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La milizia valsesiana e difesa del territorio. Strategia e guerra in una valle alpina del XVII secolo 171 La milizia valsesiana e la difesa del territorio. Strategia e guerra in una valle alpina del XVII secolo Giovanni Cerino Badone Introduzione Agli inizi del XVIII secolo l’alfiere della milizia Giacomo Alberto Pirolino si fece ritrarre con i simboli dei suoi gradi e la bandiera da lui custodita. Il quadro ci mostra un uomo fiero del suo incarico, l’asta del vessillo della Compagnia della milizia di Borgosesia è appoggiata alla sua spalla destra, il tricorno è bordato con un gallone d’argento, come era d’uso presso gli eserciti europei del periodo. L’abito è da civile, confezionato con un panno marrone, ma ai fianchi è legata una sciarpa rossa, colore tipico dell’ufficialità spagnola del XVII secolo. Il quadro, oggi custodito presso la chiesa parrocchiale di Borgosesia, è una delle tante testimonianze che la Valle conserva in merito alla presenza della sua principale istituzione militare, la Milizia della Valsesia. Uno studio sulle milizie valsesiane non esiste ancora. Le milizie paesane del XVI e XVII secolo non furono certamente un fenomeno limitato alla Valsesia e in altri contesti sono state oggetto di ricerche approfondite1. Per quel che riguarda l’area della Valsesia occorre prendere atto, in primo luogo, dell’estrema scarsità delle fonti sull’argomento. I documenti d’archivio trattano in maniera occasionale e frammentario questo tema e rendono particolarmente difficile una ricostruzione della composizione, dell’organizzazione e dei compiti specifici di queste truppe2. 1 A solo titolo di esempio si può citare: N. BRANCACCIO, L’esercito del vecchio Piemonte. Gli ordinamenti 1560-1814, Stabilimento poligrafico per l’Amministrazione della guerra, Roma 1923, pp. 33-42, 87-91, 143-47. Più recentemente è apparso C. DE CONSOLI, Al soldo del duca. L’amministrazione delle armate sabaude (1560-1630), Paravia, Torino 1999. Per quel che riguarda la realtà francese dell’organizzazione delle milizie, J.A. LYNN, Giant of the Grand Siècle. The French Army 1610-1715, Cambridge University Press, Cambridge 2006, pp. 371-82. Per quel che riguarda le milizie della Lombardia durante il periodo spagnolo, si rimanda a D. MAFFI, Il Baluardo della Corona. Guerra, esercito, finanze e società nella Lombardia seicentesca (1630-1660), Le Monnier, Firenze 2007, pp. 117-30. Particolarmente interessante è l’uso dei una milizia a scopo politico raccontato in M.H. SPRING, With Zeal and with Bayonets only. The British Army on Campaign in North America, 1775-1783, University of Oklahoma Press, Norman 2008, pp. 14-23. 2 C. RASTELLI, Informazioni circa i fatti del Borgo di Sesia. 1 gennaio 1653, 24-25 luglio 1655, 8 settembre 1658, 172 Storia della Valsesia L’oggetto del presente studio riguarda una ricostruzione delle funzioni militari della Milizia valsesiana nel contesto strategico della Lombardia spagnola del XVII. Attraverso l’analisi di quei pochi documenti in nostro possesso che trattano nel dettaglio di queste truppe e attraverso la lettura degli episodi bellici che hanno interessato la Valle, insieme con le testimonianze iconografiche e archeologiche ancora presenti, cercheremo di aprire nuovi scorci e nuove piste per future ricerche più dettagliate sull’argomento. 1. La Milizia. Numeri e organizzazione Allo stato attuale delle nostre ricerche, non risultano registri o raccolte di documenti specifici sulla Milizia o ruolini di rivista, se non elenchi parziali presenti nei singoli archivi comunali3. Tale assenza può essere spiegata dal fatto che i volumi dei ruolini, negli eserciti del XVII e XVIII secolo, non avevano lo scopo di tenere un conteggio degli effettivi, ma erano registri destinati agli uffici che dovevano provvedere a paghe e vettovaglie. La Milizia, su base volontaria, compilava gli elenchi dei propri effettivi in specifiche occasioni di crisi, ma non teneva liste aggiornate. Alla metà del XVII secolo la Milizia della Valsesia era disposta su 19 compagnie. L’Ordine di Battaglia, ossia l’organizzazione generale della milizia, era il seguente: Governatore generale della Milizia a) Milizie della Corte Inferiore: Compagnia di Borgosesia; Compagnia di Valduggia; Compagnia di Doccio, o della Riviera di Sesia; Compagnia di Agnona; Compagnia di Cellio. b) Milizia della Corte Superiore: 2 Compagnie di Varallo; Compagnia di Quarona; Compagnia di Roccapietra; Compagnia di Sabbia; Compagnia di Cravagliana; Compagnia di Valle Sermenza; Compagnia di Rimella; Compagnia di Fobello; Compagnia di Campertogno; Compagnia di Scopello; Compagnia di Scopa; Compagnia di Alagna; Compagnia di Riva Valdobbia. Ogni Compagnia, comandata da un capitano, si divideva in un numero variabile di squadre, guidate da un caporale. Le squadre avevano come base di reclutamento tutti gli uomini, di un’età compresa tra i quindici e i sessanta anni, di ogni singolo cantone della comunità che era respon- pubblicato in proprio, Valduggia 1996. Il testo di Rastelli è fondamentale per qualunque ricerca destinata a comprendere la milizia valsesiana nel XVII secolo. 3 Si veda ad esempio il ruolo della compagnia della milizia di Valduggia citato ibid., nota 60, pp. 37-39. La milizia valsesiana e difesa del territorio. Strategia e guerra in una valle alpina del XVII secolo 173 sabile dell’organizzazione di una Compagnia. Complessivamente nel 1636, nel mezzo di una crisi militare piuttosto grave, con un esercito nemico a pochi chilometri di distanza, il numero complessivo di miliziani era di 4700 uomini, con una forza media per ciascuna Compagnia di circa 240/250 uomini. Tenendo conto che la popolazione complessiva della Valsesia nel XVII secolo contava circa 35.000 persone4, la percentuale degli uomini che prestavano servizio nella milizia era del 13%. Non si tratta certo di una percentuale particolarmente elevata ma, a conti fatti, la forza era perfettamente commisurata alla missione che la milizia era destinata a svolgere. 2. La situazione strategica della Lombardia spagnola e della Valsesia nel XVII secolo La Valsesia, per un esercito destinato a operare nella Lombardia occidentale nel XVII secolo, non era un obiettivo pagante, perché decentrata rispetto alle principali vie d’invasione. Occupare militarmente la Valle aveva senso solo per cercare foraggi – ma la pianura novarese dava possibilità ben maggiori – o per aggirare la chiusa di Bard. Ancora nel XIX secolo questa possibilità era contemplata, sebbene sarebbe ben difficile fare l’assedio di un sistema di opere, come quelle di Bard, in presenza di tutto l’esercito difensore. Frattanto girarle non si potrebbe, a cagione, che tutta la distesa di due contrafforti che separano la valle della Dora da quelle dell’Orco e della Sesia, è non pure impraticabile per le artiglierie, ma fin malagevole per le stesse bestie da soma che devono seguire disastrosi sentieri, facilissimi a difendere con pochi uomini, sia pure di si semplici milizie. Ond’è che non riuscirebbe difficile ritenere l’attaccante nella valle. Frattanto che le milizie e le bande cittadine, usufruendo la malagevolezza dei luoghi, potrebbero efficacemente molestarlo sulle comunicazioni; ed ove questo stato di cose alcun poco si prolungasse, l’attaccante si vedrebbe probabilmente costretto a ritirarsi per difetto di mezzi di sussistenza5. Il principale passo montano utilizzabile da un punto di vista militare era il Colle Valdobbia, «che quando è sgombro dalle nevi è assai agevole pe’ cavalli, [ma] non lo è mai pe’ carri di qualunque natura»6. Per controllare questo territorio venivano mobilitate forze tutto sommato consistenti per quel che riguarda il mondo della guerra del XVII secolo. 4 Calcoli più dettagliati in merito alla popolazione valsesiana tra XVI e XIX secolo si possono ritrovare in I. BASSO, Evoluzione demografica e spopolamento della Valsesia. Il caso di Cravagliana, tesi di laurea triennale in Scienze Umane e dell’Ambiente, del Territorio e del Paesaggio, Università degli Studi di Milano, a.a. 2004/2005, in http:// www.claudiobossi.it/ilmioportale/basso/2bis.htm. 5 L. MEZZACAPO, C. MEZZACAPO, Studj topografici e strategici su l’Italia, Vallardi, Milano 1859, p. 364. 6 Ibid., p. 64. 174 Storia della Valsesia All’inizio del XVII secolo, la Spagna abbandonò parzialmente il sistema clientelare che aveva creato nell’Italia nord-occidentale. In parte tale sistema non era più necessario, in parte la mancanza di interessi strategici nei confronti del Ducato di Savoia, venuti meno dopo il Trattato di Lione, spinse sempre più Torino nell’orbita francese più che in quella spagnola. Un nuovo corridoio strategico fu spostato ben all’interno del Ducato di Milano; le tappe fondamentali di questo corridoio, da sud a nord, erano: Finale-Genova, Alessandria, Milano, Lecco e il Forte di Fuentes. La prosecuzione della strada verso lo Spluga o lo Stelvio dipendeva dalla situazione del momento; quello che contava era mettere in sicurezza il segmento lombardo. Per fare questo, tra il 1604 e il 1659 la grande strategia spagnola per la difesa della nuova “Strada di Fiandra” si basava su tre distinti elementi: la difesa in profondità del territorio del Ducato di Milano verso occidente; la difesa avanzata della Valtellina e della Valchiavenna; l’aumento quantitativo dell’esercito spagnolo in Lombardia. La difesa del territorio lombardo era dunque delegata a cinque principali fortezze (Novara, Valenza, Alessandria, Tortona e Mortara), le quali dovevano presidiare il Ticino, il Tanaro, l’Adda e il Po. La fascia di territorio da controllare (larga da 25 a oltre 50 km, a seconda dei settori) e l’entità delle fortificazioni davano sufficienti garanzie perché un eventuale invasore fosse rallentato prima che un gruppo di difesa mobile (l’armata spagnola di Lombardia) lo intercettasse. Finché le forze mobili a disposizione del governatore di Milano furono mantenute in discreta efficienza, e questo avvenne praticamente sin quasi alla fine della guerra, le possibilità di conquistare parti importanti del Ducato e di tagliare con efficacia il nuovo corridoio strategico verso il nord Europa erano pressoché nulle, anche a fronte di eventuali sconfitte campali, della perdita di qualche piazzaforte e del saccheggio della ricchissima campagna lombarda. Erano perdite accettabili. Paradossalmente anche la decisione di Vincenzo I Gonzaga di costruire la nuova grande Cittadella di Casale, la prima pietra della quale venne posta il 26 maggio 1590, serviva ad aumentare la profondità delle difese e la qualità delle piazzeforti7. Completamente differente era la situazione nel nord del Ducato di Milano e in Valtellina. In questo caso non si trattava di doversi difendere, ma di proiettare la propria potenza militare verso l’esterno. Base di partenza per quest’opera di conquista era il Forte di Fuentes. Sino a quando il Ducato di Savoia rimase un alleato fedele e pacifico e sino a quando le guerre di religione che scuotevano la Francia rimasero limitate al solo contesto francese, non si videro ragio- 7 Inizialmente gli spagnoli non erano favorevoli alla costruzione di una cittadella a Casale. In definitiva, nel 1572, la volontà ducale di fortificare Alba rientrava perfettamente nel piano strategico di difesa, in questo caso da sudovest, della Strada di Fiandra. A tale scopo, furono concessi alcuni ingegneri militari per il tracciamento delle nuove opere e la loro realizzazione. Casale nel 1588 non