5 ml/min (P = 0.044)
and UO decreased from 105.1 ± 73.9 to 89.6 ±
76.7 ml/h (NS). Overall, 13 of the 24 patients had
a 25% change or more in CC upon initiation or cessation of LDD. CONCLUSIONS: LDD institution
increased CC in individual patients in the SICU
population. Because using LDD in the absence of a
discernable improvement in renal function is costly
and may harbor risks, we recommend following
CC in patients on LDD to determine which patients
derive benefit from the intervention.
Questo studio analizza l’uso di determinazioni
sequenziali della clearance della creatinina (CC)
per monitorare l’effetto della dopamina a basso
dosaggio in 24 pazienti critici di tipo chirurgico.
I risultati ottenuti mostrano che 13 dei 24 pazienti
hanno presentato un cambiamento del 25% o più
della CC all’inizio o alla sospensione della dopa-
university SICU. CC were recorded for these
patients immediately before and after the institution of LDD or before and after the cessation
of LDD. APACHE II scores, gender, urine creatinine, age, blood pressure, heart rate, and urine
output (UO) were also recorded for these patients;
P < 0.05. RESULTS: Twenty-four pairs of CC
values were observed during the study. The mean
APACHE II score for the patients was 15.1. In
10 cases after initiation of LDD, the mean CC
increased from 52.5 ± 23.7 ml/min to 68.1 ± 33.8
ml/min (P = 0.056). UO also increased from 48.0
± 27 to 75.9 ± 49 ml/h (NS). In 14 cases after
discontinuation of LDD, CC decreased from 85.6
+/- 36.3 ml/min to 63.6 ± 45.5 ml/min (P = 0.044)
and UO decreased from 105.1 ± 73.9 to 89.6 ±
76.7 ml/h (NS). Overall, 13 of the 24 patients
had a 25% change or more in CC upon initiation
or cessation of LDD. CONCLUSIONS: LDD
institution increased CC in individual patients
in the SICU population. Because using LDD
in the absence of a discernable improvement in
renal function is costly and may harbor risks, we
recommend following CC in patients on LDD to
determine which patients derive benefit from the
intervention.
This study investigates the use of sequential
creatinine clearance determinations to monitor
the effect of low-dose dopamine in 24 surgical
intensive care unit patients. The results obtained
showed that 13 of the 24 patients had a 25%
change or more in creatinine clearance upon
initiation or cessation of low dose dopamine.
The Authors conclude that low dose dopamine
increased creatinine clearance in their group of
SICU patients, and recommend following creatinine clearance in patients on low dose dopamine to determine which patients benefit from
the intervention.
Discussion
Based on the meta-analysis and systematic review studies reported above,
one should believe with sufficient confidence that there is no justification for
the continued use of low-dose dopamine.
Nevertheless, many physicians still use
low-dose dopamine, convinced as they
are that it exerts reno-protective effects,
103
M. Luchetti, M. Bertolini, G. Marraro
mina a basso dosaggio. Gli Autori concludono
che la dopamina a basso dosaggio aumenta la
CC nel gruppo di pazienti studiati e raccomandano di seguire la CC nei pazienti con infusione
di dopamina a dosaggio renale allo scopo di
determinare quali pazienti effettivamente beneficiano del trattamento.
Discussione
Sulla base degli studi di meta-analisi
e di revisione sistematica riportati sopra
bisognerebbe credere con sufficiente
convinzione che non esiste alcuna giustificazione per continuare ad usare la
dopamina a basso dosaggio.
Nonostante ciò, molti medici ancora
usano la dopamina a dosaggio renale, convinti come sono che essa eserciti effetti
reno-protettivi e che sia estremamente
sicura. In effetti, fin di recente, la dopamina a basso dosaggio era considerata
essere relativamente priva di effetti collaterali. Questo non è assolutamente vero.
Tachicardia, aritmie cardiache, e ischemia
e infarto miocardico sono complicanze
ben conosciute. Inoltre, adesso è chiaro
che essa, oltre a non raggiungere lo scopo
di proteggere l’organo, può anzi essere
deleteria perché può indurre insufficienza
renale in pazienti normo- e ipovolemici.
