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1144.1.43_1144.1.23 13/12/19 08:29 Pagina 1 € 23,00 (U) FrancoAngeli Pratiche di gastronomia per l’accoglienza POLITICHE MIGRATORIE - RICERCHE La passione per le conoscenze CIBO PER L’INCLUSIONE FrancoAngeli CIBO PER L’INCLUSIONE M.G. ONORATI (a cura di) Maria Giovanna Onorati è professoressa associata di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, dove è anche Delegata del Rettore per le Politiche Antidiscriminatorie e di Inclusione. Ha realizzato numerosi studi e pubblicazioni sul tema dello sviluppo di competenze interculturali nei contesti del lifelong learning, in particolare nell’ambito del Vocational Education and Training. A cura di Maria Giovanna Onorati 1144.1.43 Partendo dalla consapevolezza, centrale nella (co)scienza gastronomica, dello stretto legame che intercorre tra sostenibilità, cibo e salvaguardia della diversità umana, questo volume propone una riflessione interdisciplinare sul potenziale inclusivo di una formazione al cibo e alla gastronomia nei percorsi di accoglienza dei rifugiati. Attraverso una serie di riflessioni teoriche, che ci portano al cuore dell’umano, fatto di cibo, identità e migrazione, e la descrizione di buone pratiche di integrazione che passano per la gastronomia, il libro cerca di dare risposte ai seguenti quesiti: può il cibo diventare un motore di inclusione sociale per i rifugiati? Può la gastronomia rappresentare una sfera di pratica efficace nei processi di accoglienza, capace di favorire il recupero delle conoscenze materiali delle persone in fuga e, con ciò, restituire loro autonomia e capacità di scelta? Possono le scienze gastronomiche fornire nuova consapevolezza riguardo ai fattori alimentari correlati alla migrazione, ispirare soluzioni sostenibili a fenomeni sociali sempre più complessi e diventare il campo per un impegno sia individuale, che collettivo, nei confronti di quella sfida globale che è la migrazione forzata? 1144.1.43_1144.1.23 13/12/19 08:29 Pagina 2 A cura di Maria Giovanna Onorati CIBO PER L’INCLUSIONE Pratiche di gastronomia per l’accoglienza FrancoAngeli Collana Politiche Migratorie Coordinata da Mara Tognetti Bordogna La presenza di prime, seconde e terze generazioni, nonché l’incremento delle famiglie della migrazione nel nostro contesto richiedono, ormai in modo innegabile anche per il profano, di delineare politiche migratorie precise. La consistenza e la complessità dei flussi migratori verso il nostro paese, il loro grado di stabilizzazione, comportano scelte, da parte dei decisori pubblici, coerenti con le caratteristiche e le specificità dei flussi, capaci di coniugare esigenze e modelli culturali assai articolati. Al fine di delineare percorsi di cittadinanza coerenti alle specificità dei diversi flussi e quindi dei diversi soggetti e famiglie che si orientano verso il nostro paese, anche in forma stabile, sono sempre più necessarie conoscenze, competenze, modelli e metodi d’intervento capaci di cogliere le dinamicità ma anche gli elementi di continuità dei flussi migratori, di andare oltre le superficiali descrizioni della realtà migratoria fatta dai mass media, o da “studiosi dell’emergenza”. La collana “Politiche migratorie” oltre a costituire un utile strumento conoscitivo intende diventare un ambito scientifico in cui fare confluire esperienze, modelli di buone pratiche, affinché il decisore pubblico e lo studioso di politiche sociali, l’operatore dei servizi alla persona, possano disporre di strumenti scientifici validati nella prassi, utili per delineare politiche coerenti con una società dinamica e culturalmente variegata. La collana, pensata per studiosi, decisori, operatori, si prefigge di mettere a disposizione materiali di diversa natura (teorizzazioni, ricerche, studi di casi) affinché il dibattito scientifico e l’operatività possa disporre di materiali tali da contribuire a far fare un salto alle politiche migratorie, passando così da una dimensione ancora troppo eclettica a una dimensione in cui l’innovazione e la scientificità siano punti essenziali. Comitato editoriale della collana Maurizio Ambrosini, Università degli Studi di Milano; Giancarlo Blangiardo, Università di Milano-Bicocca; Paolo Bonetti, Università di Milano-Bicocca; Tiziana Caponio, Università di Torino; Vincenzo Cesareo, Università Cattolica-ISMU; Virginio Colmegna, Casa della Carità; Duccio Demetrio, Università di MilanoBicocca; Graziella Favaro, Cooperativa Farsi Prossimo; Alberto Giasanti, Università di Milano-Bicocca; Enzo