rientrava nei piani di Madrid, ed era considerata più una minaccia che una difesa. Dopo il Trattato di Lione le difficoltà spagnole caddero. Cfr. B.A. RAVIOLA, Il Monferrato Gonzaghesco. Istituzioni ed élites di un micro-Stato (1536-1708), Olschki, Firenze 2003, p. 77. La milizia valsesiana e difesa del territorio. Strategia e guerra in una valle alpina del XVII secolo 175 ni valide per aumentare la presenza di reparti fissi nel Ducato di Lombardia. Ma, nel 1588, Carlo Emanuele I di Savoia si era lanciato alla conquista del Marchesato di Saluzzo, parte integrante del Regno di Francia dal settembre del 1549, mentre le forze ugonotte di Lesdiguières si accingevano a muovere alla conquista del Saluzzese. Di fatto, un alleato fondamentale per lo scacchiere italiano si era lasciato trascinare in una guerra troppo dispendiosa per costi umani e materiali. Ufficialmente il governatore di Milano, Carlo de Aragón y Tagliavia duca di Terranova, dichiarò la sua disapprovazione, ma inviò comunque quattro compagnie di fanteria (500 uomini) e una compagnia di corazze a partecipare alla conquista di Revello, avvenuta il 21 novembre 1588. Era solo l’inizio di una vera e propria escalation, che coincideva con l’incoronazione di Enrico di Navarra e con una maggiore presenza di truppe francesi ostili in Piemonte. La scelta di spostare il corridoio strategico per le Fiandre dal Piemonte alla Lombardia portò a un aumento esponenziale delle forze militari poste a difesa del Ducato di Milano. Dopo il 1601 fu necessaria la levata di un nuovo tercio, denominato «Tercio de Saboya» per distinguerlo dal «Tercio di Lombardia», a difesa dei passi montani. Nel primo decennio del secolo si adunò per ben tre volte una poderosa forza mobile, per far fronte a un possibile attacco contro il Ducato. Oltre 25.000 uomini furono raccolti nel 1601, nella prospettiva di una guerra contro la Francia, e una frazione di queste forze venne effettivamente coinvolta in combattimento già nel 1600 in Savoia. Nel 1607 fu levato un esercito di 30.000 uomini per un intervento armato contro la Repubblica di Venezia e altri 30.000 soldati furono inquadrati in un’armata destinata nel 1610 a combattere in un conflitto generale in Piemonte contro il duca di Savoia e la Francia. La guerra di successione del Monferrato, le operazioni francosabaude contro Genova del 1625 e la seconda guerra di successione del Monferrato costrinsero i governatori del Ducato a mantenere sempre alto l’aspetto qualitativo e quantitativo delle forze mobili. Tra il 1610 e il 1620 queste non scesero mai sotto le 15.000 unità e nel 1615 raggiunsero la cifra record di 40.000 effettivi. Nel gennaio del 1625 la forza totale si era assestata sui 25.000 uomini. Nel 1634, con la partenza verso i Paesi Bassi di gran parte delle forze presenti nella Pianura Padana, in Lombardia rimasero tre tercios di fanteria e la cavalleria ordinaria dello Stato. Sulla carta si trattava di un complesso militare forte di circa 11.000 uomini che veniva ritenuto sufficiente a garantire la difesa del Ducato, così come era stata impostata sul concetto di difesa “in profondità”. A questi si dovevano aggiungere i 2000 uomini delle guarnigioni ordinarie e, all’occorrenza, le milizie paesane: tra quest’ultime, ovviamente, figurava anche quella valsesiana. Nel 1635 la forza complessiva dell’esercito del Ducato di Milano raggiungeva la cifra di 11.546 uomini. La guerra contro la Francia e i suoi alleati italiani costrinse la Spagna a mantenere costantemente dall’agosto del 1636 all’ottobre del 1640 una forza di oltre 30.000 effettivi, scesi a 20.000 nel ventennio successivo. Sino ad allora l’esercito di Lombardia rappresentava, dopo quello delle Fiandre, il più poderoso strumento di guerra a disposizione della Corona di Spagna.8 9 8 Inizialmente gli spagnoli non erano favorevoli alla costruzione di una cittadella a Casale. In definitiva, nel 1572, la volontà ducale di fortificare Alba rientrava perfettamente nel piano strategico di difesa, in questo caso da sudovest, della Strada di Fiandra. A tale scopo, furono concessi alcuni ingegneri militari per il tracciamento delle nuove opere e la loro realizzazione. Casale nel 1588 non rientrava nei piani di Madrid, ed era considerata più una minaccia che 176 Storia della Valsesia Forze dell’esercito di Lombardia 1601-16588 Esercito di Fiandra Anno Principali eventi bellici Fanteria Cavalleria Totale 1601 Trattato di Lione 18.000 7000 25.000 c.a - - 30.000 c.a 41.471 15.000 c.a 1607 1610 Minaccia di guerra contro la Francia (Trattato di Bruzolo) 13.000 2000 15.000 c.a 1614 Prima guerra del Monferrato 20.000 1600 21.600 c.a 1615 Prima guerra del Monferrato. Assedio di Asti 40.000 2400 42.400 c.a 1625 Alleanza franco-sabauda e guerra contro Genova. Assedio di Verrua 20.000 3500 23.500 c.a 1628 Seconda guerra del Monferrato. Primo assedio di Casale (1628-29) 19.261 4266 23.527 1629 Secondo assedio di Casale (1630) 16.000 4000 20.000 1631 Pace di Cherasco 21.826 2646 24.472 1632 14.316 1361 15.677 1633 11.814 1391 13.205 1634 6224 1108 7332 1635 Guerra franco-spagnola (1635-1659). Assedio di Valenza 9497 2049 11.546 1636 Battaglia di Tornavento. Invasione del Piacentino da parte sabauda 22.774 4275 27.049 70.000 c.a 52.715 69.703 8 Si è preferito indicare possibilmente la forza dell’armata all’inizio della campagna o dell’anno (se di pace). Le una difesa. Dopo il Trattato di Lione le difficoltà spagnole caddero. Cfr. B.A. RAVIOLA, Il Monferrato Gonzaghesco. cifre sono dedotte da: G.D. BREMIO, Cronica Monferrina (1613-1660), a cura di G. Giorcelli, Alessandria 1911; Annali Istituzioni ed élites di un micro-Stato (1536-1708), Olschki, Firenze 2003, p. 77. di Alessandria, cit.; MAFFI, Il Baluardo della Corona, cit., pp. 136-39; G. PARKER, The Army of Flanders and the Spanish Road 1567-1659, Cambridge University Press, Cambridge 2004, pp. 237-39. La milizia valsesiana e difesa del territorio. Strategia e guerra in una valle alpina del XVII secolo 177 Anno Principali eventi bellici Fanteria Cavalleria Totale Esercito di Fiandra 1637 Assedio e presa spagnola di Piacenza 25.014 6541 31.555 65.000 c.a 1638 Assedio di Vercelli. Inizio delle guerre civili piemontesi 31.594 7175 38.769 1639 Operazioni in Piemonte 34.780 6332 41.112 80.000 c.a 1640 Terzo assedio di Casale 21.410 3687 25.097 88.280 1641 Assedio di Ivrea 17.837 4909 22.746 1642 Presa francese di Tortona 18.426 5818 24.244 1643 Riconquista spagnola di Tortona 19.283 4819 24.102 77.517 19.004 6139 25.143 63.412 1644 1645 Presa francese di Vigevano. Battaglia di Proh (vittoria spagnola) 13.330 5662 18.952 75.306 1646 Assedio e presa francese di Orbetello e di Porto Longone 12.305 5158 17.463 67.823 1647 Rivolta di Napoli 12.442 5461 17.903 65.458 12.037 6081 18.118 1648 1650 Presa spagnola di Asti, riconquista di Portolongone 10.310 4765 15.075 1651 Presa di Casale (1652) 14.507 4881 19.338 15.871 5323 21.194 1655 1656 Presa francese di Valenza (1656). Fallito assedio di Alessandria 16.225 5948 22.173 1658 Ultimo anno di ostilità 13.717 6226 17.697 36.950 40.000 c.a I numeri assoluti non devono però trarre in inganno. La difesa “in profondità” adottata dopo il 1604 e le dimensioni di alcune piazzeforti richiedevano aliquote importanti di truppa da destinare ai rinforzi dei presidi. 178 Storia della Valsesia Distribuzione delle truppe tra forze di presidio e gruppo mobile di difesa9 Anno Gruppo Mobile Presidio Totale Percentuale forze di presidio 1613 15.000 c.a 15.000 c.a 30.000 c.a 50% 1614 21.600 c.a 20.000 41.600 48,8% 1636 [estate] 20.825 12.816 33.641 38% 1640 19.678 15.692 35.370 44% 1641 11.498 11.248 22.746 49% 1651 12.600 6.729 19.329 35% Forze medie 16.150 11.621 27.771 44% Su circa dieci soldati presenti in teatro operativo, almeno quattro erano destinati a ruoli di guarnigione, mentre il gruppo mobile, qui considerato come un gruppo omogeneo, veniva frazionato a seconda delle esigenze e delle missioni da svolgere. 3. I veri nemici: la logistica degli eserciti La milizia non doveva confrontarsi con eserciti decisi a conquistare stabilmente il territorio valsesiano. I veri avversari erano bande di truppa, più o meno grandi e più o meno organizzate, che pretendevano di saccheggiare i centri abitati che trovavano sul loro cammino o, meglio, nelle vicinanze del tragitto che stavano compiendo. I comandanti degli eserciti del Seicento cercavano di mantenere gli uomini più raggruppati possibile, specie nei pressi delle grandi piazzeforti o in centri nelle immediate vicinanze. Per far questo e per essere in grado di distribuire alla truppa i necessari finanziamenti per pagare alloggiamenti e viveri, vennero istituite delle tasse di sussistenza e fu creato un corpo di addetti alla logistica con il compito di seguire le truppe per allocarle nei luoghi migliori, in modo da evitare violenze, disordini e dispute di vario genere tra i soldati stessi e tra militari e civili. Si trattava di espedienti destinati a fallire. Le spese, soprattutto quelle straordinarie, sostenute dai reparti nel corso di una campagna erano talmente onerose da superare qualsiasi cifra messa bilancio, con il risultato che mancavano i mezzi per pagare le spese di alloggiamento, le quali ricadevano sulle singole comunità: avveniva puntualmente che i disordini seguissero i soldati in marcia, la truppa non fosse sufficientemente 9 BREMIO, Cronica Monferrina, cit.; Annali di Alessandria, cit.; MAFFI, Il Baluardo della Corona, cit., pp. 136-44. La milizia valsesiana e difesa del territorio. Strategia e guerra in una valle alpina del XVII secolo 179 foraggiata e il saccheggio rimanesse una naturale forma di sussistenza sia per le forze impegnate in campagna sia per quelle messe ai quartieri d’inverno. La stessa suddivisione dei quartieri era del tutto arbitraria e casuale. Il sistema s’inceppava quando non era garantito l’arrivo del denaro per soddisfare le esigenze di un’armata stanziata in campagna. Di fronte a queste mancanze, la resistenza messa in atto da parte delle popolazioni locali e la violenza e le estorsioni praticate dalle truppe, i commissari nominati dalla Corona potevano fare ben poco, o per mancanza di chiari compiti istituzionali o per corruzione o per mancanza di capacità. L’azione contro il territorio nemico, e non tanto contro l’esercito avversario o una sua piazzaforte, prevedeva il saccheggio delle campagne e dei centri abitati. Venivano indistintamente colpiti sia centri “amici”, situati in territorio alleato, sia nemici. Se nel primo caso il saccheggio era una risposta fisiologica al collasso del sistema logistico di un esercito, come abbiamo visto, la seconda aveva radici ben più profonde. I testi dedicati alla guerra nel XVII secolo insistono sugli aspetti di modernità, legati principalmente allo sviluppo di una strategia continentale europea e mondiale10 oppure all’amministrazione militare11 o alla tecnologia bellica12. Ma, se si osserva l’insieme delle operazioni belliche del primo Seicento italiano, non possiamo non constatare che a ogni azione grande o piccola diretta contro obiettivi militari, fossero essi piccoli presidi trincerati in un desueto castello tardomedievale dell’Alto Monferrato o una pattuglia in esplorazione nelle risiere del Vercellese, corrispondeva almeno una decina di atti di saccheggio ai danni di civili. In questo, non si ravvisa solo il fallimento della logistica, che spiega parzialmente le ragioni di una escalation della violenza, ma anche il mantenimento di un modo di fare la guerra basato sulla razzia, che affonda le sue radici nel medioevo. Il saccheggio non rappresentava un fenomeno collaterale alla guerra seicentesca, ma ne era una delle parti principali, al pari della battaglia e dell’assedio. La razzia colpiva principalmente centri urbani, case e, più raramente, caseggiati agricoli, dove erano immagazzinati i frutti dei raccolti e delle vendemmie. Le lamentele, pressoché continue, dei tre cronisti principali del periodo preso in esame, Girolamo Ghilini, Giovanni Domenico Bremio e Giovanni Battista Vassallo13 per il Piemonte 10 A titolo d’esempio cfr. R. BONNEY, The Thirty Years’s War 1618-1648, Osprey Publishing, Oxford 2002; P.H. WILSON, The Thirty Years War. Europe’s Tragedy, Harvard University Press, Cambridge 2009. 