Per di più, la dopamina può causare ulteriore danno alterando il flusso ematico a
livello della mucosa gastrica e aggravando
la già ridotta motilità gastrica. La dopamina inibisce anche la secrezione e la funzione degli ormoni dell’ipofisi anteriore,
aggravando in tal modo il catabolismo e la
disfunzione immunitaria e inducendo ipotiroidismo centrale. Infine, la dopamina
inibisce lo stimolo ventilatorio, aumentando il rischio di insufficienza respiratoria
in pazienti che sono in corso di svezzamento dalla ventilazione meccanica.
Ma allora perché gli intensivisti ancora
104
while being extremely safe. As a matter
of fact, until recently, low-dose dopamine was considered to be relatively
free of side effects. This is definitely not
true. Tachycardia, cardiac arrhytmias,
and myocardial ischemia and infarction
are well-recognized complications. In
addition, it is now clear that it, besides not
achieving the preset goal of organ protection, may also be deleterious because
it can induce renal failure in normoand hypovolemic patients. Furthermore,
dopamine may cause harm by impairing
mucosal blood flow and by aggravating
reduced gastric motility. Dopamine also
suppresses the secretion and function
of anterior pituitary hormones, thereby
aggravating catabolism and cellular
immune dysfunction and inducing central hypothyroidism. Finally, dopamine
blunts the ventilatory drive, increasing
the risk of respiratory failure in patients
who are being weaned from mechanical
ventilation.
So, why are intensivists still using
low-dose dopamine? Just another medical myth difficult to eradicate? Or are
we missing anything? It is amazing that,
despite all the negative evidence collected, new studies are still being performed and published on the topic. And
even more surprising that many of these
studies report good results of low-dose
dopamine. Are all of these studies methodologically flawed?
It must be underlined that several
issues can confound the interpretation
of studies evaluating the renal effects
of dopamine. Dopamine has inotropic
effects which may be difficult to separate from its renal effects. The effects of
dopamine may be influenced by the concomitant use of other vasopressor or
Addio alla dopamina a dosaggio renale?
usano la dopamina a basso dosaggio?
Solo un altro mito della medicina difficile
da eradicare? O c’è qualcosa che ci
sfugge? È sorprendente che, nonostante
tutta l’evidenza negativa raccolta, nuovi
studi vengano ancora effettuati e pubblicati
sull’argomento. Ed è persino più sorprendente che molti di questi studi riportino
buoni risultati per la dopamina a dosaggio
renale. È possibile che tutti questi studi
siano inadeguati metodologicamente?
Bisogna dire che diversi fattori possono
confondere l’interpretazione degli studi
che valutano gli effetti renali della dopamina. Essa presenta effetti inotropi che
possono essere difficili da separare dai suoi
effetti renali. Gli effetti della dopamina,
inoltre, possono essere influenzati dall’uso
concomitante di altri farmaci vasopressori
o inotropi. Per di più, l’uso di alcuni farmaci, quali aloperidolo o metoclopramide,
che agiscono come antagonisti della dopamina, può annullare gli effetti renali della
dopamina a basso dosaggio.
Nonostante ciò, l’evidenza scientifica
attuale suggerisce che la dopamina a
basso dosaggio non ha alcun effetto protettivo sulla funzione renale, né alcun
beneficio in pazienti con insufficienza
renale acuta. Considerato che la dopamina può causare diversi effetti collaterali pericolosi, il suo uso per la protezione
renale dovrebbe essere scoraggiato.
Detto questo, tuttavia, è ancora possibile che ci sia qualcosa che ci sfugge;
in particolare non possiamo escludere
che la dopamina a basso dosaggio abbia
un certo effetto reno-protettivo in ambiti
specifici o determinati pazienti.
In conclusione, si può solo incoraggiare gli investigatori ad effettuare studi
randomizzati controllati ben disegnati e
ben condotti che possano dare infine una
risposta chiara e definitiva.
inotropic drugs. In addition, the use of
some drugs, such as haloperidol or metoclopramide, acting as dopamine antagonists, may abolish the renal effects of
low-dose dopamine.