Mingione, Università di Milano-Bicocca; Vaifra Palanca, Ministero della Salute; Fabio Perocco, Università Ca’ Foscari di Venezia; Enrico Pugliese, Università di Roma La Sapienza; Emilio Reyneri, Università di Milano-Bicocca; Giuseppe Sciortino, Università di Trento; Makoto Sekimura, Università di Hiroshima; Mara Tognetti Bordogna, Università Federico II di Napoli, coordinatore della collana; Claudio Valsangiacomo, University of Applied Sciences and Arts of Southern Switzerland; Tommaso Vitale, Centre d’étude européennes, Sciences Po., Parigi. I titoli della collana Politiche Migratorie sono sottoposti a referaggio anonimo. I lettori che desiderano informarsi sui libri e le riviste da noi pubblicati possono consultare il nostro sito Internet: www.francoangeli.it e iscriversi nella home page al servizio “Informatemi” per ricevere via e.mail le segnalazioni delle novità. A cura di Maria Giovanna Onorati CIBO PER L’INCLUSIONE Pratiche di gastronomia per l’accoglienza FrancoAngeli Con il supporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Dal 1951, l’Agenzia ONU per i Rifugiati fornisce protezione e assistenza a rifugiati, richiedenti asilo, sfollati interni e apolidi. L’Agenzia è presente in 134 paesi nel mondo ed è stata insignita due volte del Premio Nobel per la Pace. I contenuti sono di responsabilità esclusiva degli Autori e non riflettono in alcun modo il punto di vista dell’UNHCR. Copyright © 2020 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy. Ristampa 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Anno 2020 2021 2022 2023 2024 2025 2026 2027 2028 2029 L’opera, comprese tutte le sue parti, è tutelata dalla legge sui diritti d’autore. Sono vietate e sanzionate (se non espressamente autorizzate) la riproduzione in ogni modo e forma (comprese le fotocopie, la scansione, la memorizzazione elettronica) e la comunicazione (ivi inclusi a titolo esemplificativo ma non esaustivo: la distribuzione, l’adattamento, la traduzione e la rielaborazione, anche a mezzo di canali digitali interattivi e con qualsiasi modalità attualmente nota o in futuro sviluppata). Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale, possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali (www.clearedi.org; e-mail [email protected]). Stampa: Global Print, via Degli Abeti 17/1, 20064 Gorgonzola (MI). Indice pag. 7 » 11 1. La gastronomia come campo di empowerment e salvaguardia umana nei processi di resilienza e inclusione sociale dei rifugiati. Proposte per una sociologia della mobilità forzata, di Maria Giovanna Onorati » 25 2. La funzione del cibo nei processi di empowerment delle persone rifugiate, di Cristina Franchini » 48 3. Dalle identità alimentari agli scambi, e ritorno: il cibo come fattore d’integrazione, di Antonella Campanini » 58 4. Il quadro geostrategico delle materie prime alimentari e del land grabbing: migrazione e prospettiva interpretativa delle dimensioni partecipativa e identitaria della cittadinanza, di Filippo Bignami » 70 Prefazione, di Carlo Petrini Introduzione, di Maria Giovanna Onorati Parte prima - Gli sfondi. Riflessioni teoriche per una gastronomia dell’inclusione 5 Parte seconda - I percorsi. Esperienze di ricerca e formazione di gastronomia e inclusione Premessa all’esperienza di Food for inclusion, di Carlotta Sami pag. 91 5. I partenariati strategici per l’inserimento lavorativo dei titolari di protezione internazionale: l’esperienza di Food for inclusion, di Massimo Gnone » 93 6. Ricette di agency. La formazione gastronomica come strumento di empowerment e capacitazione dei rifugiati. La ricerca etnografica nel progetto Food for inclusion, di Maria Giovanna Onorati » 106 7. Pratiche gastronomiche per l’inclusione dei rifugiati. L’esperienza formativa di Food for inclusion, di Carol Povigna » 129 8. Narrazioni gastronomiche e scambio interculturale a scuola, di Paolo Corvo e Michele Filippo Fontefrancesco » 143 9. Ristor’apprendo: costruire integrazione dei rifugiati lavorando in un’impresa sociale. Esperienze e lezioni da un progetto pilota nella Svizzera italiana, di Furio Bednarz » 155 Gli Autori » 173 6 8. Narrazioni gastronomiche e scambio interculturale a scuola di Paolo Corvo e Michele Filippo Fontefrancesco1 Il capitolo esplora il bisogno di condivisione culturale vissuto da giovani immigrati di prima e seconda generazione all’interno del mondo scolastico secondario italiano, esplorato attraverso i progetti educativi promossi dall’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche in Piemonte. In particolare