11 MAFFI, Il Baluardo della Corona, cit. 12 B.S. HALL, Weapons and Warfare in Renaissance Europe, Johns Hopkins University Press, Baltimore 1999; G. PARKER, La Rivoluzione Militare. Le innovazioni militari ed il sorgere dell’Occidente, il Mulino, Bologna 1990. 13 G.B. VASSALLO, Annali che contengono diversi avvenimenti in Casale Monferrato et altrove (1613-1695), a cura di A. Galassi, B.A. Raviola, R. Sarzi, Arcari, Mantova 2004. 180 Storia della Valsesia orientale e Giovanni Battista Feliciano Fassola per la Valsesia, sulla devastazione delle campagne e dei raccolti sono infondate oppure basate su furti di raccolti già mietuti, covoni di fieno già falciato e vino già messo a invecchiare nelle botti. Ciò che terrorizzava maggiormente i tre scrittori, però, non era tanto la notizia di un campo, di un vigneto o di un frutteto distrutto, quanto l’idea che masse di armati, riconosciuti come dannosi e pericolosi, marciassero per la campagna lombarda e piemontese. Almeno i primi due erano sicuramente proprietari terrieri e temevano danni alle proprietà fondiarie in loro possesso, rispettivamente nella pianura tra Alessandria e Tortona e in quella a sud di Casale. Tuttavia, la sola difficoltà di distruggere alberi, vigneti e campi di grano rendeva sostanzialmente improbabile una distruzione su larga scala. Anzi, il lavoro agricolo riprendeva subito dopo la partenza delle truppe dedite alle scorrerie e perfino nel corso della loro occupazione, quando si potrebbe immaginare che la distruzione delle fattorie, la devastazione dei campi di grano e lo sradicamento dei frutteti e vigneti rendessero impossibile quest’impresa per un’intera generazione. Nelle tre cronache abbondano esempi di come i lavori nei campi, anche nei momenti di maggiore pericolo e devastazione, al contrario continuassero. Non era del resto possibile che poche centinaia di uomini potessero sperare di distruggere completamente ettari di campo e di vite, anche solo della più piccola comunità agricola del Piemonte o della Lombardia. Durante l’incursione in Valsesia del 1636, i francesi e i soldati sabaudi che risalirono la Bassa Valsesia non cercavano principalmente di colpire i villaggi. Nei centri abitati erano concentrati beni e foraggi, spesso con l’intento di proteggerli dalle incursioni compiute a danno della campagna circostante. Di 475 incursioni a danni di civili, avvenute tra il 1613 e il 1659 tra Piemonte orientale e Lombardia occidentale, appena 30 colpirono la campagna e solitamente i danni maggiori furono inferti alle mandrie al pascolo, razziate e concentrate a Casale o ad Alessandria14. Non dobbiamo però sottovalutare altre ragioni per le quali le incursioni venivano decise ed effettuate. Ad esempio lo storico Girolamo Brusoni, in merito all’incursione valsesiana del 1653, scriveva: Ma più strano gioco di guerra successe di lì a pochi giorni, in altra parte; poiché essendo passato il Marchese Villa di ordine di madama di Savoia a rinovare il sacco datole già quasi due anni alla Terra del Borgo Sesia, mentre non contenti i Piemontesi del Sacco, abbruciata la metà della Terra per isfogar lo sdegno contro quel Gabelliere nell’abbruciar la sua Casa, come quello che avesse già per molti anni fatto trapassare dal Milanese per lo Stato di Masserano in Piemonte gran quantità di Sale a pregiudicio delle rendite Ducali; si stavano il giorno appresso per andare a tavola a desinare; sorpresi dalla milizia del Paese raccoltasi in quei contorni, convenne loro prendere la fuga nelle Terre vicine del Piemonte, lasciandovi da Trecento Morti, e riportandone da altrettanti feriti, che quasi anche essi ne perdettero in breve miseramente al vita15. 14 G. CERINO BADONE, Le Seconde Guerre d’Italia (1588-1659). Storiografia, Temi, Fonti, Tesi di Dottorato in Scienze Storiche, XXIII Ciclo, Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, Vercelli 2011, pp. 225-65. 15 G. BRUSONI, Dell’Historia d’Italia. Dall’Anno 1625, fino al 1660, Storti, Venezia 1661, p. 747. La milizia valsesiana e difesa del territorio. Strategia e guerra in una valle alpina del XVII secolo 181 La descrizione del Brusoni apre l’interessante questione del contrabbando del sale operato dai valsesiani a danno del Piemonte. L’autore veneto è l’unico dei cronisti ad ascrivere esplicitamente questa redditizia, ma poco onorevole, attività dei valsesiani come una delle cause delle incursioni. Luigi Peco16 attribuisce la ragione delle incursioni del 1652 e del 1655 all’animosità dei sabaudi nei confronti dei valsesiani per i danni provocati alle finanze ducali dal contrabbando del sale, acquistato a Milano e trasferito illegalmente in Piemonte attraverso il Principato di Masserano. Quelle del Villa sarebbero state spedizioni punitive volte a scoraggiare i valsesiani a proseguire il contrabbando del sale. Lo confermerebbe il particolare non secondario dell’«abruciamento» della casa del gabelliere di Montrigone coinvolto nel traffico. A conferma dello stretto collegamento tra potere politico, comando delle milizie e controllo del commercio del sale in Valsesia, esiste la lettera del cavaliere Francesco Giorgio d’Adda, scritta il 20 ottobre 1655. Il cavaliere d’Adda informava da Varallo una non ben precisata alta autorità di Milano delle continue e palesi irregolarità nella distribuzione del sale, con il coinvolgimento dei gabellieri di Varallo e del comandante della Compagnia di Borgosesia, Antonio Maria Castellani17. 4. Il Teatro operativo valsesiano Nel 1636 la guerra aveva raggiunto il Ducato di Lombardia. Francesi e sabaudi si preparavano a invadere la Lombardia occidentale. Osservare un esercito in marcia in assetto di combattimento non era più un fatto eccezionale, una calamità fortuita, ma un evento ricorrente che, in un’area compresa tra le Alpi occidentali e la Valtellina, funestava l’Italia settentrionale almeno dagli inizi del XVII secolo, ben prima che scoppiasse la guerra dei Trent’Anni. A tutti era però chiaro un fatto: quando un esercito era in movimento, non esistevano aree sicure dalla furia dei soldati. La logistica delle armate, sia francesi sia spagnole, del periodo tendeva a collassare in brevissimo tempo; dunque la truppa viveva sul territorio, saccheggiandolo e imponendo “contribuzioni” sotto forma di denaro, foraggio, cibo, legna da ardere in quantità sempre maggiori. In Valsesia i membri del Consiglio della Valle erano molto preoccupati. Si sapeva che l’armata franco-sabauda avrebbe attaccato la Lombardia superando a nord la piazzaforte di Novara. Gli invasori avrebbero utilizzato strade collocate a meno di trenta chilometri di distanza in linea d’aria dai confini meridionali del governo della Valle; dunque si poteva essere certi che in breve tempo distaccamenti sempre più numerosi di soldati affamati, violenti e sostanzialmente pericolosi si 16 L. PECO, Il mutamento di dominio della Valle di Sesia con la trascrizione del “Giornale del conte Filippo Domenico Beraudo di Pralormo” primo pretore piemontese della valle, Società Valsesiana di Cultura, Varallo 1991, pp. 187-90. 17 sASV, Fondo Famiglia d’Adda, serie I, mazzo 18, lettera del 20 ottobre 1655. 182 Storia della Valsesia sarebbero spinti lungo il corso del Sesia risalendo almeno la Bassa Valle. Occorreva capire come difendersi. Nel marzo del 1636, il sindaco generale della Valle ritenne necessario avere le idee chiare il più possibile su come difendere la Valsesia e inviò un suo ambasciatore, o meglio un suo addetto militare, a Borgosesia per prendere atto della situazione sul terreno. L’inviato, insieme con il «cavalier d’Adda»18, raggiunse il comando di Giovanni Battista Quarti, governatore della Milizia valsesiana. Il signor Quarti, probabilmente, aveva cominciato a inviare missive sempre più allarmate a Varallo. Ora occorreva capire se il governatore della milizia era in grado di svolgere il suo compito e se la situazione era così grave. A Borgosesia, il delegato ebbe un incontro confidenziale con il governatore insieme al q.le hebbi longo raggionamento, et discorsi [...] per il buon governo militare in questi tempo non solo urgenti, ma urgentissimi, acciò da quello ne segua un’animo più stabile di più tosto morire, che abbandonare la diffesa delle proprie case, et sovrano domino di S.M.C. facendo conoscere al d.o S.r Governatore quanto facile sii il diffendersi dagl’inimici, ogni volta, ch’esso non si perda d’animo, ma faccia cuore a’ li puoco esperti soldati colla presenza ma sempre ritrovandosi alla testa dove il nimico tenterà l’assalto, et più debile sarà il posto; assicurando tutti di più tosto morire che mai abbandonarli, et fargli veddere le molte, et più sicure ritirate (quando, che Dio non voglia) il Borgosessia d’havesse a’ perdere per essere tanto spatioso, et largo di piani il sito, col ritirarsi nella Corte Sup.re, dove palmo per palmo al nemico farebbe provare il caro presso del terreno, essendo questo sito assai più angusta e stretta, et dove non vi può giocare, nè caracollare Cavalleria alcuna19. Il governatore della milizia non sembrava essere molto tranquillo davanti alla possibilità di affrontare in campo aperto francesi e sabaudi, e il delegato non poté far altro che constatare che davanti alle sue insistenze e rassicurazioni «la risposta tra le molte inavvedute et puoco saggie, è stata che perso Borgosessia la Corte Superiore non ha con che diffendersi, da che dubito molto che dal natural suo timore vi sii grande mancamento nel Real S.o et governo di questa Valle»20. Il delegato, del quale non conosciamo il nome, a questo punto non poté esimersi dallo stilare personalmente un piano strategico per la difesa dalla Valsesia21. La minuziosa descrizione lascia 18 Francesco d’Adda Salvaterra, nobile di Milano (1610-1672). Sulla famiglia valsesiana d’Adda Salvaterra cfr. M.G. CAGNA PAGNONE, La famiglia d’Adda Salvaterra e la Valsesia. Catalogo della mostra documentaria, Tipolitografia di Borgosesia, Borgosesia 1986. 19 sASV, Fondo Famiglia d’Adda, serie I, mazzo 20. 