Nevertheless, current scientific evidence suggests that low-dose dopamine
has no protective effect on renal function
nor benefits in patients with acute renal
dysfunction. Considering that dopamine
may cause several harmful side-effects,
its use for renal protection should be
discouraged.
That said, it is still possible that we
are missing something, in particular we
cannot exclude that low-dose dopamine
has some reno-protective effect in specific settings or patients. We can only
encourage investigators to perform welldesigned and well-conducted randomized controlled trials that may give a clear
and definitive answer at last.
105
S.I.A.R.E.D.
SOCIETÀ ITALIANA DI ANESTESIA RIANIMAZIONE EMERGENZA E DOLORE
2° Congresso Nazionale
Centro Congressi Veronafiere
Verona, 23 - 24 - 25 settembre 2004
PROGRAMMA PRELIMINARE
1ª GIORNATA
GIOVEDI 23 SETTEMBRE 2004
Ore 11:00 Apertura della Segreteria per accreditamento partecipanti
14:45 - 19:00 I Sessione
Accanimento terapeutico ed eutanasia: dilemmi in rianimazione
– Problematiche etiche
– Problematiche legali
– Problematiche legate agli avanzamenti culturali e scientifici
4 Sessioni parallele per 150 partecipanti ciascuna
15:00 - 19:00 Simposio satellite
Le tecniche di comunicazione per 150 partecipanti
Iscrizioni a numero chiuso. Crediti ECM richiesti per l’evento.
19:30 - Cerimonia inaugurale e Conferenza Stampa
20:30 - Cena di benvenuto e spettacolo
2ª GIORNATA
VENERDÌ 24 SETTEMBRE 2004
08:45 - 13:00 II Sessione
Le implicazioni emodinamiche e ventilatorie in anestesia e rianimazione
– La protezione del polmone durante ventilazione artificiale
– La ventilazione durante anestesia
– Le implicazioni emodinamiche durante la ventilazione artificiale
4 Sessioni parallele per 150 partecipanti ciascuna
10:30 - 13:00 Simposio satellite
Il surfattante nella pratica clinica per 150 partecipanti
Iscrizioni a numero chiuso. Crediti ECM richiesti per l’evento.
13:00 - 13:30 Visita agli spazi espositivi
13:30 - 14:30 Colazione di lavoro
106
2º Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D.
VENERDÌ 24 SETTEMBRE 2004
14:45 - 19:00 III Sessione
L’approccio multispecialistico nella diagnosi e nel trattamento
del malato critico
– Gli esami radiologici
– Le indagini di laboratorio
– La consulenza neurochirurgica
4 Sessioni parallele per 150 partecipanti ciascuna
15:00 - 19:00 Simposio satellite
Come preparare un lavoro scientifico per 150 partecipanti
Iscrizioni a numero chiuso. Crediti ECM richiesti per l’evento.
19:30 Memorial Maurizio e Stefano Gentili
– Lettura
– Premiazione del lavoro scientifico prescelto
20:30 Cena sociale e spettacolo
3ª GIORNATA
SABATO 25 SETTEMBRE 2004
08:45 - 13:00 IV Sessione
Anestesia e Rianimazione: emergenze possibili
- Le emergenze in Sala Operatoria
- Le emergenze in Terapia Intensiva
- Le emergenze in Pronto Soccorso
4 Sessioni parallele per 150 partecipanti ciascuna
09:00 - 13:00 Comunicazioni libere / Poster
13:15 Chiusura del Congresso.
E inoltre sono previsti Simposi Satellite su: Il trattamento delle sepsi gravi in terapia intensiva, Ulteriori progressi in anestesia gassosa, Trattamento del dolore nelle
emergenze, Vie aeree difficili nell’adulto e in età pediatrica, Il trattamento intensivo
del neonato e del lattante critici, Il bilancio idro-elettrolitico nel trattamento del
postoperato.
Le comunicazioni scientifiche saranno presentate in forma di Comunicazione Orale
oppure Poster a discrezione della Commissione Scientifica.
Deadline per invio abstract per Comunicazioni libere e Poster: 30 giugno 2004.
107
2º Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D.
INFORMAZIONI GENERALI
La scelta degli eventi ECM ai quali partecipare deve essere effettuata al momento
dell’iscrizione al Congresso e fino ad esaurimento dei posti disponibili.