analizza, sulla base dei dati raccolti da uno degli autori (MFF), il profilo socioculturale emergente dell’orizzonte sempre più multiculturale delle scuole italiane. Il saggio offre un quadro del dibattito che si lega al tema della multiculturalità, in particolare nel contesto scolastico. La ricerca e i progetti portati avanti nel territorio piemontese approfondiscono in chiave etnografica che il quadro emergente relativo alla percezione della diversità culturale vissuta dagli studenti immigrati non sia l’ostilità dei propri pari, quanto il disinteresse verso la loro cultura e tradizioni. Si mostra come il modello educativo implementato possa positivamente rispondere alla necessità di creare attenzione verso la diversità culturale, con un proficuo scambio e incontro tra i giovani. 1. Multiculturalità e scuola Il concetto di multiculturalità è stato al centro del dibattito delle scienze sociali già negli anni Novanta del secolo scorso, ma è solo nell’ultimo decennio, con l’intensificarsi dei recenti movimenti migratori che coinvolgono il Mediterraneo e l’Europa, che tale concetto è ritornato alla ribalta come fondamentale parola chiave (Williams, 1983). Lo stesso tema della 1. Il capitolo è l’esito del lavoro congiunto degli autori. La versione iniziale dei paragrafi 2, 3, 4 è stata redatta da M.F. Fontefrancesco: quella dell’introduzione è stata curata da P. Corvo, laddove quella del paragrafo 1 è elaborata congiuntamente dagli autori. L’elaborato finale è stato rivisto e curato congiuntamente dagli autori. 143 migrazione ha assunto un ruolo centrale nel tumultuoso dibattito pubblico nazionale ed europeo (Andersson, 2014; De Genova, 2017; Zanfrini, 2018). Il concetto di multiculturalità descrive l’esistenza in uno stesso territorio di una pluralità di tradizioni e gruppi etnici. A tale termine è stato associato un valore positivo, legandolo a principi di eguaglianza e tolleranza indirizzanti alla creazione di una società armonica e plurale. È stato altresì usato per definire quelle politiche attive capaci di “truly promote pluralism, the peaceful coexistence of diverse cultures and equal citizenship” (Prato, 2009, p. 16). Essendo intrinsecamente basato sull’idea della giustapposizione delle differenze culturale questo termine è stato al centro di un vibrante dibattito nel campo delle scienze sociali, in particolare in campo antropologico (Fontefrancesco, 2012). Come sottolineato da Prato (2009, p. 2), “even among those who in principle advocate multiculturalism, criticism has been expressed of policies that continue to exoticize ‘otherness’ […]. Stronger critics argue that multiculturalism is a basically divisive concept that ultimately favours one community over another, fuelling competition and conflict”. Oggi, laddove si assiste anche in Italia al riemergere di forme di intolleranza e xenofobia, ci si interroga su come organizzare una società multietnica, considerando la particolare storia del Paese che ha visto la Penisola essere meta di massiccia migrazione solo nell’arco dell’ultimo ventennio (Bravo, 2013). In questo contesto, multiculturalità è diventato termine politico volto a definire un variegato insieme di azioni dal significato spesso contrapposto. Infatti, il termine è usato tanto per indicare azioni volte a favorire la comunicazione interculturale, favorendo ibridazioni e sviluppi culturali sinergici, quanto proposte rimarcanti le differenze tra i diversi gruppi etnici e volte a supportare una sostanziale competizione socioculturale tra gruppi diversi, anche a rischio di inasprire più o meno sopiti conflitti (Cotter, 2011). Di fronte a questa varietà di approcci e accezioni emerge la ricchezza semiologica di questo termine, che ne rende particolarmente sfuggente una chiara e univoca definizione (Vertovec, Wessendorf, 2010). Se, nell’arco dell’ultimo decennio, la comunità antropologica ha iniziato nuovamente a interrogarsi sul significato di questo termine e su come esso si relazioni al nuovo contesto di migrazioni globali (Vertovec, 2010), questa complessità ci restituisce il senso profondo di una società che ancora sta cercando di affrontare e dare un significato al veloce mutare dell’orizzonte etnico, nell’ottica di costruire l’ossatura di una nuova società culturalmente plurale. In tale contesto, la popolazione migrante, in particolare quelle giovanile, è oggi descritta come un’entità paradossale: vittima bisognosa di protezione e integrazione e, al contempo, minaccia dell’integrità dell’ordine costituito della società ospite (Lems, 