20 Ibid. 21 Ibid.: «La Valle Sesia [misura] in larghezza trenta miglia in circa, et il più apperto et spatioso seno d’essa è nella Corte Inferiore, così questa Valle in due corpi di diverso nome Superiore et Inferiore è divisa, et al confine della Valle alle terre del Duca di Savoia intermediante il fiume Sessia vi è uno o due miglia incirca di larghezza spatiosa et aperta; tre miglia di soto al Borgosessia Piazza d’Arme di tutta la gente della Valle, et solita residenza del Signor Governatore, La milizia valsesiana e difesa del territorio. Strategia e guerra in una valle alpina del XVII secolo 183 trasparire un confronto diretto con i comandanti delle compagnie. La minaccia di un’invasione veniva reputata credibile in tutta la Valle e non solo nella sua sezione terminale. Dunque i comandanti di compagnia delle comunità dell’Alta Valle non avevano intenzione di partecipare alla difesa di Borgosesia «se non in caso di necessità». L’altro aspetto, molto significativo, che emerge nelle richieste al delegato, riguarda l’individuazione di un coman- vi è il primo posto sopra la strada reggia et principio di detta Valle confinante con li d’Ara di qua del fiume Sessia (terra ancor non resa) ma di Juriditione al Marchesato di Romagnano, quale è lontano dalla Piazza d’Arme tre miglia in circa, che detto il Posto di San Quirico; più indietro venendo nella Valle quasi un miglio dal primo posto vi è il posto delle Bettole stretto ed angusto, un quarto di miglio doppo su la giara di Strona fiume, et il guado di Sessia vi è un fortino quadrangolare con mezzi fianchi, non ben considerato, mezzo miglio più a destra et alla piazza d’arme nel dritto camino delli detti posti più vicino vi è l’altro posto detto di Montrigone, oltre a questo che sono al corrente dela strada duoi altri posti si mantengono della Cremosina uno, l’altro di Fenera. Questi sono tutti posti di quà del fiume Sessia. Di là del fiume Sessia vi sono la Cassina Bianca un miglio lontano dalla piazza d’Arme, mezzo miglio il trincierone d’Aranco, tre miglia il Bochetto con due mezze lune discoste, et il Posto di Pezzola quattro miglia discosto, a quegli posti ogni soccorso dalla piazza d’Armi è molto difficile per il fiume Sessia et per la lontananza. Cinque compagnie di militia sono nella Corte Inferiore, quella del Borgosessia sotto il Capitano Gargano, della Valle d’Uggia sotto il Dottor Gentile, la di Ceglio sotto il Capitano Vitia, d’Agnona et parte della Riviera sotto il Capitano Vasino, et il Capitano Motta di Doccio con l’altra parte dela detta Riviera tutte due di là del fiume Sessia, et darà il numero delle milizie di mille e cento circa. La Corte Superiore tre miglia dopra della piazza d’arme nella Valle comincia sua Jurisdizione, con sito angusto et stretto detto il Posto di Santa Maria sulla strada con la reggia tra Borgosessia et Borgo di Varalli, la di cui guardia et diffesa dessanta moschettieri quel posto assicurano; nella Valletta di Vanzone detto la Badia rivenendo per di dietro al monte di Santa Maria di Vanzone vi è una trinciera, con due mezze lune avanti, che cento sessanta huomini quel sito diffendono; di là del fiume Sessia per ritirata et diffesa della Corte Superiore in un passo vi è il posto detto della Scalagna [testo illeggibile] senza guardie e huomini. In dentro alla Valle Corte superiore à Varallo otto miglia vi è il posto della Boscarola nel territorio di Scopello, confinante con la Valle d’Andorno lato di Savoia, più avanti di sei miglia circa di ritrova il posto degli Alpi di Rassa ancora loco confinante con la gente d’Andorno, et altri miglia più in dentro vi è il posto della Riva di Grasone et Valle d’Agosta pure del Duca di Savoia, un miglio sopra ci è la terra di Alagna quale confina con due bocche con la Savoia, et Valese collegato con nemici, li primi due posto sono guardati da paesani, gl’ultimi con il soccorso di cento huomini scielti d’altre compagnie sotto il Capitano Agostino Prete, mentre il detto Governatore vuole che li paesani, sufficienti a guardarsi, et con nessuna spesa della Valle, et disaggio de soldati, caminano alli posti della Corte Inferiore con il corso di due giornate, et ivi manda altri ch’altro tanto da detti posti sono lontani a quelli posto guardare. Li Capitani et Compagnie della Corte Superiore sono quattordeci. Di Vallo il Capitano Jordano, et il Capitano Testa, il Capitano Mognetto di Quarona, il Capitano Agosto Preto della Roccha, il Capitano Miloda di Sabbia, il Capitano Alberganti di Cravagliana, il Capitano Spanna di Fobello, et il Capitano Calcino di Rimella, tutti e quattro della Valle Mastalone, il Capitano Giovanni Preti della Valle Sermenza, il Capitano Cottorello di Scoua [Scopa], il Capitano Mazziolo di Scopello, il Capitano Sceti di Campertogno, il Capitano Bertholino della Riva, et il Capitano Chiarino d’Alagna tutti e cinque della Valle grande di Sessia, il numero delle persone habili all’arme descritte darà da tre mille e sei cento in circa». 184 Storia della Valsesia dante capace, conoscitore della Valle e del suo territorio, in grado di individuare «le ritirate». Dunque la milizia non era concepita come una forza militare che doveva combattere sino all’ultimo contro un invasore, ma come una rivendicazione della sovranità della Valle. 5. 1636. La Battaglia della Cremosina Fig. 18. 22 L’ex voto della chiesa di Agua, frazione di Cellio, è una delle più interessanti testimonianze pittoriche della guerra del Seicento italiano, una vera e propria istantanea di un combattimento. I volti, i luoghi, la violenza dello scontro rivivono in tutta la loro drammaticità, pur stemperata dal crescente degrado della tela22. La Francia, allorché fu costretta a entrare direttamente nel conflitto dal 1635, dopo il rapido calo della potenza militare svedese (il suo migliore alleato in Germania), pur alimentando le operazioni contro le terre spagnole della Lombardia, non parve eccessivamente interessata a effettuare consistenti conquiste territoriali, quanto a tenere impegnate in Italia grosse unità avversarie; senza tale iniziativa, molti reparti spagnoli e napoletani sarebbero stati inviati sul teatro delle Fiandre e della Franca Contea a fronteggiare le spinte offensive delle armate di Luigi XIII. In quest’ottica di carattere strategico, la Francia riuscì ad attrarre il duca di Savoia, Vittorio Amedeo I, in un’alleanza offensiva stipulata l’11 luglio 1635 a Rivoli. Tuttavia la forza del contingente francese da inviare in Lombardia al comando del maresciallo Charles de Créquy non superò gli 8000 uomini, mentre le clausole del trattato appena firmato contemplavano un corpo di 12.000 uomini a piedi e 1500 cavalieri. Nell’alleanza contro la Spagna entrarono anche i duchi di Parma, di Mantova e di Modena, i quali dovevano fornire ognuno un contingente di circa 6000 uomini (3000, soltanto il duca di Modena). Quest’ultimo si sottrasse quasi subito agli impegni militari con la Francia; Francesco sASV, Museo Calderini, mazzo 21, Scaramuccia tra la milizia di Valduggia e di Cellio ed i soldati franco-sardi alleati, il 24 luglio 1636: «Nell’Oratorio ossia Chiesa d’Agua di Cellio havvi un quadro grande, ad olio, che esprime la scaramuccia della Cremosina o di quelle adiacenze, nel 24 luglio 1636: abbasso un cartello, la cui leggenda ora intieramente sbiadita, venne conservata per cura di rozza penna aguese». La milizia valsesiana e difesa del territorio. Strategia e guerra in una valle alpina del XVII secolo 185 d’Este non esitò, infatti, a schierarsi dalla parte spagnola contro la promessa della cessione della terra di Correggio, confinante con i suoi domini. Il contingente dei Ducati non arrivò, tuttavia, a superare i 5000 fanti e i 1000 cavalieri. Il duca Henry de Rohan, capo ugonotto divenuto celebre in Francia al tempo dell’assedio de La Rochelle, dopo un’accorta preparazione diplomatica svolta dal cardinale de Richelieu con i Cantoni svizzeri e i loro alleati, era stato inviato attraverso le montagne e le valli elvetiche al comando di un corpo di fanteria e cavalleria nel territorio dei Grigioni; superati i passi delle Alpi Retiche, il duca di Rohan era penetrato in Valtellina scendendo sino a Bormio. Gli spagnoli erano così stati privati dei due corridoi strategici tra la Lombardia e l’Europa settentrionale: il Passo del Moncenisio e la Valtellina. Inoltre, il comandante francese sarebbe dovuto scendere in pianura per minacciare da settentrione il Ducato di Milano, in concomitanza con un’azione offensiva che le forze alleate di Francia, Savoia, Parma e Mantova avrebbero svolto attraverso il Sesia e il Ticino in direzione di Milano, obiettivo strategico dell’intera manovra. Prima di questo i francesi tentarono di impadronirsi delle vie d’acqua, eliminando il principale sbarramento asburgico sul Po, la piazza di Valenza. Tale mossa, resa necessaria per il trasporto delle salmerie e dei pesanti traini d’artiglieria, non fu coronata da successo e la guarnigione asserragliata a Valenza fu soccorsa. L’offensiva contro Milano fu lanciata l’anno successivo. Gli alleati avevano deciso di avanzare da ovest verso est. Quest’offensiva generale fu ostacolata dal tentennamento e poi dalla defezione dell’intero contingente parmense. Il duca Odoardo Farnese, da un lato premuto a ritirarsi dall’alleanza, da parte di una missione inviatagli da papa Urbano VIII, dall’altro lato preoccupato dalle serie minacce d’invasione delle sue terre da parte degli Spagnoli, si rivelò gregario infido, indocile e pertanto pericoloso per l’efficienza militare dei collegati. Impossibilitati a fare affidamento sul corpo parmense, Vittorio Amedeo e il maresciallo Créquy dovettero così pianificare un’avanzata limitata sul territorio lombardo, fidando tuttavia nell’azione concomitante del duca di Rohan che operava in Valtellina, le cui avanguardie si erano avvicinate a Lecco, lungo la Valsassina. Superando a nord la piazza spagnola di Novara, Oleggio e il traghetto sul Ticino furono i primi obiettivi sostanziosi degli alleati. Questi, superando il Sesia, confine tra il Ducato di Savoia e quello di Milano, a Romagnano erano entrati nel Novarese, il settore più occidentale del Ducato lombardo, zona pianeggiante, fertile, ricca d’acque, ristretta tra i corsi dei fiumi Sesia e Ticino. L’avanzata alleata verso il Ticino fu abbastanza rapida. La sera di venerdì 13 giugno le truppe sabaude e francesi erano arrivate a Oleggio. La comunità era fuggita in massa dalle proprie abitazioni, temendo le violenze dell’armata degli invasori. Data la massa di fuggiaschi diretti verso est sulla sponda sinistra del fiume, il nobile Pier Francesco della Croce, inviato dalla Comunità di Lonate a «levare il porto», ossia a rompere il traghetto, decise di interrompere le comunicazioni solo il giorno seguente. La presenza di ben 14.000 soldati era un problema grave per le comunità locali. La truppa saccheggiava, uccideva e derubava incitata dai propri comandanti, i quali vedevano in tale pratica un modo semplice per soddisfare la logistica dei propri uomini, vivendo sul territorio, e per devastare il paese 186 Storia della Valsesia nemico. Le milizie locali furono presto levate, in particolare quelle del Lago d’Orta e quelle della Valsesia. Per il momento l’area a nord di Gozzano e il bacino rivierasco furono risparmiati grazie all’intercessione del vescovo di Novara «a non molestare la Riviera». Il prelato fu tuttavia duramente apostrofato dal maresciallo de Toiras con «orrenda, empia, sacrilega ed eretica risposta»23. Se in quel momento non si ritenne necessario l’investimento di Novara, per il quale mancavano i parchi d’assedio, Vittorio Amedeo I decise comunque di ripulire la rotta Romagnano-Oleggio, sino al Ticino, da qualsiasi forma di resistenza armata. In questa fase avvenne, sabato 14 giugno 1636, il breve investimento e la presa del castello di Fontaneto. Nel fatto d’arme sviluppatosi attorno a quella modesta rocca, il maresciallo di Francia Jean du Caylar de Saint-Bonnet, marchese di Toiras, uno degli ufficiali superiori più esperti e capaci dell’esercito alleato, fu ucciso da un colpo di archibugio alla fronte da tale Simone del Boca, contadino arruolato nella locale milizia24. Lo stesso giorno la milizia di Gallarate e di Lonate si batteva con il grosso delle forze franco-sabaude al traghetto di Oleggio, venendo infine respinta. Il 15 giugno gli alleati, padroni sia di Oleggio sia del traghetto, iniziarono a costruire un ponte di barche. L’opera, ultimata per l’indomani, consentì di guadagnare la riva sinistra del Ticino. Con il passaggio verso Milano dell’esercito alleato il peggio sembrava superato per le popolazioni della riva destra. Tuttavia il 22 giugno gli spagnoli, guidati dal governatore di Milano, Diego Mejía Felipe de Guzmán, marchese de Leganés, impegnarono in uno scontro campale i franco-sabaudi a Tornavento, sulla riva sinistra del Ticino, nei pressi di Lonate Pozzolo. Sebbene la vittoria tattica spettasse agli alleati, che erano rimasti padroni del campo, strategicamente si trattò di una battuta di arresto. L’intera manovra si rivelò, in pochi giorni, un completo fallimento. Mentre nei Paesi Bassi spagnoli il principe Tommaso di Savoia iniziava l’offensiva che doveva portarlo sino sotto le mura di Corbie, vicino a Parigi, Vittorio Amedeo I dovette fermarsi. Leganès, ritiratosi ad Abbiategrasso, teneva la linea Novara-Vigevano-Abbiategrasso-Milano, sbarrando ogni rifornimento fluviale all’armata alleata; pertanto il duca non poté far altro che continuare la devastazione del territorio avversario – il 29 giugno Gallarate fu incendiata –, compiere azioni di sabotaggio, come l’interruzione del Naviglio a Nosate, e attendere il ritorno offensivo degli spagnoli trincerato sui campi di Tornavento. Quindi, dopo aver lasciato la fanteria a Somma, tentò un’incursione sino a Sesto San Giovanni con sole forze di cavalleria. Tuttavia il 16 luglio l’armata alleata lasciava il Milanese per rientrare nel Novarese. 