Gli iscritti AAROI per accedere agli eventi congressuali devono possedere la Card
AAROI.
Quote di iscrizione al Congresso
Entro il 31 luglio 2004
– Soci AAROI, Specializzandi ed Accompagnatori: 200,00 euro
– Soci SIARED: 400,00 euro
– Non Soci: 450,00 euro
Dopo il 31 luglio 2004
– Soci AAROI, Specializzandi ed Accompagnatori: 250,00 euro
– Soci SIARED: 450,00 euro
– Non Soci: 500,00 euro
L’iscrizione al Congresso dà diritto a:
– Kit congressuale
– Partecipazione ai lavori scientifici
– Partecipazione agli eventi ECM e rilascio dei crediti formativi
– Volume degli Atti
– Attestato di partecipazione
– Coffee breaks
– Cena di benvenuto e spettacolo di giovedì 23 settembre
– Colazione di lavoro di venerdì 24 settembre
– Cena sociale e spettacolo di venerdì 24 settembre
– Parcheggio gratuito dell’auto nel piazzale antistante il Centro Congressi
In caso di rinuncia entro il 31 luglio sarà rimborsato il 50% della quota di iscrizione.
Dopo tale data non si effettuerà alcun rimborso.
Prenotazione alberghiera
A carico dei partecipanti e può essere effettuata tramite la:
Cooperativa Albergatori Veronesi - Ufficio prenotazioni alberghiere
Via Patuzzi, 5 - 37121 Verona - Tel. 045 8009844 - Fax 045 8009372
E-mail: [email protected] - Web: www.cav.vr.it
Sede del Congresso
Centro Congressi - Ente Fiera Verona - Viale del Lavoro, 8 - 37100 Verona
Tel. 045 8298111 - Fax 045 8298288 - Email: [email protected],
web www.veronafiere.it
L’Ente Fiera si trova a pochi minuti dalla Stazione FFSS e dal casello “Verona Sud”
dell’Autostrada Milano-Venezia; il centro della città dista circa 3 Km.
108
2º Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D.
Come raggiungere Verona
In auto:
Autostrada A4 Milano-Venezia, uscita “Verona Sud”: proseguire seguendo le indicazioni “Fiera”.
Autostrada A22 Modena-Brennero, uscita “Verona Nord” (oppure immettersi sull’A4
– direzione Venezia – ed uscire a “Verona Sud”).
Nel piazzale antistante il Centro Congressi Veronafiere c’è un ampio parcheggio.
In treno:
Linee ferroviarie Brennero-Roma e Torino-Trieste (per informazioni su orari e coincidenze: Tel.147-888088 (www.trenitalia.it). Dalla Stazione ferroviaria si può facilmente raggiungere la sede congressuale usufruendo del servizio taxi (Posteggio
Stazione 045 8004528 - Radiotaxi 045 532666) o dei bus urbani (biglietti c/o tabaccherie o edicole) delle linee 21 e 61.
In aereo:
L’Aeroporto Valerio Catullo di Villafranca dista circa 9 Km dalla Fiera (per informazioni su voli e orari: Tel. 045 8095666 - (www.aeroportoverona.it). L’Aeroporto è
collegato con la Stazione FFSS di Verona con un bus-navetta (partenza ogni 20 min.
dalle ore 6.10 alle 23.00; per informazioni: Tel. 045 8057911).
Il centro storico di Verona è chiuso al traffico tranne che per i veicoli autorizzati e le
auto dirette agli Hotel.
Altre informazioni: UPT di Verona www.tourism.verona.it, Comune di Verona
www.comune.verona.it
Segreteria organizzativa
S.I.A.R.E.D.
Via XX Settembre, 98/E - 00187 Roma - Tel. 06 47825272 - Fax 06 47882016
E-Mail: [email protected] - Web: www.siared.it
109
Corso Itinerante
ECM 2004 AAROI / SIARED
Modulo 1
Attualità e controversie in anestesia generale gassosa ed anestesia
totalmente endovenosa.