2019). Di fronte a questa aporia si apre un quesito irrisolto circa gli strumenti e le pratiche da mettere in campo per favorire i processi di integrazione, scambio, dialogo tra le varie 144 comunità che compongono oggi l’orizzonte etnico locale: una domanda che non può che passare attraverso uno sguardo al mondo scolastico e come questo faciliti o rallenti i processi di integrazione (Gobbo, 2007). Infatti, se la scuola è l’istituzione preposta a guidare i giovani in un percorso di definizione culturale individuale nell’ottica dell’esercizio di una piena cittadinanza (Ardizzone, 2012; Commissione europea/EACEA/Eurydice, 2017), si apre la domanda circa gli strumenti utilizzabili per favorire l’insorgere di “amicizie interculturali” (Costa, 2013). Se da più parti è stato evidenziato il limite degli strumenti oggi implementati all’interno dei curricula ufficiali, che aiutano i ragazzi, in particolare gli adolescenti, nel sviluppare un’identità individuale aperta e sintetica dei diversi contributi culturali a cui l’individuo può essere esposto (Giorgis, 2013; Peano, 2013; Pescarmona, 2012), si apre la sfida di formulare nuovi strumenti e sperimentare nuovi approcci educativi da mettere in campo nella quotidianità della didattica, continuando il percorso aperto dalle numerose sperimentazioni che a livello internazionale (Banks, 2009) e italiano (Gobbo, 2007; Gobbo, Gomes, 2003; Sartore, 2014) si sono proposte: una sfida che parte non tanto dalla pratica in sé, quanto dalla comprensione dell’orizzonte di affetti ordinari (Stewart, 2007) dei ragazzi e dei modi in cui la diversità culturale è capita e affrontata nella quotidianità della vita dentro e fuori la scuola. 2. La ricerca sul campo La ricerca muove in questa direzione, focalizzandosi sul mondo delle scuole secondarie con l’intento di studiare e valorizzare la sempre più marcata diversità culturale ivi presente (Elia, 2012). Il lavoro è stato portato avanti a partire dal 2013 in Piemonte. Il Piemonte, infatti, è una delle regioni con maggiore popolazione straniera in Italia (IDOS, 2018). L’immigrazione nella regione si è sviluppata a partire dagli anni Ottanta del Novecento. Al presente vivono nella regione oltre 400.000 mila stranieri, con un’incidenza di circa il 10% della popolazione complessiva (www.piemonteimmigrazione.it). Gli stranieri si concentrano per lo più nei grandi centri urbani, con forte attrazione esercitata dal capoluogo torinese, che accoglie oltre metà delle presenze straniere, e dai capoluoghi di provincia. La popolazione straniera, in prevalenza di origine est europea e nordafricana, ha una forte componente minorile (oltre il 20%) e una ridotta della popolazione over 65 (circa il 2%). Il lavoro è stato articolato dal 2013 al 2016, nell’ambito del progetto europeo Open Discovery Space (https://portal.opendiscoveryspace.eu), con l’obiettivo di stimolare l’innovazione nel campo didattico attraverso l’integrazione e l’uso di risorse educative digitali. Nello specifico, l’unità di ricerca 145 dell’Università di Scienze Gastronomiche è stata impegnata nello sviluppo di progetti didattici e di risorse digitali integrate all’interno dell’archivio online “I Granai della Memoria” (www.granaidellamemoria.it). La ricerca si è svolta tra il 2012 e il 2016, articolandosi in quattro progetti didattici svolti in aree diverse della regione: l’area metropolitana torinese (nel progetto “Il viaggio di una storia”, svolto a Orbassano durante l’anno scolastico 2013-2014), le aree cittadine del Piemonte orientale (nei progetti “Il cibo a 4 occhi” svolto a Vercelli e “I granai di Borgo Rovereto”, svolto in Alessandria, entrambi durante l’anno scolastico 2014-2015) e la realtà rurale di pregio della fascia collinare meridionale (nel progetto “Sapori e suoni del cibo e della memoria”, svolto a Neive durante l’anno scolastico 2015-2016) (Fontefrancesco, 2019). I progetti si sono rivolti principalmente a un pubblico di giovani di età compresa tra gli 12 e i 21 anni, intendendo valorizzare il dato della diversità culturale e sensibilizzare i giovani alla sua scoperta. La diversità culturale era data da un lato dalla diversità etnica degli stessi partecipanti, chiamati a condividere con gli altri compagni, la propria storia di vita, ovvero da ospiti giovani studenti e professionisti provenienti da Paesi stranieri o altre parte d’Italia. I singoli progetti sono stati articolati partendo dalle sollecitazioni provenienti dagli insegnanti e dagli educatori quotidianamente in contatto con giovani, adattando alle specifiche