23 24 L.A. COTTA, Corografia della riviera di San Giulio, a cura di C. Carena, Rotary Club, Borgomanero-Arona 1980, p. 217. Cfr. V. DE VIT, Memorie storiche di Borgomanero, Aldina, Prato 1880, p. 163. Per una biografia completa del maresciallo di Toiras cfr. Histoire du Mareschal de Toiras, ou se Voyent les Effets de la Valeur et de la Fidélité: avec ceux de l’Envie et de la Jalousie de la Cour, ennemies de la Vertu des Grands Hommes. Ensemble une bonne partie du Règne du Roy Louis XIII par Michel Baudier, historiographe de S. M., Cramoisy, Paris 1644. La milizia valsesiana e difesa del territorio. Strategia e guerra in una valle alpina del XVII secolo 187 Ritornato sulla riva destra del Ticino, Vittorio Amedeo I si preoccupò di allargare la fascia di territorio occupato, mettendo in sicurezza la posizione di Fontaneto. Ben 142 case, pressoché l’intero borgo, furono spianate per garantire un buon campo di tiro ai difensori del castello, mentre la guarnigione, guidata dal colonnello Basan al comando di 200 cavalieri e 300 fanti, già il 6 luglio si era resa padrona di Borgomanero. Le condizioni morali e logistiche della truppa alleata non erano delle migliori. Gli occupanti iniziarono a lanciare incursioni aventi come unico scopo la raccolta di foraggio e cibo. Queste puntate, di solito portate da poche centinaia di soldati, erano comunque viste con grave preoccupazione dalle popolazioni stanziate intorno al Lago d’Orta e nella Bassa Valsesia. La Riviera d’Orta decise la levata della milizia comandata dal capitano Giovanni Antonio Agazino. La cresta collinare che si estende tra Gozzano e il lago fu difesa da una serie di fortificazioni campali, destinate a interrompere la strada che giungeva da Borgomanero e a impedire eventuali aggiramenti. Le incursioni francesi ripresero intense a nord di Borgomanero, nonostante le promesse fatte al vescovo di Novara, che al momento risiedeva a Gozzano nel Palazzo Vescovile. Fidandosi dei comandi francesi, aveva vietato agli abitanti dei suoi feudi di abbandonare le case con i loro beni. Il 21 luglio Gozzano fu assalita da un gruppo di cavalieri. Questi non poterono superare le mura del borgo, anche se modeste, e furono respinti con qualche perdita dalle milizie locali. I cavalieri richiesero allora l’appoggio della guarnigione di Borgomanero, la quale intervenne con un reparto di fanteria, probabilmente non più di due o trecento uomini. Questi alla fine ebbero ragione delle difese e riuscirono a sfondare le porte del paese. Gozzano fu così saccheggiata. In particolare, furono sequestrati tutti i capi di bestiame che si poterono trovare, un’ottima riserva di “carne in piedi” per l’affamato esercito alleato. Un gruppo di ufficiali si recò al Palazzo per scusarsi con il vescovo dell’accaduto, promettendo castighi e punizioni, e offrì la protezione di una formazione di cavalleria, circa 40 uomini di truppa, per impedire futuri eccessi di violenza. Mentre l’esercito alleato si stava ormai ritirando dal Novarese, ben 2000 uomini, tutta la retroguardia, fu dirottata su Gozzano per trovare riparo. Non esistevano abbastanza spazio e cibo per tutti e questo non fece altro che esacerbare gli animi dei soldati, i quali, divisi per bande più o meno autonome tra loro, iniziarono a battere il territorio. Il 22 luglio la truppa saccheggiò Soriso. Rimangono le narrazioni dell’eccidio, tratte dal registro parrocchiale dei morti: Il primo libro dei morti è stato rubato dai Francesi il 22 luglio 1636. In detto giorno sono venuti in Soriso ed hanno ammazzato gli infradescritti uomini di Soriso; M.r Francisco Mongino. Domenico Merigo. Iacomo Loro. Gio. Antonio Pinotto. Gio. Maria Pinotto. Gelardo Casarotto. Gio Iulio Toriono. Iulio Barollo d.o il Moretto. Gio. Maria Casarotto. Giorgio Ozino. Clara Hieronima Pinotta moneca terziaria, tutti di Soriso. Mathia Mora di S. Cristina, ed altri forastieri. La Chiesa fu tutta spogliata, e la terra tutta brusata dai Francesi25. 25 G. MONGINI, Memorie di Soriso, Tipografia novarese, Novara 1881, pp. 70-71. 188 Storia della Valsesia Durante le operazioni di saccheggio, alcuni militari francesi isolati furono uccisi dalla popolazione locale. In particolare, proprio a Soriso, un membro della famiglia Francesconi ferì mortalmente con un colpo di archibugio un graduato francese che sostava sotto al portico della chiesa maggiore. Quest’episodio aumentò le distruzioni e le uccisioni, al punto che il paese fu completamente incendiato, a eccezione di una sola abitazione. Le milizie locali controllavano di continuo i movimenti della truppa franco-sabauda, tentando di colpirla con imboscate, ma ciò non impedì che il 23 le colonne dei soldati appiccassero incendi, per rappresaglia agli attacchi subiti nei pressi di Gargallo, Auzate e saccheggiassero Bugnate e Pogno. La milizia della Riviera non riuscì a impedire il saccheggio di Bolzano Novarese, ma almeno evitò la distruzione del paese, attaccando e respingendo una parte del distaccamento nemico che stava appiccando il fuoco. Ormai rimaneva ben poco da saccheggiare, al punto che una colonna di francesi tentò un’incursione in Valsesia. I movimenti di questo reparto erano tenuti sotto controllo dalle due compagnie di milizia di Valduggia e Cellio, le due comunità cui competeva la difesa del confine della Riviera, a cavallo della Cremosina. Qui, il 24 luglio 1636, respinsero dopo un breve combattimento i francesi, i quali per il momento non tentarono più di penetrare in Valsesia. Quindi, nel successivo mese di agosto, l’esercito alleato franco-sabaudo si ritirò sino al Sesia, e per il momento tornò la pace sui territori a sud del Lago d’Orta. I segni della guerra, però, segnavano ancora i vari centri abitati. A Soriso, dove maggiori erano stati i danni, molti erano i morti insepolti o sommariamente deposti nella campagna. Il 21 luglio 1637 si supplicava il vescovo, affinché «sendo la gente ritirata chi qua chi là si seppellirono li cadaveri di essi morti in campagna alla meglio che si poté. Ora li parenti di essi morti desiderano far trasferire le ossa di essi morti nel cimitero della parrocchia di Soriso»26. La colonna dei soldati risalì la strada che unisce Soriso a Rastiglione in Valsesia. Nel XVII secolo questa era poco più di una mulattiera e, per quanto ampia, non consentiva il transito che a poche persone per volta. Ammettendo una forza minima di un reggimento, 500 uomini, la formazione attaccante si estendeva per almeno mezzo chilometro. Dunque erano assai visibili alle pattuglie valsesiane che dovevano presidiare il confine. La milizia era sicuramente in allarme da giorni, in quanto sin dal 21 giugno i segni di incendi e distruzioni costellavano il territorio a sud del Lago d’Orta e immediatamente a est della Valsesia. Come ci illustra l’ex voto di Agua, in testa alla colonna francese furono schierati gruppi di archibugieri, in grado di servire da gruppo esplorante e di ingaggiare in combattimento eventuali formazioni avversarie, riconoscerne la forza ed eventualmente ammorbidire la resistenza del nemico 26 Ibid., p. 73. La milizia valsesiana e difesa del territorio. Strategia e guerra in una valle alpina del XVII secolo 189 con la propria potenza di fuoco, prima di lasciare il campo ai picchieri, in marcia più indietro, per la definitiva azione di sfondamento. Le operazioni non si svolsero come il comandante franco-sabaudo aveva previsto; la milizia valsesiana non solo non fuggì ma, schieratasi lungo i fianchi della Cremosina, un valico posto a 599 metri sul livello del mare, confine naturale tra la Valsesia e il Novarese, aprì il fuoco sulla colonna in avvicinamento. Questa non fu in grado, a causa della conformazione del campo di battaglia, di adottare una formazione più adatta per controbattere con i propri archibugi il tiro dei valsesiani, né di coprire l’avanzata dei picchieri verso la formazione nemica. I miliziani, protetti dagli alberi e da altri ripari che ebbero il modo di costruire, inflissero in poco tempo perdite così gravi che gli attaccanti preferirono ritirarsi verso la Riviera. Ancora un centinaio di anni dopo, riguardo agli scontri tra fanteria regolare e miliziani, si faceva notare che non appena sei attaccato dai contadini, cerca di serrare subito sotto con la baionetta il prima possibile, perché non sono avvezzi a questa tattica, e generalmente non hanno baionette. Tieni a mente che sono molto più efficaci nel combattimento a fuoco rispetto alle nostre truppe, ed è difficile colpirli, poiché combattono individualmente e si nascondono dietro ad alberi e rocce27. Le ragioni della sconfitta francese furono le seguenti: il terreno non consentiva ai picchieri di disporsi in una formazione sufficientemente massiccia per sfondare la linea della milizia, composta da almeno duecento uomini; i miliziani di Cellio e Valduggia avevano una conoscenza del terreno sicuramente superiore a quella dei loro avversari, pertanto furono in grado di schierarsi nel modo più opportuno per far valere la loro maggiore potenza di fuoco; la colonna francese non era numerosa né, tanto meno, decisa a scendere in Valsesia (si trattava di una scorribanda o di una spedizione a scopo di rappresaglia). Più che di battaglia, dunque, si trattò di una scaramuccia tra una formazione francese – non organizzata né motivata – e la milizia di Valduggia e Cellio. I valsesiani, al contrario dei loro avversari, erano ben decisi a disputare loro il passo e a impedire la discesa in Valle. La battaglia impressionò molto i protagonisti di parte valsesiana. La presenza dell’esercito franco-sabaudo alle porte della Valle fu percepita come un pericolo di una portata tale che, una volta venuta meno l’emergenza, un abitante della Comunità di Agua decise di realizzare l’ex voto ricordato prima. La tela, di grandi dimensioni e realizzata da un pittore di buone capacità, raffigura la milizia di Cellio e Valduggia che, a colpi di archibugio, respinge una colonna di soldati francesi e sabaudi. Alla base del quadro un cartiglio ormai illeggibile recitava così: 27 A.N. SANTA CRUZ Y MARCENADO, Réflexions militaires et politiques, vol. VII, van de Kieboom, La Haye 1740, p. 160. 