EZIO VINCENTI - EUGENIO SERRA - GRAZIA VERDE - IVO TIBERIO
LORELLA ALTAFINI - ILARIA BLANGETTI
Modulo 2
Ventilazione artificiale invasiva e non invasiva.
GIUSEPPE A. MARRARO - VITTORIO ANTONAGLIA - GAETANO PERCHIAZZI
DONATA RIPAMONTI - RAFFAELE TESTA - ALBERTO PERATONER
Modulo 3
Nutrizione in rianimazione: enterale e parenterale a confronto.
FULVIO ALBERTARIO - BRUNO CARRARA - RIPALTA DI TERLIZI
FRANCESCA FIANELLI - BRUNO CARENZI - MARCELLO RICCIUTI
TERESA BALSIMELLI
Modulo 4
Trattamento globale del traumatizzato vertebro midollare acuto.
SERGIO AITO - ENEA COMINELLI - PAOLA CARIGNANO - MASSIMO MORESI
PAOLO MAGENTA - CESARE GREGORETTI
Modulo 5
Terapia iperbarica: evidenze e controversie.
SANDRO MARRONI - LUCIANO DITRI - PAOLO CASTALDI - CESARE IESU
PASQUALE LONGOBARDI - ADRIANO RINALDI
Modulo 6
L’impiego del sangue e sostituti plasmatici.
Il risparmio delle perdite ematiche.
SERGIO PINTAUDI - ELENA GALASSINI - ADRIANA PAOLICCHI
CRISTIANO MARTINI - GABRIELLA DENTI - GUIDO GRAZZINI
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CALENDARIO
27 marzo 2004
BARI
FIRENZE
MILANO
NAPOLI
ORISTANO
PADOVA
modulo 1
modulo 2
modulo 5
modulo 4
modulo 3
modulo 6
17 aprile 2004
ALESSANDRIA
BOLOGNA
LAMETIA T.
PALERMO
ROMA
S.B. del TRONTO
modulo 1
modulo 2
modulo 3
modulo 4
modulo 5
modulo 6
modulo 2
modulo 3
modulo 4
modulo 5
modulo 6
modulo 1
22 maggio 2004
ALESSANDRIA
BOLOGNA
LAMETIA T.
PALERMO
ROMA 15 maggio
S.B. del TRONTO
modulo 2
modulo 3
modulo 4
modulo 5
modulo 6
modulo 1
modulo 3
modulo 4
modulo 1
modulo 6
modulo 5
modulo 2
26 giugno 2004
GENOVA
BOLOGNA 12 giugno
LAMETIA T.
PALERMO
ROMA
S.B. del TRONTO
modulo 3
modulo 4
modulo 5
modulo 6
modulo 1
modulo 2
modulo 4
modulo 5
modulo 6
modulo 1
modulo 2
modulo 3
9 ottobre 2004
ALESSANDRIA
BOLOGNA
LAMETIA T.
PALERMO
ROMA
S.B. del TRONTO
modulo 4
modulo 5
modulo 6
modulo 1
modulo 2
modulo 3
16 ottobre 2004
BARI
FIRENZE
MILANO
NAPOLI
ORISTANO
VICENZA
modulo 5
modulo 6
modulo 3
modulo 2
modulo 1
modulo 4
6 novembre 2004
GENOVA
BOLOGNA
LAMETIA T.
PALERMO
ROMA
S.B. del TRONTO
modulo 5
modulo 6
modulo 1
modulo 2
modulo 3
modulo 4
20 novembre 2004
BARI
FIRENZE
MILANO
NAPOLI
ORISTANO
VICENZA
modulo 6
modulo 1
modulo 2
modulo 3
modulo 4
modulo 5
11 dicembre 2004
ALESSANDRIA
BOLOGNA
LAMETIA T.
PALERMO
ROMA
S.B. del TRONTO
modulo 6
modulo 1
modulo 2
modulo 3
modulo 4
modulo 5
8 maggio 2004
BARI
FIRENZE
MILANO
NAPOLI
ORISTANO
PADOVA
12 giugno 2004
BARI
FIRENZE 26 giugno
MILANO
NAPOLI
ORISTANO
PADOVA
18 settembre 2004
BARI
FIRENZE
MILANO
NAPOLI
ORISTANO
VICENZA
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