territoriali un modello di formazione già sperimentato in altre sedi (Grimaldi, Porporato, 2012) che vedeva i partecipanti acquisire e sperimentare i fondamentali elementi teorici e metodologici relativi alla raccolta dei racconti di vita e loro patrimonializzazione attraverso il portale dei Granai della Memoria. Ogni singolo progetto si è articolato in una prima fase di formazione, frontale e laboratoriale, atta ad approfondire dati di contesto e le fondamentali nozioni tecniche e metodologiche circa l’intervista etnografica (Skinner, 2013), e alla sua raccolta in video finalizzata all’archiviazione dei materiali all’interno del portale dei Granai. Successivamente i giovani hanno raccolto le autobiografie dei soggetti individuati nel corso del progetto, con il supporto dei ricercatori dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche e dei propri insegnati e formatori. I progetti hanno visto il coinvolgimento dei ragazzi nella discussione del materiale raccolto, di questi autobiografici documenti-monumenti (Le Goff, 1982) della trasformazione dell’orizzonte etnico locale contemporaneo, al fine di stimolare il rafforzamento di una consapevolezza conoscitiva ed emozionale della realtà della migrazione e dell’evoluzione recente del territorio. I risultati di questa riflessione sono stati presentati pubblicamente in specifici eventi di disseminazione (per una panoramica completa dei progetti e dei prodotti di ricerca sviluppati si veda: Fontefrancesco, 2019). 146 L’approccio educativo dei progetti si fonda sui principi della peer-education (Croce, Lavanco, Vassura, 2011; Turner, Shepherd, 1999), valorizzando al massimo l’esperienza individuale dei partecipanti e rafforzando la percezione di cogenza del tema della diversità culturale. Nei quattro progetti, questo approccio pedagogico è stato sviluppato attraverso coinvolgendo in primo luogo i giovani nella realizzazione della traccia di intervista, quindi richiedendo loro di condurre le interviste agli ospiti del progetto. Sulla base della metodologia delle food stories (Counhian, 2009), i racconti di vita sono stati articolati partendo da una batteria di domande sociodemografiche, per poi approfondire la relazione con il cibo, le preferenze alimentari, i ricordi gastronomici e come questi aspetti mettessero in luce aspetti della cultura, religiosità, affettività, lingua e tradizioni della terra d’origine. Tale scelta metodologica è stata fatta per rafforzare ulteriormente il coinvolgimento dei partecipanti, riconoscendo nel narrato autobiografico del cibo strumento empatico (Hollan, Throop, 2011) attraverso cui creare contatto e vicinanza tra intervistato e intervistatori. Infatti, la consapevolezza sulle potenzialità offerte dal cibo è maturata in antropologia grazie a un articolato dibattito che si è snodato per oltre un secolo. Da questa articolata storia disciplinare (e.g. Mintz, Du Bois, 2002; Phillips, 2006; Pottier, 1999) emerge non solo la plasticità e le possibilità offerte dall’analisi delle pratiche e dei prodotti alimentari, ma soprattutto il ruolo del cibo quale oggetto di creazione dello spazio sociale. Esso, infatti, si lega al vissuto individuale e comunitario diventando oggetto evocativo (Turkle, 2007), significante di affetti, esperienze, storie di vita (Holtzman, 2006; Sutton, 2001). È per questo suo ruolo, che condividere e parlare di cibo diventa momento di condivisione di esperienze e conoscenze, una metodologia di incontro e inclusione con l’Altro (Counihan, 2009; Corvo, 2015). 3. Spazio pubblico e diversità culturale “A scuola, mi sembra che a nessuno interessi chi sono, da dove vengo… non è un problema ma a volte mi spiace”. Queste parole riassumono l’esperienza di una adolescente migrante di prima generazione partecipante al progetto “Il cibo a 4 occhi”. Come lei, altri ragazze e ragazzi partecipanti ai progetti evidenziano lo stesso sentire, segnato da un senso di separazione e indifferenza rispetto agli altri studenti, piuttosto che fenomeni di discriminazione. “Non mi ricordo casi di battute ‘stupide’ o altri comportamenti discriminatori tra i ragazzi”, sottolinea una delle insegnanti di Orbassano. Lo ribadiscono le insegnanti di Neive evidenziando come nella quotidianità di vita di classe, l’elemento culturale non sembri essere un elemento di conflitto tra gli studenti. “Ci possono essere gruppetti, a volte 147 legati da una stessa cultura, ma nell’arco degli studi i gruppi cambiano, si mischiano sulla base di simpatie e antipatie…” evidenzia un’insegnante. La vita