190 Storia della Valsesia Memoria della grazia ricevuta dà nostro Signore per intercessione della gloriosa Vergine Maria et soi santi nostri Avocati esendo li anni della guera tra spagnioli e francesi e savoiardi nel stato di Milano et aver saggegato parte di esse et quasi tutto il novarese tantarono anco di venire in Valsesia la vigilia di santo Giacomo del detto anno ritrovandosi li valsesiani sediati quasi d’ogni parte dalli grandi esercito senza alcuno socorso ricorsero al divino aiutto et combattendo generosamente massimamente le due compagnie di Valduggia e di Cellio perche’ pochi vi anno da’ socorsi così restarono vincitori con pocha offesa et offendendo li inimici con ferite et morte di molti di loro: così li huomini di Agua quelli che pagano il legato anno fatto fare questa a onore di Dio et memoria della grazia riportata28. L’ex voto di Agua fu realizzato per volere di Giacomo Nicola (o Denicola), per celebrare il felice ritorno dei suoi quattro figli dal combattimento della Cremosina. A raccontare questo era stato, nel 1790, un certo Giuseppe Maria Nicola, discendente di Giacomo, il quale aveva sentito narrare la vicenda «dalli miei vecchi del legato del pago di Santa Anna»29. Nel quadro, infatti, almeno quattro miliziani sono dipinti con estrema cura, probabilmente i veri e propri ritratti dei quattro fratelli. 6. Scontri nella Bassa Valle: Borgosesia 1653, 1655 e 1658 Giovanni Battista Feliciano Fassola descrisse accuratamente l’incursione sabauda del 1° gennaio 1653 contro Borgosesia30. Contrariamente alle operazioni del 1636, l’attacco ebbe successo: Villa si era dimostrato particolarmente capace, o forse gli insuccessi degli anni precedenti avevano insegnato alle truppe regolari e ai loro comandanti come operare in Valsesia senza subire eccessivi danni. Gli abitanti di Borgosesia furono effettivamente colti di sorpresa. Il 31 dicembre la sua piccola armata era ancora accampata a Salussola. Il 1° gennaio era a Castellengo, località posta tra Cossato e Mottalciata, per poi proseguire sino a Borgosesia. Lo stesso giorno le truppe sabaude, che insensibili alla stanchezza della marcia (Salussola dista circa 60 km da Borgosesia), saccheggiarono la località valsesiana e bruciarono il piccolo centro di Montrigone. Qui la truppa del marchese Villa era stata fatto oggetto di alcuni tiri di moschetto; la reazione dei soldati, istigati dai propri ufficiali, fu incendiare il piccolo abitato: 28 La trascrizione fu riportata integralmente nel 1885 dal sacerdote Giovanni Battista Rasario. sASV, Museo Calderini, mazzo 21, Scaramuccia tra la milizia di Valduggia e di Cellio ed i soldati franco-sardi alleati, il 24 luglio 1636 (vedi appendice). La trascrizione di F. TONETTI, Museo storico ed artistico valsesiano, Colleoni, Varallo 1883-1891, p. 141, è incompleta. 29 30 sASV, Museo Calderini, mazzo 21, Scaramuccia […]. La Valle Sesia descritta dal Conte Giovanni Battista Feliciano Cavaliere Fassola, alla Serenissima Altezza di D. Giovanni d’Austria consacrata, ms. 1672, 4 agosto, Varallo, in Biblioteca “Achille Marazza” di Borgomanero, Fondo Molli, mazzo 99, citato in RASTELLI, Informazioni, cit., pp. 11-16. La milizia valsesiana e difesa del territorio. Strategia e guerra in una valle alpina del XVII secolo 191 habbiamo inculcato a tutti gli officiali et soldati acciò puntualmente si esequisse l’ordine di V.A.R. di salvare le Chiese, l’honore delle Donne, et evitare gli incendii, oltre che si sono usate diligenze particolari a segno che per li due primi punti V.A.R. è stata servita, ma circa il tertio si è salvato interamente il Borgo di Sesia, ma non già un piccolo membro di esso nominato Montricone quale havendo all’esempio di detto Borgo fatte sparate et altri atti di hostilità è stato da alcuni volontari abbrugiato, con sommo nostro dispiacere, massime considerando che per accidente si bruciarono altresì a Salussola tre cassine31. L’avvicinamento era avvenuto a tappe forzate ed era risultato particolarmente veloce. Nella Valle nessuno aveva avuto avvisaglia dell’incursione. L’incursione del Villa fu un successo. Borgosesia fu occupata il 1° gennaio e abbandonata il medesimo giorno. Il comandante sabaudo informò la Corte di Torino che «il Borgo di Sesia […] non si è trovato meno opulento di quello che si supponeva»32. Il bottino era tale da preoccupare il comando. Il marchese Villa temeva la velocità di marcia delle truppe, fondamentale per evitare la reazione della milizia che si attendeva da un momento all’altro. Avrebbe voluto rimanere a Borgosesia nella notte, ma «riconoscendosi essere tutti li soldati tanto imbarazzati del bottino fatto che non sarebbe stato di servire in una occasione si è di nuovo stabilito di marciare per ritirarsi a Sostegno di dove poi occorrendo si avanzeranno di nuovo»33. La cronaca del Fassola enfatizza la rapida mobilitazione delle milizie della Valle: 9 compagnie su 19 arrivarono per prendere contatto con le forze sabaude, di fatto circondate nel borgo; solo l’intercessione del clero locale avrebbe fermato l’assalto – dato per vincente – dei valsesiani. In realtà appare impossibile che quasi la metà delle compagnie della milizia potessero essere riunite in poche ore, non solo per le distanze da coprire, ma anche per ragioni organizzative, quali la trasmissione degli ordini, la distribuzione degli uomini nei posti-chiave per circondare Borgosesia, la pianificazione di un attacco contro un centro abitato difeso da un gran numero di soldati. In realtà i valsesiani furono colti alla sprovvista. I pochi armati che si poterono radunare, ossia i residenti del borgo, non avevano certo le forze sufficienti a resistere per il lungo tempo necessario alla milizia per radunarsi. Entrare in Valsesia e uscirne relativamente incolumi non era più un’impresa impossibile. L’incursione del gennaio 1653 convinse i comandanti franco-sabaudi che il saccheggio della Bassa Valsesia era una possibilità concreta per gli eserciti, o parti di essi, che erano impegnati in campagna nella Lombardia occidentale. Nell’estate del 1655 il marchese Villa, impegnato nel Novarese, tentò nuovamente di prendere possesso di Borgosesia. Questa volta, però, i valsesiani erano pronti. Dopo l’incursione del gennaio 1653 fu collocata sul 31 ASTo, Corte, Lettere Particolari, mazzo 31, 1 gennaio 1653. 32 RASTELLI, Informazioni, cit., p. 17. 33 Ibid., p. 17. 192 Storia della Valsesia territorio di Borgosesia una serie di posti, ossia luoghi fortificati da dove controllare le comunicazioni e i passaggi obbligati della Valle. Furono costruiti o restaurati almeno sei posti di guardia fortificati, con opere murarie e relativi baracconi per l’alloggiamento delle guardie: il posto di guardia del Molino, o Molinetto; il posto della Casa bianca; il posto della Madonna a Montrigone; il posto del Borgo o della Piazza; il posto della Bettola; il posto del Bocchetto. A questa catena di presidi furono affiancate alcune palificate, ossia palizzate destinate a sbarrare alcune sezioni della Valle. Se ne installarono due, una detta del «Reale di Montrigone», a difesa della strada principale, una detta del «Giardino della Casa di Bonnello». Le porte di Borgosesia furono rinforzate e dotate di un presidio fisso. Tali costose fortificazioni, di carattere semipermanente, erano mantenute con le finanze dell’intera Valle e presidiate da squadre di milizia fornite a turno da diverse compagnie34. L’allestimento di questi apprestamenti difensivi non era sfuggito all’intelligence sabauda. Il marchese Villa scrisse alla Reggente nell’ottobre del 1653 che Li Spagnoli vanno migliorando le fortificazioni fatte apresso Gattinara, et attorno Romagnano, come anche il fortino fabbricato a Borgo di Sesia, et un altro novo messo sopra la strada che va a Crevacuore per la quale io passai nel scorso inverno per ritornare in Piemonte. Si vanno rinforzando con quantità di Militie, et la sola Valle di Sesie ne dà due mila, tuttavia sopra questa pianura poco li temiamo […]35. Il 24 luglio il marchese Villa, che aveva stanziato le proprie forze, in tutto 1500 uomini a cavallo e 400 fanti, tra Romagnano Sesia, Ghemme e Carpignano, radunò le truppe a Romagnano e decise di ripetere l’incursione del gennaio 1653. Alle ore 11 dello stesso giorno i sabaudi furono avvistati all’imboccatura della Valsesia. Il loro arrivo era stato probabilmente annunciato, anche se con scarso anticipo. La mobilitazione generale della Valle era stata data il 19 luglio, ma dislocata lungo le difese di Borgosesia era presente solo la Compagnia di Borgosesia. I miliziani tentarono qualche abbozzo di difesa, ma ben presto si ritirarono senza che le parti lamentassero morti o feriti. I posti di guardia e le palizzate, se non ben presidiati e difesi da soldati disposti a battersi, erano di fatto inutili. La tattica del marchese Villa era piuttosto semplice: una parte dei suoi uomini “fissavano” 34 La descrizione completa delle opere difensive, e del loro costo, è presente in sASV, Archivio Storico del Comune di Borgosesia, mazzo 2, Copia delli mandati fatti dal sig. Gio. Pietro Giudice Governatore della Milizia della Valle Sessia sovra li pagamenti per le spese fatte in occasione delli repari fatti al Borgo Sessia. La trattatistica dell’epoca in merito a fortificazioni campali improvvisate fu raccolta nel XVIII secolo da J.L. LE COINTE, La Science des Postes Militaires, ou, Traité des Fortifications de Campagne, à l’usage des Officiers particuliers d’Infanterie qui sont détachés à la Guerre, Desaint & Saillant, Paris 1759. 35 ASTo, Corte, Lettere Particolari, mazzo 31, lettera del 30 ottobre 1653. La milizia valsesiana e difesa del territorio. Strategia e guerra in una valle alpina del XVII secolo 193 i miliziani all’interno delle fortificazioni, mentre una colonna superava l’ostacolo a mezza costa. In questo modo, l’una dopo l’altra, le postazioni fortificate furono aggirate, grazie anche alla guida di “tristi paesani”, mentre i presidi, vistisi aggirati, si davano alla fuga. La Compagnia di Borgosesia, sparando in maniera sporadica, si ritirò da tutta la catena di fortificazioni. Nel pomeriggio del 24 luglio, il marchese Villa e i suoi soldati sabaudi ricomparvero nelle vie di Borgosesia, che venne saccheggiata per la seconda volta in meno di due anni. Sicuro delle proprie abilità di comandante e della pochezza dell’avversario, il comandante sabaudo decide di acquartierarsi nel centro abitato. Nel frattempo, alla Cappella della Pietà furono fatte convergere tutte le compagnie della milizia in grado di essere immediatamente impiegate in azione36. Complessivamente circa 2000 uomini armati erano pronti ad attaccare Borgosesia: il piano messo in atto dai comandanti valsesiani prevedeva l’accerchiamento del nemico, per poi attaccarlo e spingerlo verso Montrigone e Bettole, unica sua via di ritirata. Il marchese Villa non avrebbe potuto guadare il fiume per passare ad Aranco e prendere la strada del Bocchetto, perché il Sesia era in quel momento in piena. Nella zona di Bettole avrebbe dovuto attenderlo il capitano Gentile con la Compagnia di Valduggia, per chiuderlo in trappola, con il fiume alle spalle e di fronte la Milizia di Valduggia schierata in combattimento e coperta dalle case del cantone di Bettole. A metà mattina del 25 iniziò il dispiegamento delle compagnie valsesiane, che presero posizione sulle basse colline che circondano Borgosesia. Verso mezzogiorno la milizia aveva completato il suo dispiegamento e fu dato il segnale d’attacco con l’accensione di un fuoco. Due squadre di miliziani, le meglio armate e composte da valligiani predisposti psicologicamente al combattimento a distanza ravvicinata, entrarono nel centro abitato. La prima, comandata dal parroco di Arlezze, don Leydi, si appostò presso l’Osteria del Moro37. La seconda, guidata da Antonio Fassola, scese di rincalzo dall’altura del Castellazzo. Le due squadre non avevano probabilmente un piano concertato tra di loro e i comandanti scelsero di avventurarsi per le vie e aprire il fuoco a casaccio contro i soldati sabaudi che capitavano loro davanti. Gli avversari, messi in allarme, si radunarono all’interno delle due porte alle estremità del borgo. Questo permise loro di difendersi all’interno di due edifici fortificati abbastanza poderosi che non potevano essere espugnati se non con l’uso di artiglierie – e le milizie erano sprovviste di qualsiasi cannone anche di piccolo calibro – e nel contempo, consentivano l’uscita verso la campagna. La ritirata iniziò con molta calma; per prima fu fatta uscire la cavalleria, che guadò il Sesia a Montrigone, quindi si allontanarono i reparti di fanteria. Proprio 36 La Cappella della Pietà era posta sulla strada che da Borgosesia sale a Varallo. Fu demolita nel corso della costruzione della ferrovia Novara-Varallo. Cfr. RASTELLI, Informazioni, cit., nota 58, p. 37. 37 L’Osteria del Moro era la sede del Quartier Generale del marchese Villa in Borgosesia. Cfr. RASTELLI, Informazioni, cit., nota 72, p. 42. 194 Storia della Valsesia nelle fasi finali dello scontro avvennero gli episodi più cruenti. Un drappello di tredici sabaudi rimase isolato dal resto del gruppo; chiusi tra il fiume e il centro abitato, divennero il bersaglio ideale per un numero sempre maggiore di miliziani che seguiva a distanza il nemico in ritirata. Due o tre soldati furono uccisi dal fuoco dei moschetti, gli altri tentarono il guado ma sei di loro affogarono nel Sesia. Il resto delle forze del marchese Villa giunse a Bettole, dove fu possibile guadare il fiume indisturbati. La Compagnia di Valduggia, che avrebbe dovuto chiudere il passaggio al nemico, preferì rimanere lontano dall’area degli scontri. I sabaudi, nel frattempo, erano ormai ritornati al campo di Romagnano. Nei giorni successivi, la milizia lanciò ancora sporadici attacchi contro le truppe del marchese di Villa, ma nella sostanza il settore valsesiano ritornava tranquillo38. Nel settembre 1658, mentre la guerra tra la Francia e la Spagna ormai volgeva al termine, la Valsesia fu nuovamente oggetto di una scorreria da parte dell’armata franco-modenese del duca di Modena e Reggio, Francesco I d’Este. Il 5 settembre il duca «risolve alloggiare l’Armata a Romagnano, Prà, et Ghemo, desiderava il S. Duca di Nouailles che le Truppe di S.A.R. alloggiassero a Gattinara et altre Terre»39. Il 9 settembre informava il figlio Alfonso che «ci siamo portati poi coll’Armata à Romagnano, e le truppe si vanno molto ben ristorando co’ foraggi, e comodità che trovano nel paese intorno, che è assai buono»40. Il «paese intorno, che è assai buono» era la Valsesia, che il giorno 8 settembre era stata invasa. Il marchese di Villa, con una certa soddisfazione date le difficoltà che pochi anni prima aveva incontrato negli stessi luoghi, scrisse alla Madama Reale che Il S. Duca di Noualles con 1200 moschettieri et altrettanti cavalli ha mortificato quelli di Val Sesia che insolentemente hanno ricusato le Salve Guardie del Ser.mo duca di Modena, et ha saccheggiato il Borgo di Val di Sesia dove non si è ritrovato che un poco di grano et di vino rifugiato di queste […] per esser morti da 30 di quelli paesani et in maggior numero fatto prigioni41. L’incursione in Valsesia, a parte un ufficiale sabaudo ucciso da una fucilata il 18 settembre42, non incontrò la minima resistenza: Agli 8 [settembre] per aver gli abitanti di Borgo Sesia rifiutato la Salvaguardia mandata loro dal marchese di Billa; spedì loro S.A. [Francesco I d’Este] mille e cinquecento cavalli, e duemila fanti per castigarli. Il Prencipe 38 Ibid., pp. 27-80. Si trovano una trattazione attendibile e un’analisi approfondita degli scontri di Borgosesia. 39 ASTo, Corte, Lettere Particolari, mazzo 31, lettera del 5 settembre 1658. 40 Archivio di Stato di Modena, Corrispondenza tra i Principi Estensi, mazzo 113, lettera del 9 settembre 1658. 41 ASTo, Corte, Lettere Particolari, mazzo 31, lettera del 5 settembre 1658. 42 Ibid., lettera del 18 settembre 1658. La milizia valsesiana e difesa del territorio. Strategia e guerra in una valle alpina del XVII secolo 195 Almerico andò alla testa della Cavalleria, e il Duca di Novagnia della Infanteria. Gli Abitanti veduto comparire i Francesi dopo una picciola resistenza abbandonarono la Terra ritirandosi alla montagna e la Terra fu data al Sacco dalla Soldatesca43. La milizia, come tutto l’esercito spagnolo, dava preoccupanti segnali di cedimento. A metà settembre fu deciso di inviare rinforzi in Valsesia e «il conte Vitaliano Borromeo entrò giorni sono con 5 o seicento fanti nella Valle di Sesia a richiesta di quelli huomini»44. La presenza di “gente di guerra” suscitò un certo scompiglio presso il comando del duca d’Este, ma non preoccupò un veterano come il marchese di Villa che, senza enfasi, scrisse a Cristina di Savoia Certo il pericolo non è molto grande stante che per andarvi conviene attraversare terre popolatissime et Armigere de’ Stati di S.A.R.. Ho però scritto a quelli di Andorno, Mosso, Trivero, Mortigliengo, Sostegno, Coggiola e Lessona che sono alle frontiere d’invigilare massime per la loro conservazione, et occorrendo qualche cosa dare avviso a tutta diligenza all’Armata, et li tagliaressimo fuori senz’altro se si inoltrassero sino presso a Biella45. 7. Difendere l’Alta Valle. Le campagne della Guerra della Lega di Augusta L’imponente massa del massiccio del Monte Rosa e la fine delle strade carrozzabile all’altezza di Alagna fanno sembrare la Valsesia un vicolo cieco. In realtà, esistevano già in epoca medievale vie di comunicazione di una certa importanza, percorse, oltre che da non trascurabili flussi commerciali, anche da un itinerario molto frequentato verso la Savoia attraverso il Colle di Valdobbia46. Tale via poteva essere percorsa piuttosto rapidamente da un esercito che si trovasse presso la città di Aosta: scendendo dapprima lungo il fondovalle verso Chatillon e Saint Vincent, quindi percorrendo la strada del Col de Joux fino a Brusson in Val d’Ayas; e da qui per il Colle della Ranzola raggiungendo la Valle del Lys presso Gressoney-Saint-Jean; a questo punto il percorso risaliva verso il Colle di Valdobbia per scendere in Val Vogna. «Attraverso la Valle Vogna passava, fino a tutto il ’700, il traffico leggero dal Milanese alla Valle d’Aosta, mentre ancora nel secolo successivo la mulattiera per il Colle di Valdobbia era frequentata da numerosi emigranti: nei documenti sabaudi 43 BRUSONI, Historia d’Italia, cit., p. 923. 44 ASTo, Corte, Lettere Particolari, mazzo 31, lettera del 19 settembre 1658. 45 Ibid. 46 Sulla facilità di transito del Colle di Valdobbia, si ricordano le parole del parroco di Alagna don Giovanni Gnifetti: «Per questo colle di Valdobbia transita la maggior parte de’ Valsesiani che va e ritorna dalla Francia e dai paesi contermini, e presta comodo passaggio a molti stranieri che si recano nella Valsesia onde visitare il Rosa, le miniere e la natura del suolo». Cfr. G. GNIFETTI, Nozioni topografiche del Monte rosa ed ascensioni su di esso, «Rivista delle Alpi, degli Appennini e Vulcani», 1866, 3, p. 459. Cfr. anche MEZZACAPO, MEZZACAPO, Studi topografici, cit., p. 35. 196 Storia della Valsesia questo itinerario era incluso, con la strada d’Ivrea e con quelle dei valichi del Piccolo e Gran San Bernardo, fra le quattro grandi strade della Valle d’Aosta»47. Il crinale tra la Valle del Lys e la Valsesia presentava inoltre almeno due possibili varianti al percorso principale, che conducevano entrambe all’abitato di Alagna: la prima, più agevole, attraverso il Col d’Olen; la seconda, un po’ più impervia, per il Passo di Zube attraversando la Val d’Otro. Il percorso del Colle di Valdobbia, come avrebbe dimostrato con successo oltre un secolo più tardi il generale Teodoro Lecchi, che nel maggio 1800, insinuatosi per questa via, quasi non incontrò resistenza, penetrando fino nel cuore della Lombardia48, consentiva un agevole accesso all’area del Cusio e del Basso Verbano, e da qui, varcato il Ticino, apriva le porte verso l’alta pianura lombarda e verso Milano. Una via di comunicazione ancora importantissima nel XIX secolo, come risulta dalle considerazioni e dagli auspici di Goffredo Casalis: La strada provinciale da Varallo ad Aosta pel Colle di Valdobbia, percorre questo territorio [della Valsesia] in tutta la sua lunghezza, e qualora fosse ultimata e renduta per intiero carreggiabile, ne deriverebbero segnalati vantaggi a tutti questi vallegiani per la maggiore facilità dei mezzi di trasporto dei loro legnami, dei marmi, delle ardesie e di altri oggetti di cui soprabbonda la valle49. Dopo la schiacciante vittoria francese a Staffarda nel 1690, si diffuse il timore che l’armata francese avesse ormai vinto ogni resistenza e che anche i confini dello Stato di Milano fossero in grave pericolo. Fu merito del governatore di Novara, il conte Carlo IV Borromeo Arese, intuire che, per garantire la sicurezza ai confini occidentali dello Stato di Milano e per proteggere la città di Novara, andava costruito un sistema difensivo a monte, in Valsesia, territorio confinante con il contado di Novara, con fortificazioni nell’Alta Val Vogna che sbarrassero la strada ad un eventuale attacco francese dalla valle d’Aosta. Per tale motivo mandò in Valsesia nel 1690 i suoi ingegneri per valutare la realizzazione colà di un sistema difensivo50. 47 S. BELLOSTA, R. BELLOSTA, Valle Vogna. Censimento delle case di legno, Gozzano 1988, p. 157. Cfr. anche B. JANIN, Frontiera e crocevia d‘Europa: le comunicazioni, in Storia d’Italia Einaudi. Le regioni dall’Unità a oggi. La Valle d’Aosta, a cura di S.J. Woolf, Einaudi, Torino 1995, p. 63. 48 L’età napoleonica, a cura di F. Lemmi, in Storia politica d’Italia, vol. X, Vallardi, Milano 1938, p. 18; R. SORIGA, S. MANFREDI, L’idea nazionale italiana dal secolo XVIII all’unificazione, Soc. Tip. Modenese, Modena 1941, p. 161; E. RAGOZZA, Gente della antica Valsesia, vol. II, Gente in Comunità. Documenti di vita civile e sociale, Excelsior, Novara 1980, pp. 152-55. 49 Dizionario geografico, storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il re di Sardegna compilato per cura del Professore Goffredo Casalis Dottore di belle lettere, vol. IX, Maspero, Torino 1841, p. 437. 