relazionale dei ragazzi a scuola, per i partecipanti ai progetti, oscilla tra l’appartenenza al gruppo classe e alla partecipazione a gruppi di pari, che legano studenti della stessa classe con altri ragazzi di altre sezioni. Questi si fondano su legami di amicizia e affinità nati nella quotidianità della vita scolastica e delle frequentazioni fuori dalla scuola. La religione o la condivisione di una lingua può essere elemento di socialità, ma il principale determinante evidenziato dagli studenti dei progetti è la comune partecipazione ad attività extrascolastiche, amicizie, ovvero la prossimità di abitazione. I partecipanti ai progetti, italiani e migranti, non percepiscono la diversità di cultura come un elemento ostativo nelle relazioni con gli altri compagni di classe, eventualmente evidenziando casi “spiacevoli”, per usare un termine ricorrente nelle interviste, solo raramente nell’ambiente scolastico frequentato. Più frequentemente sono riportati casi di discriminazione avvenuti all’esterno della scuola, esercitati da altri gruppi di pari ovvero persone di età più avanzata. Laddove, quindi, il tema della discriminazione non si lega al vissuto di un ambiente culturalmente plurale, il disagio dei ragazzi stranieri si lega alla percepita indifferenza verso loro e la loro cultura. Come mostrato da Herzfeld (1993), l’indifferenza non è solo l’espressione di un’individuale preferenza, o meglio mancanza di attenzione, verso un dato fenomeno socioculturale; è il risultato sociale di un particolare contesto sociale implicitamente o esplicitamente teso a creare una separazione, anche affettiva, tra gruppi sociali diversi. Tale intuizione etnografica è di spunto per riflettere sul contesto socioculturale vissuto dai ragazzi, in primo luogo la famiglia. Spesso i giovani, e in particolare le ragazze, in tutti i quattro contesti di ricerca, sottolineano come i loro genitori o i parenti più anziani, abbiano messo loro in guardia contro i potenziali pericoli provenienti da coetanei con profili culturali diversi da quelli della famiglia stessa. Questo avvertimento evidenzia come elementi di rischio la diversa etnia e religione, oltre che il genere, l’età e la classe sociale. Tuttavia i partecipanti non le percepiscono come ostacoli fondamentali, insuperabili, per la creazione di legami e affinità con altri coetanei. Anzi, gli stessi tendono a sminuire la loro significanza, derubricando tali avvertenze come “stupidi”, “sciocchezze”, “ininfluenti”. Se i dati di cultura non sono elementi di pericolo e distanza, i ragazzi stranieri evidenziano una scarsa tensione per la conoscenza delle altre culture, in particolare degli italiani verso la loro. Questa mancanza di tensione può essere considerata un prodotto collaterale di una visione stereotipata dell’altro trasmessa dagli stessi avvertimenti. Questi consigli, nella loro for148 mulazione, reiterano forme stereotipate di racconto dell’altro all’interno di massime di natura etico-morale. Proprio nella riproduzione dello stereotipo, però, non prevedono la necessità di affrontare criticamente il tema della diversità e della complessità culturale. L’approccio alla diversità culturale è, altresì, descritta dai ragazzi spesso quale esempio di ribellione al controllo del nucleo famigliare. È esempio di ciò, l’esperienza di un adolescente partecipante al progetto di Neive che in un’intervista evidenzia: “quante volte ho sentito dire che i rumeni sono tutti ladri e non gli puoi essere amico… ma ti sembra!?! Tutte stupidate. Ne ho conosciuti tanti di ragazzi che vengono da là… cosa hanno di strano? A volte i vecchi non capiscono come va il mondo”. Affermazioni come questa si sono ripetute in vario modo durante i progetti evidenziando come la dialettica “ordine - resistenza” sia uno delle comuni dinamiche che affacciano i giovani al contatto con persone di altre nazionalità o religione. In queste esperienze, però, la conoscenza della diversità culturale si estrinseca principalmente nella conoscenza di altri individui, ma manca la spinta a un approfondimento maggiore di altre lingue, usanze, modi di vivere e conoscenze. Quando l’apprendimento di lingue straniere può essere considerato un proxy dell’apertura all’apprendimento profondo di altre culture, la volontà di apprendere lingue straniere si lega più comunemente in un’esplicita istanza pragmatica rivolta alla spendibilità della lingua sul mercato del lavoro: un dato che suggerisce una più generale visione utilitaristica dell’interesse verso l’apprendimento di tratti di cultura diversi da quelli nativi. La diversità culturale appare agli occhi dei ragazzi un dato di contesto, in qualche modo rimossa dallo spettro di attenzione. Questo è particolarmente evidente nella percezione dello spazio cittadino. Nel lavoro svolto in Alessandria, per esempio, i partecipanti risultarono sorpresi dallo scoprire la storia del quartiere Rovereto, così come quella della città, del suo mutare sotto l’influsso delle diverse ondate migratorie, prima italiane, poi internazionali. In particolare, se privi di una specifica guida famigliare o scolastica, essi non riuscivano a comprendere la profondità storica e sociale della diversità culturale propria di Rovereto, evidente nella presenza di ristoranti etnici, centri di preghiera, e altre attività gestite da migranti. La diversità culturale nella vita dei ragazzi non è una dimensione di conflitto, ma piuttosto una realtà trasparente e invisibile alla quotidiana interazione all’interno del mondo scolastico e, per molti, anche di quello extra-scolastico. Questo dato potrebbe facilmente essere interpretato come l’espressione di una realtà di profonda intercultura e meticciamento. Il racconto dei ragazzi offre un’altra chiave di lettura a questo fenomeno. Dalle testimonianze raccolte nei vari progetti emerge una condivisa geografia culturale che vede i tratti di diversità relegati allo spazio familiare, 149 privato, facendo dello spazio pubblico un luogo neutro, toccato solo esteriormente dalla diversità. La neutralità è garantita dall’uso di una lingua franca, l’italiano, e dalla rimozione di alcuni argomenti dal discorso (e.g. quello religioso). I ragazzi appaiono, infatti, inibiti nell’uso pubblico di una lingua diversa a quella franca o alla discussione di usi e costumi familiari. Quest’esclusione, però, non è percepita quale forma di emarginazione, ma piuttosto il risultato di strutturate regole sociali vissute nel gruppo. Di fronte a questa peculiare configurazione dello spazio culturale, un desiderio più volte rimarcato dai ragazzi stranieri, così come da quelli le cui famiglie provengono da altre parte di Italia, è quello di trovare maggiore interesse da parte dei propri pari rispetto alla propria storia personale e familiare. Infatti, come specificato da una ragazza partecipante al corso di Vercelli: “Mi piacerebbe raccontare di più della mia storia, ma mi accorgo che non gli frega niente [ai suoi compagni di ascoltarla e apprendere da essa]”. 4. Condividere narrando I progetti, nel loro incentrarsi sulla formulazione e raccolta dei racconti di vita rispondono direttamente a questa necessità. Laddove il racconto di vita (Bertaux, 1999) più di altre forme narrative, chiede al soggetto di mettere in gioco la propria conoscenza ed esperienza, toccando varie aree di senso e significato (Bichi, 2000), ed esponendo frammenti salienti della propria visione nel mondo, esso articola una narrazione emica della storia e delle tradizioni locali (Bourdieu, 1999). In tal senso, rappresenta una forma di diretto e completo coinvolgimento e potenziale condivisione da parte dell’intervistato, chiamato ad aprirsi e far conoscere il suo, emico, punto di vista. Questo coinvolgimento si rafforza mettendo al centro dei narrati il tema del cibo (Corvo, Fassino, 2015). È su questo terreno gastronomico che si è espressa un maggiore interesse verso l’Altro. Commenti quali “sono curiosa di come gli altri mangiano”, “soglio conoscere nuove ricette”, “mi piace il cibo etnico e ne voglio sapere di più”, sono esempio di questo sentire. All’interno del percorso formativo, quindi, tanto la curiosità individuale verso il tema, quanto la necessità di cooperazione e collaborazione con gli altri colleghi ha innescato l’attenzione dei partecipanti verso il tema della diversità culturale. Posti davanti a un pubblico attento, superati gli imbarazzi comuni al doversi destreggiare davanti a una telecamera, gli intervistati si sono sentiti a loro agio a raccontare, attraverso l’esperienza personale e la narrazione del cibo, aspetti profondi della loro storia individuale e dei loro affetti, come evidenziano i commenti raccolti sul campo: 150 “Non pensavo avrei mai raccontato della mia famiglia”, “Sono stato emozionato a vedere qualcuno così interessato nella mia storia”, “È la prima volta che mi sono così aperta alla mia classe. Mi ha fatto sentire bene”. Inoltre, la patrimonializzazione del narrato individuale attraverso la sua ripresa e condivisione digitale ha rappresentato un ulteriore elemento di valorizzazione dell’esperienza, anche per