50 V. CIRIO, La dominazione spagnola nel contado di Novara, in Una terra fra due fiumi, la provincia di Novara nella La milizia valsesiana e difesa del territorio. Strategia e guerra in una valle alpina del XVII secolo 197 In particolare, voci incontrollate sulla presenza – o sull’imminente arrivo – di un contingente francese in Valle d’Aosta fecero portare i livelli di attenzione alla soglia del massimo allarme. Come scrisse Federico Tonetti: Questi rumori di prossima guerra provocarono dal Governo di Milano ordini di armamento generale delle milizie nei paesi vicini alle frontiere, e specialmente le milizie valsesiane dovettero portarsi a sorvegliare i proprii confini. Tutti gli uomini dai venti ai settant’anni, abili alle armi, ebbero ordine di raccogliersi sotto alle proprie bandiere, e vennero assegnati i posti alle varie compagnie. Quelle di Rimella, di Alagna e Riva furono mandate a guardare i Passi d’Olen e di Valdobbia, e furono spediti alcuni scopritori nella valle d’Aosta, con incarico di sorvegliare le mosse dei francesi, e di stare continuamente alla loro vista, avvertendo bene dove disegnassero rivolgere la loro marcia51. Non soltanto gli uomini delle Comunità walser di Rimella, Alagna e Riva furono impegnati in quella occasione nella difesa dei passi verso la Valle d’Aosta. Dopo la sconfitta di Staffarda, furono poste in stato di allerta le pattuglie della milizia che dovevano controllare i transiti lungo i valichi, in particolare a quello di Valdobbia: al 23 settembre risale una Nota della monicione distribuita in cima Vendobia; al successivo 31 ottobre una Notta del fieno et legna data al signor governatore, indirizzata al console di Vogna52. Come era avvenuto nella prima metà del secolo nella Bassa Valle, anche nell’Alta Valsesia furono edificate opere difensive: risale ad esempio al 21 dicembre 1690 la convenzione fra il governatore militare e tre uomini della Val Vogna, Michelangelo Morca, Pietro Verno e Pietro Picco, per la costruzione di una torretta con annesso muro difensivo accanto all’oratorio di S. Grato, presso la frazione Peccia, a sbarrare il passaggio sia alla mulattiera che scendeva dal Colle di Valdobbia sia a quella del Colle del Maccagno, che si congiungeva con la prima poche centinaia di metri a monte; nel testo del documento, queste opere murarie difensive vengono significativamente indicate come «torretta e fortificazione del governatore»53. La guerra, tuttavia, questa volta risparmiò la Valsesia e le milizie, mobiliate con grande allarme, furono in seguito smobilitate. Rimangono interessanti documentazioni anche sul terreno; una delle torri di controllo costruite nell’inverno del 1690 è ancora esistente e si staglia al fianco della chiesa della Madonna delle Pose, all’imbocco della Val Vogna. L’edificio, una bassa costruzione storia. L’età moderna (secoli XV-XVIII), a cura di S. Monferrini, Provincia di Novara, Novara 2003, p. 209. 51 F. TONETTI, Storia della Vallesesia e dell’Alto Novarese con note e documenti, Colleoni, Varallo 1875-1880, pp. 541-42. 52 sASV, Museo Calderini, 8/h, docc. 11 e 12. 53 Ibid., doc. 13. 198 Storia della Valsesia collocata sul fianco della strada, alla sinistra del tempio per chi sale dalla valle principale del Sesia, è di due piani; il pianterreno aveva una funzione di casermaggio, mentre il secondo, illuminato da una serie di feritoie fuciliere e coperto da un tetto di lose, forniva la piattaforma di combattimento per i difensori. La copertura a lose garantiva altresì un ottimo blindaggio nei confronti di eventuali tiratori appostati sul fianco della montagna. L’elemento principale di questo blocco stradale non era dato tanto dalla “torretta”, quanto dalla chiesa della Madonna delle Pose stessa, assai più massiccia e imponente della stessa fortificazione che la affianca. La chiesa, dotata di un proprio campanile, e la torre potevano all’occasione diventare una massiccia, per quanto improvvisata, ridotta difensiva posta a chiusura della valle. Solo un cannone di medio calibro avrebbe potuto cacciare i difensori da una simile posizione. Si trattava di un’eventualità del tutto irrealizzabile; il Colle di Valdobbia era transitabile con animali da soma, ma non con veicoli su ruota, tanto meno con artiglierie54. L’altra importante traccia della guerra in epoca moderna in Valsesia è il trinceramento del Col d’Olen. Tutti gli autori valsesiani hanno sempre attribuito la paternità di queste fortificazioni alle milizie locali55. I resti sul terreno ci raccontano una realtà ben diversa. Il passo, percorribile nei mesi estivi nonostante l’elevata quota – il colle è a 2888 metri sul livello del mare – e libero dai ghiacciai del Monte Rosa anche durante il periodo della Piccola Glaciazione del XVII secolo56, è ancora oggi chiuso da un muro a secco alto circa un metro; mentre a sud il muro si salda contro le rocce che interessano la sella, a nord si aprono i prati. Qui fu edificata una ridotta a pianta quadrata a protezione di un piccolo accampamento, composto da un numero variabile di piccoli baracche in legno (da cinque a dieci), posto lungo il versante valdostano. Il campo dunque era aperto verso la Valle d’Aosta mentre risultava chiuso, e «ben difeso», verso la Valsesia. Si trattava quindi di una fortificazione sabauda che doveva consentire un appoggio tattico in quota per il controllo del valico. 54 Sull’uso delle chiese come postazioni fortificate cfr. F.W. VON GAUDI, Versuch einer Anweisung für Officiers von der Infanterie wie Feldschanze von allerhand Art angelegt und erbauet, und wie verschiedene andere Posten in Defensionsstand gesetzt werden können, F.J. Röder, Wesel 1778, pp. 56-67. 55 Manca uno studio approfondito sulle vicende belliche dell’Alta Valsesia nella prima metà del XVII. Si veda ad esempio F. TONETTI, Guida illustrata della Valsesia e del Monte Rosa, Camaschella e Zanfa, Varallo 1891, pp. 432-34; G. GIORDANI, La Colonia Tedesca di Alagna-Valsesia e il suo dialetto, Candeletti, Torino 1891, pp. 41-43. 56 Sulle variazioni climatiche avvenute tra XIV e XIX secolo si rimanda a W. BEHRINGER, Storia culturale del clima. Dall’età glaciale al riscaldamento globale, Bollati Boringhieri, Torino 2013. La milizia valsesiana e difesa del territorio. Strategia e guerra in una valle alpina del XVII secolo 199 Conclusioni Ritorniamo alla casa parrocchiale di Borgosesia. Giacomo Alberto Pirolino ci guarda fiero e ci suggerisce alcune conclusioni al termine di questo viaggio lungo la Valsesia del XVII secolo, tra agguati, imboscate e combattimenti: la milizia era una rivendicazione. Militarmente non era in grado di reggere il confronto con una truppa regolare sul campo di battaglia. Ma non doveva essere sottovalutata; sino a quando non fosse stata disarmata e resa inoffensiva, poteva risultare pericolosa, molto pericolosa. Il marchese Villa lo aveva imparato a sue spese. La milizia rappresentava la Valsesia come realtà autonoma; sino a quando fosse esistita una milizia in armi, sarebbe esistito un governo della Valle, ma non solo. Ciascuna Comunità – con i propri membri presenti e armati, in grado di accorrere al luogo convenuto a un semplice segnale, che fosse un fuoco o i rintocchi delle campane – aveva la possibilità di negoziare i propri interessi, mantenere in essere i propri traffici e le proprie attività. Tale rivendicazione non venne meno neppure dopo l’annessione della Valsesia da parte dei Savoia. Appendice sASV, Museo Calderini, mazzo 21, Scaramuccia tra la milizia di Valduggia e di Cellio ed i soldati franco-sardi alleati, il 24 luglio 1636. Nell’Oratorio ossia Chiesa d’Agua di Cellio havvi un quadro grande, ad olio, che esprime la scaramuccia della Cremosina o di quelle adiacenze, nel 24 luglio 1636: abbasso un cartello, la cui leggenda ora intieramente sbiadita, venne conservata per cura di rozza penna aguese. Tenore della iscrizione. Memoria della grazia ricevuta dà nostro signore per intercessione della gloriosa vergine maria et soi santi nostri Avocati esendo li anni della guera tra spagnioli e francesi e savoiardi nel stato di milano et aver saggegato parte di esse et quasi tutto il novarese tantarono anco di venire in valsesia la vigilia di santo giacomo del detto anno ritrovandosi li valsesiani sediati quasi d’ogni parte dalli grandi esercito senza alcuno socorso ricorsero al divino aiutto et combattendo generosamente massimamente le due compagnie di valduggia e di cellio perche’ pochi vi anno vi anno da’ socorsi così restarono vincitori con pocha offesa et offendendo li inimici con ferite et morte di molti di loro: così li huomini di agua quelli che pagano il legato Anno fatto fare questa a onore di dio et memoria della grazia riportata. Segue il copista: «Questa iscrizione lo levata da un quadro che l’anno fatto fare li huomini di agua quelli che pagano il legato l’ho copiato io giuseppe maria nicola lano del 1780 il 19 luglio 200 Storia della Valsesia bramoso di tenere questa memoria perche la scrizione sù al quadro veniva scasata che più non si intendeva un tale miracolo facio ancora una memoria che ò sentito a dire dalli miei vecchi del legato del pago di santa anna che un tale giacomo nicola in quella guerra aveva quattro figlioli li sentiva a dire che in quella battaglia ce ne restava morti pregò il signore se tornava li suoi quattro figlioli che voleva fare un voto alla sera della vigilia di san giacomo per la dio gracia sono venuti subito andò a convenire con il signor curato di quei tempi di far venire la processione di cellio al’oratorio della beata vergine maria il giorno di santa anna e fare celebrare messa da tutti li signori curati una al oratorio di agua altro al’altare della comunione dove che vi è santa anna per la gracia che riceve è tutti quei nicola che sono venuti da lui si paga il vita adesso lo fanno pagare per legato avanti che (che) non vi era questo voto la festa di agua si faceva la natività di maria che così è dedicata la chiesa è benedetta quella [...] per la cramosina soriso lo aveva brugiato sacegato sta ancora un quadro nella chiesa di san giacomo del bosco (frazione di Cellio) di tale vitoria che porto le due comunità». Al di sotto sta scritto: “Memoria del legato” “di Santa anna seguito” “l’anno del 1636 In fede” “Giuseppe Maria” “Nicola di” “Agua” Avvertenza del sottoscritto Rasario. Questo documento esistente presso la [...] di quel venerando Oratorio da cui venne comunicato allo scrivente per farne una copia fedele come sopra. Delle lettere del Prevosto di Soriso monsignor Don Giacomo Mongini, a me diretta, sotto la data 16 ottobre 1879, si ha quanto segue sulla scaramuccia della Cremosina: “Trovo scritto nell’archivio della Parrocchia che i Francesi dopo d’aver abbruciato Soriso nel 1636 in luglio si portarono nella Valsesia, quivi vi fu un combattimento, nel quale i Valsesiani furono vincitori”. Nell’alto del quadro vi stanno effigiati cinque Santi e la Madonna, protettori dei combattenti, con sotto il nome come segue: «S. Iacobus = S. Anna = S. Cristina = S. Ieronimus = S. Defendens = A destra: “Processione di Celio che va all’oratorio della Madonna di Aggua = Valligiani Francesi et Savoiardi». Lo scontro marziale è raffigurato al vivo nella indicata località o sue adiacenze, con costume guerresco di quel tempo là che finora dalla storia militare della nostra Valsesia non venne accennato, per quanto si abbia letto ed indagato. E finalmente una lettera dell’amico Don Lorenzo Valatta La milizia valsesiana e difesa del territorio. Strategia e guerra in una valle alpina del XVII secolo 201 Cappellano d’Agua di Cellio dice che leggevansi in un quadro veccio nel venerando Oratorio di Cosco (frazione di Cellio) tre o quattro versi confermanti il Quadro, esistente in questa Chiesa “d’Agua”. Del sacco di Soriso di cui si accenna, ne fece menzione il dotto storico rosminiano Don Vincenzo De Vit, nelle Memoria Storiche di Borgomanero e suo mandamento, pag. 177-178. Raschetto, addì 25 9bre 1885. L’amico Sac. G.B. Rasario.