gli intervistati, che hanno colto nella consapevolezza del perdurare della propria memoria all’interno di un archivio digitale un motivo di orgoglio: “mi sembra di aver fatto una cosa importante… anche se alla fine ho raccontato della mia vita di tutti i giorni”, è il puntuale commento di uno dei partecipanti del progetto di Neive. Al termine dei progetti, i commenti raccolti tra i partecipanti evidenziano in ognuno dei quattro casi, l’aumento della consapevolezza della diversità culturale propria del territorio nonché una maggiore curiosità a scoprire tratti di altre culture, avendo in qualche modo rotto, almeno per un momento, l’indifferenza del quotidiano. Alla luce di questi positivi risultati è emerso l’interesse da parte dei docenti di attingere da quest’esperienza per arricchire l’offerta didattica e gli approcci educativi offerta nei corsi, continuata nel corso degli anni successivi con nuovi progetti, posti a latere della programmazione curriculare ordinaria. Di questo sono esempio i progetti portati avanti dai docenti di Orbassano e Neive negli anni seguenti, capaci di valorizzare il tema della biografia e della diversità culturale. Conclusioni Il saggio ha voluto riflettere sul tema della percezione della diversità culturale tra giovani in età adolescenziale all’interno del contesto scolastico. In un momento storico dove è particolarmente evidenziato il rafforzarsi di nuovi e vecchi razzismi e intolleranze, la ricerca ha fatto emergere come all’interno dell’orizzonte quotidiano del vissuto dei ragazzi partecipanti al progetto la diversità culturale non è comunemente fonte di scontro o marginalizzazione. Piuttosto è emerso un marcato disinteresse, che si esprime da un lato con il riproporsi di stereotipi culturali e dall’altro con un preponderante pragmatismo relazionale che se da un lato permette conoscenze, frequentazioni e amicizie tra persone di background culturale differente, dall’altro porta a un’esclusione dallo spazio pubblico l’espressione della diversità. Di fronte a questa esclusione è espressa, per lo più, da parte dei giovani immigrati di prima generazione, la volontà taciuta di condividere la propria storia, esperienza, lingua e abitudini, volontà che vede contrapposta la mancanza di un pubblico attento. I progetti didattici hanno dimostrato come sia possibile stimolare e favorire il confronto e lo scambio culturale, partendo dalla valorizzazione dei vissuti individuali raccolti 151 attraverso i racconti di vita, in particolare quando questi sono incentrati sul tema del cibo. La ricerca non solo presenta un metodo di interazione e approfondimento culturale implementabile nei percorsi educativi e di comunità rivolti a rafforzare processi di scambio e integrazione, ma soprattutto pone l’attenzione sulla scarsa significatività di modelli sempre più reiterati acriticamente nella descrizione delle dinamiche culturali che caratterizzano una realtà multiculturale. I progetti, infatti, mettono in evidenza come la diversità culturale non si accompagni né a uno scontro di civiltà, né a un immediato meticciamento di conoscenze. Alla luce di ciò, una politica efficace e attenta al mondo giovanile dovrebbe riformulare i programmi didattici, nella prospettiva di approfondire maggiormente le culture del mondo e stimolare la mutua condivisione di esperienze culturali diverse partendo dal vissuto degli studenti. I nuovi modelli di insegnamento dovranno avvalersi di formatori ed educatori consapevoli e adeguatamente preparati alle nuove sfide della società contemporanea. Particolarmente significativo sarà anche l’apporto delle comunità e dei territori, protagonisti attivi dell’incontro e della comunicazione tra culture diverse. Riferimenti bibliografici Andersson R. (2014), Illegality, inc.: clandestine migration and the business of bordering Europe, University of California Press, Oakland. Ardizzone M.R. (2012), “Per formare il ‘buon cittadino’. La scuola come ambiente educativo di apprendimento nei Programmi didattici per la scuola primaria dell’85”, Rivista Formazione Lavoro Persona, 4: 1-12. Banks J.A. (a cura di) (2009), The Routledge international companion to multicultural education, Routledge, New York - Londra. Bertaux D. (1999). Racconti di vita. La prospettiva etnosociologica, FrancoAngeli, Milano. Bichi R. (2000), “La tecnica di intervista nelle storie di vita: il rimando neutro, forme e modalità di riconoscimento tra aree di significato”, Studi di Sociologia, 38: 175-188. Bourdieu P. 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